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Le mani dell’Islam sulle università americane

Le mani dell’Islam sulle università americane

I paesi arabi sovvenzionano per miliardi molti atenei americani. Forse per questo oggi tanti studenti sono contro Israele e ostili verso gli ebrei.


Un’autentica mutazione genetica. Numerose università americane tra le più prestigiose al mondo – Yale, Princeton, Harvard, Stanford, la George Washington University – hanno un serio problema: sono sempre meno indipendenti e sempre più condizionate dalle politiche radicali di Paesi stranieri come Qatar, Kuwait e Arabia Saudita, che ogni anno spendono miliardi di dollari in finanziamenti a fondo perduto, volti a influenzare le giovani generazioni di studenti e ad avvicinare sempre più la cultura americana all’Islam (quando non direttamente a fare proselitismo).

Prova ne sia quanto si registra in queste ultime settimane, dopo il vile attacco di Hamas in Israele e la dura risposta di Gerusalemme nella Striscia di Gaza: i campus simbolo dell’America intellettuale e progressista sono diventati teatro di scontri accesi fra ebrei e sostenitori di Israele da un lato, e gruppi di attivisti pro-palestinesi dall’altro (c’è già scappato il morto). Manifestazioni e presìdi con cartelli pro Hamas affollano ormai da giorni le strade e le piazze intorno agli atenei, mentre uno dei palazzi del Congresso di Washington e poi la Grand Central Station di New York hanno ospitato occupazioni estemporanee e manifestazioni studentesche dell’una e dell’altra parte, sfociando in alcuni casi in scontri con la polizia.

Presso la solitamente tranquilla Amherst University del Massachusetts, 57 studenti anti-israeliani sono stati arrestati dopo aver preso il controllo dell’edificio amministrativo dell’ateneo. Mentre a Tulane, New Orleans, decine di arresti sono stati effettuati in seguito a una rissa scoppiata tra studenti ebrei e gruppi filo-palestinesi. Ma guai a pensare che si tratti soltanto di problemi di ordine pubblico o di episodi di antisemitismo – «abbiamo tutti paura», confessano in ogni caso gli studenti ebrei – perché la questione è anche di cultura politica e pertanto non rimane in superficie ma va in profondità.

Russell Rickford, professore associato di Storia alla Cornell University, durante una manifestazione filo-palestinese ha definito il massacro di Hamas «esilarante» ed «energizzante», invitando al boicottaggio dei libri scritti da autori di origine ebraica perché a suo dire palesemente distorsivi della realtà. Mentre il politologo della Columbia Joseph Massad ha descritto l’attacco terroristico del 7 ottobre (oltre 1.500 civili israeliani morti, tra cui circa 30 cittadini statunitensi) come un «importante risultato della resistenza». A Stanford, intanto, un insegnante è stato sospeso dopo aver costretto gli studenti di religione ebraica nella sua classe a rivelarsi chiedendo loro di alzare la mano, per poi accusarli di essere «colonizzatori», mettendo in dubbio persino l’Olocausto.

Ecco il risultato dei finanziamenti che Qatar, Kuwait e Arabia Saudita fanno arrivare da decenni in questi atenei dove studiano migliaia di giovani musulmani, che qui hanno fondato decine di organizzazioni studentesche, tutte più o meno controllate dai Fratelli musulmani, ovvero la formazione politica che si richiama al dovere di fedeltà ai valori islamici tradizionali e che ritiene la Jihad un «doveroso impegno». E che per tale ragione è osteggiata dagli stessi Paesi Arabi: Egitto, Siria, Arabia Saudita ed Emirati Arabi la considerano «organizzazione terroristica» né più e né meno come gli Stati Uniti e l’Unione Europea definiscono Hamas. Mentre Qatar e Turchia proteggono e foraggiano apertamente i Fratelli musulmani. Questa deriva pericolosissima è stata consentita se non favorita dalle ultime presidenze democratiche – Barack Obama prima e Joe Biden poi – che già in occasione delle rispettive campagne elettorali hanno iniziato a corteggiare la comunità musulmana e relative associazioni come il Council on American-Islamic Relations e moltissime altre che pure hanno Israele nel mirino.

Fino a tre settimane fa, sembrava che la questione non interessasse a nessuno. Il denaro scorreva attraverso i soliti canali delle donazioni senza alcun ostacolo, nonostante l’11 settembre. Secondo uno studio pubblicato nel 2022 dalla National Association of Academics (che all’epoca non suscitò il minimo clamore), proprio dopo gli attentati dell’11 settembre e fino a tutto il 2021 dal Qatar erano arrivati negli atenei degli Stati Uniti ben 4,7 miliardi di dollari. I destinatari di questi «fondi per la cultura», però, non avevano correttamente denunciato il denaro ricevuto, come invece previsto dalla legge; solo così si è scoperto che la provenienza di quel denaro dal Medio Oriente non era giustificata.

Il problema è che il Qatar non è soltanto il più rilevante donatore internazionale verso il mondo accademico americano, ma anche il più grande sponsor di Hamas, prima ancora che l’arcinemico Iran. Al secondo posto tra i finanziatori islamici degli atenei troviamo: l’Arabia Saudita con 2,2 miliardi di dollari; quindi il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti con un miliardo e oltre a testa; l’Oman con 116 milioni, l’Egitto (98 milioni); il Bahrein (54 milioni); l’Iraq (50); la Giordania (21); il Libano (16); persino la Palestina, con 7 milioni e 461 mila dollari; la Libia con poco più di 4 milioni e infine la Tunisia, che ha versato un milione di dollari. Un’indagine condotta nel 2020 dall’Isgap, l’Istituto per lo studio dell’antisemitismo e della politica globale, di cui Elie Wiesel è stato presidente onorario, ha rivelato un collegamento diretto tra l’ammontare delle donazioni provenienti dal Qatar e da altri Paesi del Golfo Persico e la presenza di gruppi filo-palestinesi nei campus universitari: guidati da SJP (Students for Justice in Palestine), questi gruppi hanno organizzato manifestazioni e «giorni di rabbia» subito dopo l’8 ottobre, dunque ancor prima che Israele iniziasse a condurre operazioni significative a Gaza. In una scena surreale presso il piccolo college privato Cooper Union, a New York, l’amministrazione è stata costretta addirittura a chiudere a chiave gli studenti ebrei nella sua biblioteca per proteggerli da una folla inferocita di manifestanti che, aizzati dai caporioni di SJP, avevano fatto irruzione nel campus, eludendo la sorveglianza.

Alla George Washington University, invece, la più antica istituzione cattolica e gesuita di istruzione superiore degli Stati Uniti, nonché fucina di alcuni dei più grandi talenti politici statunitensi, uno studente filo-Hamas è stato lasciato libero di proiettare messaggi antisemiti sul muro della biblioteca, come: «Gloria ai nostri martiri». La gloriosa Georgetown ha ricevuto non meno di 750 milioni di dollari di donazioni da fondazioni islamiche riconducibili al governo qatarino. Negli Stati Uniti si credeva finora che approfondire la cooperazione con il Qatar e ricevere donazioni per creare filiali di prestigiose università americane (Cornell, Georgetown, Northwestern e Carnegie Mellon, hanno aperto filiali a Doha, la capitale), fosse un altro modo per espandere il proprio «soft power», ma in pratica è accaduto il contrario. Attraverso il denaro, è semmai il Qatar che sta aprendo la strada al fondamentalismo in America attraverso un’influenza sempre più profonda su un numero crescente di campus – e dunque di studenti – degli Stati Uniti.

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