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Il triangolo Roma, Parigi, Washington

Il triangolo Roma, Parigi, Washington

Mario Draghi sta rafforzando l’asse che dall’Europa attraversa l’Atlantico. Primi obiettivi: essere sullo stesso piano della Germania e recuperare le posizioni perdute dall’Italia in Libia.


La cooperazione tra Roma e Parigi si sta rivelando molto intensa sul piano della sicurezza interna, come segnalano gli arresti dei brigatisti italiani in Francia e l’arresto in Italia dell’albanese che faceva da basista per l’autore della strage di Nizza nel 2016. Ma c’è molto altro.

Le compagnie petrolifere Eni e Total sembrano aver finalmente raggiunto un equilibrio sulla Libia. Silvio Berlusconi e Vincent Bolloré, inoltre, hanno sotterrato l’ascia di guerra dopo anni di carte bollate. Come immediata conseguenza, Mediaset può ora dedicarsi con rinnovato vigore all’acquisizione di ProSiebenSat.1, il secondo gruppo radio televisivo europeo. Nel comparto creditizio italiano, infine, i francesi già in passato hanno fatto abbondante shopping: Bnl acquisita da Bnp Paribas, CariParma comprata da Crédit Agricole, Pioneer da Amundi.

Con Mario Draghi a Palazzo Chigi, il governo italiano non ha ostacolato l’acquisizione del Credito Valtellinese da parte dei francesi di Crédit Agricole. Per farla breve: tra Francia e Italia è scoppiato l’amore, e tutto lascia a intendere che il Cupido geopolitico sia Joe Biden. Ecco perché. Si dà il caso che Draghi più che guardare verso Parigi, guardi verso Washington. Draghi non è Enrico Letta, né Romano Prodi. Le onoreficenze da Parigi non sono mancate, certo, ma la storia personale di Draghi è molto più atlantista di quelle dei numerosi francofili che popolano la politica italiana, specie nel centrosinistra. Proprio per questo, è attraverso le «lenti atlantiche» che va analizzata la convergenza italo-francese.

Agli occhi degli Stati Uniti, il tandem Roma-Parigi potrebbe essere un rimedio per puntellare la Ue nell’assenza della Germania, i cui vertici politico-istituzionali sono già assorbiti dalla campagna elettorale e saranno ulteriormente distratti dal periodo di assestamento che seguirà al voto. Non si può inoltre dimenticare che, già a suo tempo, Barack Obama attribuì all’austerity euro-tedesca una parte significativa delle proprie sventure elettorali (leggi: la perdita di molti voti al Congresso, che ne ostacolò la libertà d’azione alla Casa Bianca).

Oggi Joe Biden è molto attento ad assicurarsi un allineamento dell’Eurozona rispetto alle due grandi iniziative dell’amministrazione democratica: il pedale sul piede dell’acceleratore fiscale, e una massiccia campagna di investimenti «green». Nessuna delle due può essere coronata da successo se il Vecchio continente rimane tiepido. Il prezzo da pagare per Biden, ancora una volta, sarebbe una mazzata alle elezioni di «mid-term» dell’anno prossimo. Altra importante ragione per cui Washington benedice la convergenza italo-francese è la volontà di mandare un segnale forte a turchi e russi, la cui esuberanza strategica li ha ormai portati a poche miglia di distanza dalla Sicilia, uno dei principali pivot strategici americani nel mondo. Per quanto riguarda la Turchia, Draghi non ha esitato a definire «dittatore» Recep Tayyip Erdogan.

Da una parte, Draghi ha segnalato un secco cambio di postura rispetto al suo predecessore Giuseppe Conte e ai suoi salamelecchi italiani ad Ankara. Ovvio dunque che con Draghi non si siano ripetuti episodi come quello degli inizi di ottobre dello scorso anno, quando Luigi Di Maio accolse il proprio omologo turco Mevlüt Cavusoglu e Conte discuteva al Consiglio Ue delle possibili sanzioni alla Turchia. Dall’altra parte, Draghi ha segnalato la volontà di controbilanciare il processo di saldatura tra Germania, Turchia e il Nordafrica, di cui Taranto, e in particolare la direttrice Turchia-Taranto-Tunisia, sono perno fondamentale.

Per quanto riguarda Mosca, Draghi ha chiarito già nel suo discorso inaugurale che non intende farne un nemico. Il che, tuttavia, è diverso dal mettere alcuni paletti. Il premier non vuole i russi in Libia, nè direttamente né per delega, e ha espressamente richiesto il ritiro dei mercenari dal Paese sahariano. Il messaggio risulta rafforzato dall’arresto molto mediatizzato di una talpa russa al ministero della Difesa italiano, e dall’espulsione di due diplomatici russi coinvolti nello spionaggio. È tramontata l’epoca in cui il ministro degli Esteri di Mosca Sergej Lavrov sottolineava disinvoltamente che la Russia è in Libia «per aiutare l’Italia», e i massimi vertici italiani ne lodavano pubblicamente il ruolo stabilizzatrice. Il triangolo strategico Italia-Francia-Usa è qui a ricordarcelo.
*Esperto di scenari strategici, fondatore di Policy Sonar

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