- Grecia contro Turchia: acque agitate nell’Egeo
- Islamabad-Teheran-Istanbul: la rotaia della seta
Da anni i due Paesi sono in disputa per le frontiere marine e per la sovranità di un’area strategicamente cruciale nell’Est del Mediterraneo. Ora che Atene si è alleata con la Francia per la fornitura di navi, e per una reciproca difesa, la tensione è tornata a salire. E Bruxelles che fa? Come al solito, sulla questione tace.
Il sole autunnale sembra accarezzare il blu del mar Egeo dopo un’estate che, a differenza della precedente, è trascorsa senza apparenti tensioni fra Turchia e Grecia. Ma non solo queste non sono scomparse. Al contrario, Ankara è pronta a tornare all’attacco per far valere la sua posizione negli equilibri del Mediterraneo orientale del futuro; e per rendere chiaro che non scherza in questi giorni ha di nuovo spedito al largo di Cipro Nord le proprie navi da guerra.
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, lo ha promesso: «Non accetteremo mappe fabbricate» ha scandito. «Nell’est del Mediterraneo siamo pronti a fare valere i nostri diritti contro chi utilizza le leggi internazionali con un doppio standard». La mappa «fabbricata» che ha fatto tanto irritare il capo di Stato turco è quella dell’Università di Siviglia, che in base al diritto internazionale assegna gran parte delle acque pertinenziali alla Grecia, lasciando alla Turchia solo una piccola area.
La disputa di Ankara va avanti ormai da anni: passa dalla ridefinizione degli spazi marini, secondo la Turchia assegnati erroneamente in maniera preponderante ad Atene, e mette anche in discussione la sovranità di alcune isole, da tempo sotto la Grecia e a essa culturalmente affini, e che invece il presidente turco ritiene dovrebbero passare sotto il controllo della Mezzaluna.
Fra queste c’è pure Kastellorizo, indimenticato set del film Mediterraneo, che si trova di fronte alla costa turca e che Ankara considera suo territorio nazionale tanto che, due estati fa, Atene è stata costretta a schierare l’esercito sull’isola come gesto simbolico.
Di mezzo non c’è solo la partita per le acque pertinenziali, ma, ben più importante, il progetto EastMed: il gasdotto che potrebbe cambiare le vie dell’energia e dal quale la Turchia rimarrebbe clamorosamente esclusa, perché si trova in pessimi rapporti con tutti e tre i Paesi che hanno firmato l’accordo preliminare, ossia Cipro, Grecia e Israele.
La condotta, che trasporterà il gas trovato nelle acque di Egitto, Israele e Cipro, dà molto fastidio anche alla Russia di Vladimir Putin. Il presidente russo sulla questione energia ovviamente è inflessibile e non gradisce Paesi che possano diventare attori alternativi a Mosca. Erdogan, dal canto suo, non può assolutamente perdere questa battaglia; sta quindi cercando di sfruttare i contenziosi storici con Nicosia e Atene, se non per bloccare il progetto, almeno per entrare a farne parte.
Per questo è disposto a tutto, a partire dalle minacce ad Atene cui ha ben presto unito quelle indirizzate all’Unione europea, con la quale Ankara ha gioco facile potendo utilizzare un’arma sempre molto efficace: ovvero i migranti. Bruxelles non solo non sembra intenzionata a intervenire nella questione e a difendere Atene e Cipro, che pure sono due membri dell’Unione. Per non irritare la Mezzaluna, si è affrettata a far sapere che la contestata mappa dell’Università di Siviglia «non rappresenta la posizione della Ue».
Come sempre, si va avanti in ordine sparso. In attesa di capire come il governo di Mario Draghi vorrà affrontare la questione, c’è qualcuno che ha già deciso come comportarsi. Il presidente francese Emmanuel Macron a fine settembre ha firmato con il capo di governo greco, Kiryakos Mitsotakis, un accordo di difesa con Atene. Il documento prevede l’impegno da parte della Grecia di acquistare navi da guerra francesi per un valore di almeno 3 miliardi di euro. Ma il punto più importante è un altro: i due Paesi si sono impegnati a difendersi a vicenda in caso di aggressione.
