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Aviazione, cosa cambia dopo l’accordo sulla Brexit

Aviazione, cosa cambia dopo l’accordo sulla Brexit

L’accordo raggiunto sulla Brexit tra Londra e Bruxelles comporta anche il cambiamento di alcune norme che riguardano le compagnie aeree ed i viaggiatori da e per il regno Unito.


Poteva andare peggio, il Regno Unito avrebbe potuto essere costretto ad abbandonare subito l’Agenzia europea per la sicurezza del volo (Easa), fatto che però non converrebbe né a Londra né al resto delle nazioni dell’Unione, in primo luogo perché buona parte delle normative aeronautiche comunitarie sono state scritte ispirandosi al pragmatismo di quelle dell’autorità inglese, la Civil Aviation Authority; secondo poiché la validità delle licenze europee emesse nel Regno Unito sarebbe decaduta rendendo anche non più automaticamente valide nell’Unione tutte quelle conseguite dopo il prossimo primo gennaio 2021. Di fatto non è obbligatorio essere nella Ue per restare in Easa, lo dimostra la Confederazione Elvetica, il cui ufficio dell’aviazione civile, l’Ufac, è membro Easa fin da poco dopo la costituzione dell’agenzia che ha sede a Colonia.

Proprio la Caa ha già comunicato di voler adottare come neo-normativa nazionale quella europea in essere usata fino a oggi, ricorrendo anche, laddove fosse inevitabile, a ristabilire gli accordi bilaterali con i singoli Paesi come avveniva prima della nascita di Easa.

Tuttavia altre norme, quelle che disciplinano la proprietà e il controllo delle compagnie aeree del Regno Unito e dell’Unione Europea dovranno invece essere riviste entro un anno dall’entrata in vigore del nuovo accordo Uk-Ue, almeno da quanto si evince leggendo il testo dell’accordo provvisorio siglato qualche giorno fa. Il nodo fondamentale da sciogliere è che secondo l’impianto legislativo attuale le compagnie aeree registrate nell’Unione devono essere possedute in maggioranza da cittadini o società con capitali riconducibili a nazioni dell’Ue anche se non per forza dell’Eurozona. Una volta che il periodo di transizione della Brexit sarà finito, quindi dal primo gennaio 2021, i vettori di Sua Maestà che richiederanno l’autorizzazione per operare dovranno essere giocoforza controllati dalla Caa e non più da Easa, mentre le partecipazioni inglesi nei vettori non saranno più conteggiate come quote Ue all’interno delle singole strutture societarie.

Una delle sezioni più interessanti nel testo dell’accordo post-Brexit appena pubblicato indica che, nonostante il nuovo requisito di proprietà, a un vettore del Regno Unito verranno comunque concesse autorizzazioni operative se è di proprietà maggioritaria di una nazione dell’Ue o dello Spazio economico europeo, inclusa la Svizzera, a condizione che il vettore possieda già una licenza di operatore aereo valida e resti sotto il controllo normativo dell’ente inglese.

Il testo che descrive in dettaglio le future relazioni Regno Unito-Ue nella parte dedicata all’aviazione civile commerciale afferma che le due parti “riconoscono i potenziali benefici della continua liberalizzazione della proprietà e del controllo” dei rispettivi vettori aerei, aggiungendo che Ue e Uk accettano di esaminare, attraverso un comitato specializzato sul trasporto aereo, “opzioni per la liberalizzazione reciproca della proprietà entro dodici mesi dall’entrata in vigore dell’accordo e nelle successive revisioni periodiche”.

Tutto a posto quindi? Non proprio, poiché l’accordo conferma restrizioni alle operazioni delle compagnie aeree che operano tra Regno Unito e il resto dell’Unione limitandole alla terza e quarta libertà dell’aria, sebbene ai servizi cargo britannici che comportano scali nell’Ue e nei paesi terzi verranno concessi diritti di quinta libertà.

In pratica ai vettori inglesi rimane il diritto di atterrare nel territorio di un altro Stato per imbarcare e sbarcare passeggeri, merci e posta imbarcati nel territorio nel quale l’aeromobile ha la nazionalità (Uk), rimane il diritto degli aeromobili di imbarcare passeggeri, posta o merci nel territorio di uno Stato Ue con destinazione nel territorio dello Stato di nazionalità dell’aeromobile (Uk), ma potrebbe essere rivisto il diritto di operare volando tra due nazioni dell’Unione senza toccare il Regno Unito. Alle compagnie inglesi saranno comunque consentiti accordi in codeshare (vendita di biglietti con il nome di un vettore ma operati da un altro), e slot negli aeroporti comunitari a condizione che non siano compagnie aeree rimaste al di fuori dell’accordo da sottoscrivere entro un anno e che queste “non costituiscano una forma dissimulata di servizi di linea”.

Entrambe le parti potranno noleggiare aeromobili con formula “senza equipaggio” da qualsiasi società comunitaria e non, ma i vettori del Regno Unito potranno farlo con equipaggi di altri operatori del Regno Unito o dell’UE, mentre i vettori dell’UE potranno utilizzare aeromobili con equipaggi comunitari ma non con licenze di volo inglesi. Ciascuna parte potrà quindi noleggiare aeromobili con equipaggi di altre nazioni per una durata strettamente limitata se l’operazione sarà giustificata da esigenze eccezionali o da difficoltà operative, e in tempi di grande crisi come questi è praticamente inevitabile. I vettori di ciascuna parte potranno infine eseguire auto-assistenza nei territori dell’altra senza limitazioni ed anche scegliendo il proprio handler (società fornitrici di servizi aeroportuali per movimenti, rifornimenti, imbarchi e gestione bagagli), che non potrà mai essere imposto da una nazione ad una compagnia. La “rigidità” europea che ha portato a questo accordo rischia di naufragare in poco tempo e difficilmente l’impianto attuale potrà funzionare senza le previste modifiche annuali. Di certo un vettore British non potrà più volare automaticamente (senza autorizzazione governativa) tra Milano e Ginevra, Monaco o Parigi, così come uno irlandese non potrà più operare automaticamente tra Italia, Spagna e Regno Unito. Almeno inizialmente, perché nel momento in cui sarà necessario ricostruire i volumi di trasporto aereo in essere due anni fa, e con quelli i livelli occupazionali, certamente questi paletti, messi a salvaguardia della concorrenza dei voli tra Ue e Uk, non converranno più a nessuno. Se poi si pensa che i registri aeronautici legati al Regno Unito (Gran Bretagna, Gibilterra, Man e Guernsey), sono quelli con più velivoli registrati al mondo dopo gli Usa e tra i più convenienti al mondo sotto il profilo fiscale, la Ue dovrebbe riflettere a lungo su dove potrebbero scappare le flotte dei Paesi membri.

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