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Droni Militari in Africa: come stanno cambiando i conflitti armati nel Continente

Droni Militari in Africa: come stanno cambiando i conflitti armati nel Continente

Sono le 11.00 del 31 luglio 2024, il generale Abdel Fattah al-Burhan, leader delle Forze Armate Sudanesi (SAF), partecipa a una cerimonia di laurea dei cadetti militari. La scena è solenne, scandita da tamburi e squilli di tromba. Improvvisamente, un ronzio crescente spezza la parata. Pochi istanti dopo, un boato scuote la base: un drone ha colpito. Una seconda esplosione segue. In un video ripreso con un cellulare si vede la scena: Burhan, miracolosamente illeso, riappare poco dopo e giura di proseguire la guerra contro le Forze di Supporto Rapido (RSF), il gruppo rivale in una delle guerre civili più sanguinose del continente africano.

Quell’attacco non è un caso isolato, ma parte di una trasformazione più ampia che sta cambiando radicalmente il volto della guerra moderna. Con la diffusione globale dei sistemi d’arma senza pilota è iniziata una nuova era di guerra autonoma. In Ucraina, il teatro operativo dei droni più avanzato al mondo, nel 2024 questi dispositivi hanno provocato circa il 70% delle vittime sul campo, superando perfino l’artiglieria. Anche in Africa, i cieli sono sempre più affollati da droni da combattimento e da sorveglianza. Come si legge in un recente report dell’Africa Center for Strategic Studies (ACSS)  negli ultimi anni, almeno 15 Paesi africani sono stati teatro di centinaia di attacchi con droni. Dal 2020, ogni anno vengono siglati almeno 15 accordi bilaterali per l’acquisizione di droni militari, con forniture che vanno da pochi esemplari a intere dozzine. In totale, almeno 31 Stati africani hanno acquistato migliaia di unità individuali senza pilota. La crescita di questo fenomeno è alimentata dal calo dei costi, dai rapidi progressi tecnologici e dalla promessa di precisione chirurgica nei conflitti. A tutto ciò si aggiunge il desiderio di potenziare la sorveglianza e la capacità di proiettare forza contro avversari esposti, con rischi minimi per chi li impiega. Ma la realtà non è sempre all’altezza delle aspettative. I droni, sebbene percepiti come strumenti di guerra a basso costo e basso rischio, non si sono sempre rivelati infallibili. La loro efficacia, come dimostra il caso sudanese, dipende dal contesto operativo, dalle contromisure adottate e dalle capacità di chi li utilizza. L’Africa sta vivendo una rapida espansione dell’uso militare dei droni, spaziando dai piccoli dispositivi da ricognizione a velivoli d’attacco ad alta quota capaci di restare in volo per oltre 24 ore.

Tra i modelli più diffusi figurano il WanderB israeliano, lo Sky Eye statunitense e soprattutto il Bayraktar TB2 turco, diventato il drone da combattimento più impiegato nel continente. L’impiego del TB2 da parte del Governo di Accordo Nazionale (GNA) libico si è rivelato decisivo durante la battaglia di Tripoli nel 2020, contribuendo alla controffensiva contro le forze dell’Esercito Nazionale Libico (LNA) e stimolando una nuova corsa globale ai droni. La Turchia è oggi il principale fornitore di droni all’Africa, con 32 accordi firmati, seguita da Israele, Emirati Arabi Uniti e Iran. I Paesi africani puntano su soluzioni accessibili e fuori dai circuiti delle grandi potenze occidentali, cercando autonomia produttiva: almeno nove nazioni – tra cui Nigeria, Algeria e Sudafrica – assemblano o producono internamente droni militari. Il Sudafrica, attivo sin dagli anni ’70, resta il produttore più esperto del continente, mentre la tunisina ENOVA Robotics ha iniziato a esportare negli Stati Uniti. Anche gruppi armati non statali si stanno dotando di droni. Se in passato i costi e la complessità ne limitavano l’uso, oggi l’accessibilità crescente ha permesso a milizie attive in almeno nove paesi africani – tra cui Mali, Libia e Somalia – di impiegare droni nei conflitti. Questi sistemi stanno ridefinendo il modo in cui si combattono le guerre in Africa.

Nel 2024, l’Africa ha registrato 484 attacchi con droni, che hanno causato 1.176 vittime in 13 Paesi. Il Sudan, con 264 attacchi, e i paesi del Sahel, con 145, rappresentano insieme l’84% del totale. In Sudan, i droni da combattimento di media altitudine e lunga durata (MALE), in particolare i TB2 turchi e i Mohajer e Ababil iraniani, sono diventati strumenti chiave nei conflitti tra le SAF e le RSF. Entrambe le fazioni hanno ricevuto supporto esterno e si sono rapidamente attrezzate con arsenali senza pilota. Il territorio sudanese, pianeggiante e con scarsa copertura naturale, favorisce l’impiego di droni. Le SAF, responsabili di oltre il 90% degli attacchi registrati nel Paese, hanno sfruttato questi vantaggi tecnologici per respingere le RSF da Khartoum e dalle aree urbane circostanti tra fine 2024 e inizio 2025. Il Sudan, inoltre, ha avviato una propria produzione di droni. Nel 2023, la Military Industry Corporation ha presentato il Kamin-25, un drone kamikaze FPV (First-Person View), segnando un ulteriore passo verso l’autonomia tecnologica bellica del Paese. Pur non avendo una propria aeronautica, la RSF ha costruito un arsenale di droni, tra cui droni cinesi CH-4, droni armati serbi, FPV russi, droni suicidi e munizioni vaganti. Tra il 2023 e l’inizio del 2024 li ha usati con cautela, mirando a rafforzare le difese e colpendo obiettivi strategici, come nel caso dell’attacco quasi fatale a Burhan.

Da settembre 2024, ha intensificato gli attacchi con sciami di droni su El Fasher. Nel marzo 2025, le SAF hanno dichiarato di aver abbattuto oltre 100 droni in 10 giorni, segnalando una possibile produzione su larga scala da parte della RSF. Nel frattempo, nel Sahel, la diffusione di piccoli droni commerciali ha favorito l’uso tattico da parte di gruppi armati come lo Stato Islamico del Grande Sahara e Il Gruppo di Sostegno all’Islam e ai musulmani (JNIM), che li hanno impiegati per lanciare ordigni esplosivi improvvisati (IED) contro forze nemiche. Nel febbraio 2025, il JNIM avrebbe usato droni FPV con ordigni artigianali in un attacco in Burkina Faso. Come sottolineato nel report dell’Africa Center for Strategic Studies (ACSS) per contrastare la minaccia dei droni, le forze di sicurezza africane devono adottare rapidamente tecnologie anti-drone, tra cui radar, sensori acustici, sistemi di guerra elettronica (jamming e spoofing GPS) e contromisure fisiche come reti e intercettori. È essenziale anche che i governi comprendano meglio rischi e limiti dei droni armati e adattino le proprie strategie ma per alcuni paesi africani tutto questo è praticamente impossibile.

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