Una clausola, questa, che va tutta a favore della Grecia e rappresenta un messaggio forte non solo per Ankara, ma anche per il Paese che ha guidato la politica estera nella Ue in questi anni: la Germania. Il dopo Merkel appare ancora incerto, ma con oltre 3 milioni di turchi sul proprio territorio, difficilmente Berlino si farà portavoce di una politica muscolare nei confronti della Mezzaluna, che rappresenta uno degli Stati dove la Germania esporta maggiormente.
Nell’estate 2020 era stata la cancelliera a evitare che le tensioni fra Turchia e Grecia sfociassero in un conflitto armato. Senza di lei, Erdogan rischia di poter fare il bello e cattivo tempo, con buona pace della Commissione europea. Tutto grasso che cola per Macron, che con l’ostilità verso la Turchia, coglie due opportunità: aumentare l’influenza della Francia nel Mediterraneo e proporsi come alternativa allo strapotere fin qui esercitato dalla Germania nell’Unione.
«Gli europei la devono smettere di essere ingenui» ha affermato il presidente francese durante la sua recente visita in Grecia. «Quando siamo sotto pressione di poteri che diventano assertivi, abbiamo bisogno di agire e mostrare che abbiamo il potere e la capacità di difenderci. Non dobbiamo permettere una escalation negli eventi, ma imparare a proteggerci». Che, tradotto, significa: Erdogan non compiere passi falsi e nessuno si farà male.
Le acque a est, però, rimangono agitate. La Turchia non ha alcuna intenzione di farsi da parte, al contrario ha rilanciato il dibattito sulle acque territoriali e di pertinenza, con la dottrina della «Mavi Vatan», la Patria Blu: costruita a tavolino nel 2011, assegnerebbe alla Mezzaluna gran parte dei mari che invece sono sotto giurisdizione greca, ponendo anche una grave questione sulla nazionalità di decine di isole.
«La soluzione migliore è trovare un compromesso con Ankara su Eastmed» dice a Panorama l’analista dell’area Michaël Tanchum «e in cambio rinunciare alle pretese sulle acque territoriali. Si tratta dell’unico modo per evitare un aggravamento delle tensioni o il fallimento del progetto». Inoltre Macron dovrà confrontarsi anche con Putin, con il quale è in ottimi rapporti che non può permettersi di guastare.
«Questo accordo fra Francia e Grecia può costituire un primo tentativo di un esercito europeo» dice Faithon Karaiosifidis, esperto di difesa greco. «Non è una decisione militare quella presa da Macron e Mitsotakis, ma politica. Nessuno avrebbe potuto pensare a un aiuto del genere in arrivo da Paesi extra-Ue. La difesa reciproca fra Francia e Grecia è qualcosa su cui Bruxelles dovrà riflettere e, finalmente, fare i conti».
Islamabad-Teheran-Istanbul: la rotaia della seta
Binari che corrono attraverso altopiani sconfinati, ponti a strapiombo sui dirupi, infinite solitudini asiatiche. Potremmo essere ne Il treno per Istanbul di Graham Greene, ma su questo convoglio non ci sono carrozze di lusso e viaggiatori stravaganti. La ferrovia Islamabad-Teheran-Istanbul, 6.500 chilometri, ha scopi molto più prosaici. Fare soldi e permettere l’avanzata della Cina verso Occidente.
È uno dei progetti più ambiziosi della nuova Via della seta del gigante asiatico. E la tratta, dopo 12 anni, è pronta. Già nel 2020 il ministro dei Trasporti turco, Adil Karaismailoglu, aveva annunciato il suo rilancio per unire tre potenze musulmane molto diverse tra loro. Della nuova rotta della Seta sono stati sottolineati i vantaggi commerciali, persino ecologici.
A marzo il consigliere per il Commercio del premier pachistano Imran Khan, Abdul Razak Dawood, aveva specificato che ogni treno avrà una capacità da «750 tonnellate di merci», produrrà meno gas serra rispetto alle navi, e ha definito l’accordo «il testamento della nostra amicizia» con Turchia e Iran. Il piano è stato lanciato per la prima volta il 14 agosto 2009, in via sperimentale, dai tre Paesi coinvolti.
