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Dritan Gjika arrestato ad Abu Dhabi: colpo all’impero della mafia albanese in Ecuador

Dritan Gjika arrestato ad Abu Dhabi: colpo all’impero della mafia albanese in Ecuador

Dritan Gjika, leader della rete mafiosa che ha trasformato l’Ecuador in una centrale logistica del narcotraffico internazionale, è stato arrestato ad Abu Dhabi. Il Paese andino, schiacciato tra Colombia e Perù, è oggi epicentro della rotta della cocaina verso Europa e Nord America. Tra violenza diffusa, corruzione e mafie straniere, lo Stato rischia il collasso.

Nonostante le sue dimensioni contenute, l’Ecuador è oggi al centro del narcotraffico internazionale con il Paese che è stato trasformato in una vera e propria piattaforma logistica per l’esportazione della droga verso l’Europa e il Nord America.

Dritan Gjika, ritenuto il vertice della mafia albanese del narcotraffico in Ecuador, è stato arrestato oggi ad Abu Dhabi nel corso di un’operazione congiunta coordinata dall’Unità nazionale dell’Interpol in Ecuador, in collaborazione con le controparti di Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti) e della Spagna. Il blitz è stato possibile grazie a un’attività investigativa sostenuta dallo scambio di informazioni attraverso il programma PAcCTO 2.0. Gjika era destinatario di due notifiche rosse diramate dall’Interpol per traffico di droga, riciclaggio di denaro e associazione a delinquere di stampo transnazionale. Stando ai dati dell’immigrazione, Gjika — 47 anni — avrebbe messo piede per la prima volta in Ecuador nel 2009, entrando con un visto turistico temporaneo. In pochi anni è diventato uno dei criminali più ricercati del Paese, accusato di essere al comando di una rete mafiosa attiva sia in Ecuador che in Spagna. L’organizzazione smista grandi quantità di stupefacenti verso l’America Centrale e l’Europa, con destinazioni principali nei Paesi Bassi, in Belgio e in Spagna. La struttura criminale capeggiata da Gjika si avvalsa di una fitta rete composta da dirigenti, operatori logistici e complici incaricati di portare a termine le attività illecite. Il denaro sporco viene ripulito attraverso società di comodo, legalmente costituite, e impiegato per mascherare attività commerciali e finanziarie. Secondo le accuse, l’organizzazione avrebbe riciclato oltre 43 milioni di dollari derivanti dal traffico di cocaina gestito dalla mafia albanese. Il gruppo è specializzato nel trasporto di cocaina prodotta nella Valle del Cauca, regione del sud-ovest colombiano, occultandola all’interno di container contenenti frutta — in prevalenza banane — esportata dall’Ecuador. Questa tecnica avrebbe permesso l’invio di almeno undici spedizioni dal porto di Guayaquil, il più importante del Paese, verso l’Europa, con destinazioni principali in Belgio, Spagna e Paesi Bassi.

L’Ecuador al centro del narcotraffico internazionale

Nonostante le sue dimensioni contenute, l’Ecuador è oggi al centro del narcotraffico internazionale. Privo di un passato da narco-Stato e con poche coltivazioni di coca, il Paese è stato trasformato in una vera e propria piattaforma logistica per l’esportazione della droga verso l’Europa e il Nord America. A certificarlo non sono soltanto i dati record sui sequestri, ma anche l’aumento della violenza e la crescente penetrazione di gruppi criminali stranieri, tra cui spicca la potente mafia albanese. Situato tra Colombia e Perù — i due maggiori produttori mondiali di cocaina — l’Ecuador ha visto moltiplicarsi i traffici illeciti nei propri porti. Guayaquil, in particolare, si è affermato come snodo cruciale per le partite di cocaina nascoste in container diretti verso l’Atlantico. Secondo il presidente Daniel Noboa, circa il 70% della cocaina globale transiterebbe oggi attraverso i porti ecuadoriani. Nel solo 2024, le autorità locali hanno sequestrato 252 tonnellate di cocaina, un balzo significativo rispetto alle 197 dell’anno precedente. Un dato ancora più eloquente è quello sul valore economico: a gennaio 2024, sono state distrutte 21,5 tonnellate di cocaina dal valore di mercato stimato in 45 milioni di dollari sul territorio ecuadoriano. Se quei carichi fossero arrivati a destinazione, ad esempio nei porti di Anversa o Rotterdam, il loro valore sarebbe lievitato fino a superare 1,5 miliardi di dollari. In parallelo, è stato rilevato un fenomeno ancora più preoccupante: l’individuazione di oltre 2.000 ettari di piantagioni illegali di coca sul territorio nazionale, con un potenziale profitto lordo stimato in 320 milioni di dollari. Questo segnala un’evoluzione: dall’uso del Paese come piattaforma logistica alla sua trasformazione in zona di produzione.

Mafie straniere e caos interno

A complicare ulteriormente il quadro è l’infiltrazione sempre più capillare di gruppi criminali internazionali. In particolare, la mafia albanese si è radicata in Ecuador stringendo alleanze con bande locali e penetrando nel settore portuale. Gli effetti si avvertono nelle strade: nel 2023, l’Ecuador ha registrato un tasso di omicidi pari a 44,5 ogni 100.000 abitanti, superando paesi come Colombia e Messico, tradizionalmente associati al narcotraffico. A pagarne le conseguenze è la popolazione civile, sempre più ostaggio di una spirale di violenza che colpisce anche giornalisti, forze dell’ordine, magistrati e lavoratori portuali. L’Ecuador non è più soltanto un Paese di transito. È diventato un terreno fertile dove traffico di droga, corruzione e criminalità armata si alimentano a vicenda. Il valore del mercato della cocaina — stimato in miliardi di dollari annui lungo tutta la filiera logistica — ha reso il Paese un obiettivo strategico per le mafie globali. E mentre lo Stato risponde con operazioni militari e proclami, i narcotrafficanti continuano indisturbati a inviare i propri carichi verso nord. Non servono più piantagioni o cartelli storici: oggi bastano un porto, un funzionario compiacente e una rete logistica internazionale.

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