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I soldi nascosti dello Zar

I soldi nascosti dello Zar

La Russia ha concesso al regime siriano due prestiti con condizioni capestro per un miliardo di dollari, a condizione che il denaro venga usato per pagare specifiche aziende di Mosca. Così i soldi tornano nelle mani degli oligarchi amici di Putin.


Ma le sanzioni decise dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina hanno davvero messo in ginocchio l’economia e di conseguenza il regime di Mosca? In verità, si stima che solo un terzo di queste possa raggiungere i suoi obiettivi.

Ancora dopo 7 settimane di guerra, solo il 19 per cento degli Stati del mondo ha deciso di rispondere all’invasione dell’Ucraina imponendo ritorsioni economiche alla Russia. Ne consegue che le penali, comminate da un totale di 37 Paesi – che valgono il 59 per cento del Pil mondiale – a oggi non hanno piegato l’impero economico russo, che può ancora contare su alleanze solide tra ben 193 Paesi che hanno deciso di non applicarle. Tra questi, vale la pena citare Cina, India, Emirati Arabi, Iran e Turchia. E, come vedremo, Siria.

Al Cremlino rimane insomma un largo margine di manovra. Anche perché la Federazione russa ha da tempo costruito una serie di artifici finanziari tali da evitare, o comunque alleviare, l’effetto sanzioniatorio a proprio carico, che rimane l’arma preferita dall’Occidente contro la prepotenza della macchina da guerra russa. Un dossier in mano a New Lines, think tank geopolitico di Washington, ne ha svelato qualcuno: la Russia ha concesso, per esempio, alla Siria di Bashar al-Assad due prestiti altamente sospetti per un totale di un miliardo di dollari, «a condizione che il denaro venga utilizzato esclusivamente per il pagamento a specifiche società russe durante una finestra di sei mesi». Di cosa si tratta? Di una grande partita di giro.

Nell’accordo firmato nel dicembre 2020 tra Mosca e Damasco il prestito russo prevedeva, tra le varie merci da esportare in Siria, grano, benzina e olio combustibile. Tutti generi indispensabili all’alleato di Mosca più piegato dalle sanzioni internazionali, oltre che dalla siccità, dalla svalutazione della moneta e da 11 anni di guerra civile. A gestire la partita e a beneficiare dei proventi, tre imprese statali russe: Rosoboronexport, l’agenzia per l’importazione e l’esportazione di armi e tecnologia a duplice uso; il Kbp Instrument design bureau, specializzato in munizioni di precisione e sistemi di difesa aerea; Vodstroy, che coordina i progetti infrastrutturali per la Siria. Le prime due erano già state sanzionate dal governo degli Stati Uniti nel 2014, mentre Vodstroy è fallita nell’ottobre 2021.

Altri due destinatari della spericolata partita di giro sono entità private: la Evro Polis Llc e e la Stg Engineering Llc. Ma chi sono i titolari? I nomi che girano in Russia sono sempre gli stessi, e fanno parte del cerchio magico di Vladimir Putin: in questo caso, gli oligarchi Gennady Timchenko, proprietario del gruppo di investimento privato Volga Group, uno dei principali azionisti del gigante del gas naturale Novatek; e Yevgeny Prigozhin, fondatore e titolare del famigerato Wagner Group, la società di mercenari impiegati tanto nella guerra di Siria quanto in quella di Ucraina ( e coinvolti in numerosi crimini contro l’umanità). Evro Polis Llc è infatti una delle tante società di Prigozhin, così come la Stg Engineering Llc è proprietà di Timchenko.

«I russi hanno iniziato molto tempo fa a trattare la Siria come un teatro da cui ricavare entrate, non in cui spenderle. Questi prestiti sfavorevoli sono del tutto in linea con tale approccio. Il ministero della Difesa russo adotta lo stesso metodo con i generali russi che acquisiscono proprietà e contanti ogni volta che ruotano in Siria per incarico. E non c’è niente che Assad possa fare al riguardo: la debolezza militare del suo regime lo rende dipendente dal sostegno russo» spiega il colonnello Joel Rayburn, ex vice inviato degli Usa in Siria.

Il trucco è maggiorare il prezzo: la Stg Engineering, per esempio, ha offerto grano alla Siria a 319 dollari a tonnellata quando il prezzo fissato dal mercato internazionale era 283, mentre Ozk nel gennaio scorso lo ha fornito a 317 dollari a tonnellata, contro il prezzo medio di 290. E non è tutto: in larga parte, dopo aver incassato i soldi di Damasco, la società non ha neppure consegnato il grano. «Alcuni accordi in merito al suo approvvigionamento erano in sospeso da mesi perché mancava una firma da parte russa e i russi si sono presi il loro tempo per darglielo» ha rivelato il dossier in mano a New Lines, dove si sottolinea anche la scarsa qualità del (poco) grano effettivamente fornito.

Non solo: non c’è nulla nell’accordo che faccia riferimento al prezzo dei beni e servizi offerti alla Siria dalla Russia o se le merci abbiano un prezzo competitivo e/o siano ancorate ai mercati internazionali. È insomma il più classico dei contratti-capestro. Si legge nel dossier che in pratica «la Russia può chiedere quello che vuole» in termini di costo dei beni e servizi offerti alla Siria attraverso questo contratto. Anche perché, sebbene si stabilisca che i prezzi devono essere quotati in dollari Usa, tutti i pagamenti del prestito devono però essere effettuati in rubli o euro, secondo il tasso di cambio ufficiale. E chi stabilisce questo tasso? Ovviamente, la Banca centrale russa.

Secondo Gavin Wilde, ex direttore durante l’amministrazione Trump del Consiglio di sicurezza nazionale Usa per Russia, Paesi Baltici e Caucaso, i prestiti siriani mostrano «il nesso tra l’evasione delle sanzioni, l’avidità pura e la tendenza a sfruttare – se non addirittura colonizzare – le risorse di nazioni dilaniate da un conflitto i cui cittadini non possono permetterselo».Qui c’è lo zampino di Yevgeny Prigozhin: il lavoro della sua Wagner in Siria è stato ben remunerato. Non dal Cremlino, bensì da Damasco, che gli ha garantito il 25 per cento di tutte le entrate estrattive dei campi energetici strappati di mano allo Stato islamico. Ecco perché la Wagner in Siria si è concentrata molto su quegli obiettivi: Prigozhin ha focalizzato là i suoi mercenari, quindi è passato all’incasso. Ma niente è gratis neppure per lui: parte di quei soldi sono tornati a Mosca attraverso un finanziamento che Prigozhin ha fatto a favore dell’Internet research agency (Ira), comunemente nota come «fabbrica di troll», ovvero l’arma più affilata della disinformazione russa, impegnata in operazioni segrete in tutta Europa.

Questo spaccato chiarisce sin troppo bene come la clava sanzionatoria sia uno strumento effimero come «arma nucleare» da usare contro Mosca. Fermare le guerre con le sole sanzioni, purtroppo, non sarà mai possibile poiché, come dimostra il caso siriano, le scappatoie sono fin troppe e diversificate.

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