Turchia, Iran e Pakistan hanno stretto accordi con Pechino, sempre più determinata a gareggiare nello scacchiere globale da superpotenza. «L’ostacolo più grande alla sua realizzazione è però il non aver incluso Stati Uniti e soprattutto India» fa notare a Panorama Francesco Sisci, sinologo e visiting professor della Luiss Business School. «Quest’ultima tra non molto avrà una popolazione maggiore della Cina. Inoltre, ci sono anche rivalità non indifferenti tra i Paesi centro-asiatici». Nel frattempo Teheran ha però firmato un memorandum che le garantisce 400 miliardi di dollari di investimenti cinesi; come contropartita affida settore petrolifero e infrastrutture al Dragone.
Il Pakistan, storico amico degli Stati Uniti, ha optato per un’alleanza con Pechino per contrapporsi all’India. Perciò ha consegnato loro ferrovie, autostrade e il porto di Gwadar, affacciato sul Mar Arabico. «Con quest’ultimo investimento la Cina ha un accesso al mare in più senza entrare nel Golfo del Bengala» spiega Sisci. «Il Pakistan però è fieramente indipendente, di non facile gestione e sunnita mentre, l’altro partner, l’Iran è sciita».
Anche la Turchia, alleato degli Usa e membro della Nato, dopo il fallito golpe del 2016 e la crisi finanziaria seguita alle sanzioni americane per l’acquisto del sistema missilistico S-400 dalla Russia, guarda sempre con più interesse al player globale asiatico. Recep Tayyip Erdogan cerca di ridisegnare il suo posizionamento internazionale e avvicinarsi al Dragone e al suo mega progetto di Via della seta.
Altro elemento problematico per dare il via alla rotta è la frontiera tra Iran e Pakistan nel Belucistan, ricco di minerali, gas, petrolio e oro. Qui ci sono spinte secessioniste da parte delle minoranze baluci e l’area è diventata terreno per gruppi jihadisti e trafficanti di oppio ed eroina. Xi Jinping per arginare il pericolo di instabilità ha firmato progetti per un valore di 11 miliardi di dollari con il Pakistan, tra cui una diga idroelettrica da 3,9 miliardi di dollari e un potenziamento ferroviario da 7,2 miliardi.
Lo scopo è collegare il Pakistan direttamente alla Cina attraverso l’Afghanistan e il Tajikistan. Sebbene la ferrovia sia stata lanciata per promuovere le relazioni tra i Paesi membri fondatori dell’Eco (Economic cooperation organization), offre un percorso breve e conveniente per il trasporto di merci anche tra Asia ed Europa. Dalla Turchia, infatti, la tratta può collegarsi alle reti ferroviarie europee tramite il tunnel sottomarino Marmaray di Istanbul. Il treno coprirà i 6.500 chilometri in 11 giorni e mezzo, mentre il trasporto via mare dai Paesi europei al Pakistan ne richiede 45.
Restano però alcune criticità. Il tratto fra Quetta e Taftan in Pakistan non è ancora a norma e finora la rotta è stata utilizzata solo per viaggi di prova. Poi ci sono le restrizioni poste dalle sanzioni statunitensi a Teheran. I clienti che esportavano negli Stati Uniti e in Europa sono riluttanti a prenotare uno spazio sul treno, poiché dovrebbe passare per l’Iran. D’altra parte, i clienti regionali – che esportano localmente – hanno volumi troppo piccoli e non si riesce a mantenere un regolare servizio ferroviario. Anche Mosca sta tentando di avviare collegamenti con Teheran e ha dovuto affrontare gli stessi problemi.
Infine il caos afghano, dopo il ritiro americano lo scorso 30 agosto, potrebbe complicare il quadro con una recrudescenza di terrorismo e jihadismo. Mentre la pandemia da Covid-19 ha messo in evidenza le strozzature nelle grande vie commerciali, i prezzi del trasporto aereo e marittimo sono saliti alle stelle e hanno reso il progetto allettante. Tanto che si sta già pensando anche a un servizio per viaggiatori. E presto uno scrittore potrebbe di nuovo trovare la giusta ispirazione per un raffinato racconto dai personaggi stravaganti.
