La vicenda della Global Sumud Flotilla si sta trasformando in un caso politico e diplomatico che va ben oltre la consegna di aiuti umanitari a Gaza. Nonostante i ripetuti avvertimenti delle intelligence occidentali, compresa quella italiana, e l’impegno diretto di Palazzo Chigi per garantire una via d’uscita sicura, gli organizzatori hanno scelto di proseguire la missione verso la Striscia. Una decisione che dimostra, più che lo slancio umanitario, l’obbedienza a una precisa agenda politica dettata dai finanziatori della Flottilla: Hamas.
Nelle ultime ore almeno tre agenzie di intelligence – italiana, europea e mediorientale – hanno avvertito che entro 48 ore potrebbero esserci nuovi attacchi israeliani, anche più intensi di quelli avvenuti tra il 23 e il 24 settembre. Eppure, a bordo delle imbarcazioni non si registrano segnali di marcia indietro. Gli attivisti ribadiscono l’obiettivo originario: «rompere l’assedio illegale e consegnare gli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza», denunciando il presunto «genocidio» e la «pulizia etnica» in corso.
Il governo italiano, consapevole della delicatezza della situazione e dei rischi militari, aveva elaborato una soluzione concreta. L’idea, costruita in coordinamento con autorità cipriote e con il patriarcato latino di Gerusalemme, prevedeva di scaricare gli aiuti a Cipro per poi farli arrivare nella Striscia attraverso canali umanitari sicuri. Una via percorribile che avrebbe garantito la consegna di cibo e farmaci senza trasformare la Flottilla in un bersaglio. La proposta è stata però rifiutata senza esitazione dagli organizzatori, che hanno accusato Israele di voler bloccare ogni ingresso di beni e hanno preferito puntare sulla rotta diretta, la più pericolosa.
Tra i sostenitori della missione non mancano esponenti politici italiani. L’eurodeputata di Avs, Benedetta Scuderi, ha dichiarato che la Flottilla «non punta solo a consegnare cibo e medicinali, ma anche ad aprire canali alternativi, visto che quelli ufficiali non funzionano». Parole che, di fatto, sposano la linea propagandistica di Hamas, secondo cui Israele impedirebbe sistematicamente l’arrivo degli aiuti. Dati ONU riportano che ogni giorno entrano nella Striscia tra i 60 e i 70 camion, a fronte di un fabbisogno di circa seicento. Numeri che evidenziano difficoltà logistiche, ma non giustificano il rischio di una sfida navale.
Sul fronte della sicurezza, Roma non è rimasta a guardare. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha annunciato l’invio di due fregate italiane: la Fasan, già presente nell’area di Creta con funzioni di supporto, e la Alpino, in grado di fornire capacità aggiuntive. «Non si tratta di navi scorta – ha precisato Crosetto – ma di soccorso, se fosse necessario». Una mossa che testimonia come il governo abbia fatto di tutto per prevenire incidenti, tutelando cittadini italiani ed europei coinvolti nell’operazione.
Anche la Spagna si è mossa, seppure in direzione opposta: Madrid ha deciso di inviare la nave militare Furor con lo scopo dichiarato di «proteggere la Flottilla». Una scelta che evidenzia la divisione interna all’Europa, con Sánchez che si schiera apertamente al fianco degli attivisti mentre Roma insiste su una gestione pragmatica, orientata a garantire sicurezza e legalità internazionale.
La questione centrale rimane però la natura stessa della missione. Le parole degli organizzatori e la loro ostinazione a rifiutare canali umanitari sicuri dimostrano che la Flottilla non è un’iniziativa autonoma della società civile, ma uno strumento politico che risponde a precise direttive dei suoi finanziatori. E i finanziatori, come emerso in più inchieste internazionali, sono le strutture collegate ad Hamas. In questo quadro, la rotta verso Gaza non appare come un gesto di solidarietà, ma come una provocazione pianificata per creare un incidente internazionale, spingere Israele a reagire e alimentare la narrativa della “resistenza” palestinese.
Il governo italiano, dal canto suo, ha mostrato senso di responsabilità: ha offerto un’alternativa concreta per la consegna degli aiuti, ha messo in campo la Marina militare per prevenire emergenze, ha lavorato per ridurre i rischi. Se la missione dovesse trasformarsi in un caso di scontro diretto, la responsabilità ricadrebbe interamente su chi, ignorando ogni avvertimento, ha deciso di seguire le direttive di Hamas invece che salvaguardare la vita delle persone coinvolte e l’effettiva consegna degli aiuti umanitari.
La Global Sumud Flotilla si presenta dunque come l’ennesima operazione di propaganda mascherata da iniziativa umanitaria. Israele la considera una minaccia legittima in tempo di guerra, e non è difficile capire perché: ciò che viene presentato come “solidarietà” è in realtà un tassello di una più ampia strategia politica, in cui la vita dei civili e la sicurezza internazionale passano in secondo piano rispetto alla propaganda.
