Ormai è emergenza continua. In diversi Paesi, per sopperire alla scarsità di piogge, si ricorre alla desalinizzazione. Un metodo che andrebbe adottato anche in Italia.
Ormai è un fatto che le piogge nel nostro Paese scarseggino. La speranza che si tratti di un fatto limitato nel tempo si affievolisce sempre di più per due ragioni sostanziali. La prima è che, come risulta dal database georiferito ad alta definizione ArCIS, se nel Centro -nord le piogge annuali dal 1961 al 2022 non mostrano tendenze significative in crescita o calo, quelle tra giugno e agosto si sono ridotte nello stesso periodo in maniera evidente in ampie zone del territorio nazionale. Insomma, la siccità sembra una vera tendenza degli ultimi 60 anni, che si potrebbe riassumere dicendo che d’estate non piove quasi più.
La seconda ragione è che i modelli dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) prevedono per l’Italia periodi secchi sempre più prolungati. Qualche settimana fa uno studio di ricercatori italiani su Nature Climate Change certificava che nell’ultimo secolo la durata del manto nevoso annuale sulle Alpi si è accorciata di oltre un mese. E meno neve significa sofferenza per i fiumi.
La domanda è quali strategie adottare. È emersa da più parti la proposta di sfruttare l’acqua di mare desalinizzandola come fanno altri Paesi, quali Giappone, Australia, Corea del Sud, Singapore e Medioriente. Israele, per esempio, con i suoi impianti ottiene circa 500 mila metri cubi di acqua al giorno per uso potabile, e il Giappone un milione di metri cubi al giorno. Anche l’Italia potrebbe sfruttare il mare? Con quali costi economici ed energetici? Ed è davvero questa la strategia su cui puntare oppure conviene concentrarsi su altre politiche di gestione delle acque?
Lo abbiamo chiesto a Lidietta Giorno, dirigente di ricerca dell’Istituto per la tecnologia delle membrane (Itm) del Cnr. «Partirei dal fatto che la siccità ci impone di non perdere nulla delle acque che consumiamo. L’Italia non si può permettere di sprecare l’80 per cento delle acque che vengono trasportate per il consumo. E non solo per ragioni ambientali, ma anche perché i costi sono caricati sugli utenti. Oggi ci sono tecnologie avanzate che permettono di individuare le perdite ponendovi rimedio, sarebbe auspicabile una legge che recepisca le direttive europee per monitoraggio e gestione delle acque».
C’è poi l’enorme potenzialità delle acque reflue, utilizzate da tutte le attività umane, dagli scarichi dei lavandini a quelli delle industrie. «Possono essere purificate da tutte le sostanze organiche e inorganiche potenzialmente inquinanti per i terreni fino a raggiungere gradi di purezza tali da divenire potabili» dice Giorno. «Occorre solo superare quella barriera psicologica che rende i consumatori restii a bere acque purificate. Molti hotel di lusso all’estero possiedono impianti che purificano le acque reflue rendendole riutilizzabili per scopi umani». In Italia, varie città hanno impianti di questo tipo: come il depuratore di Nosedo a Milano, che purifica 2,2 miliardi di metri cubi di acqua di scarico per un totale di 150 milioni di metri cubi l’anno in agricoltura, e con una presenza batteriologica 50 volte inferiore all’acqua di balneazione.
«La desalinizzazione dell’acqua marina è un’ulteriore opportunità per l’Italia che richiede investimenti sia a livello di ricerca sia come impianti. Dato che gli oceani ricoprono il 71 per cento della superficie terrestre, sono una risorsa sempre disponibile» aggiunge Giorno. «Oggi il mondo produce oltre 97 milioni di metri cubi al giorno di acqua da dissalazione, il 60 per cento con l’osmosi inversa, il resto attraverso distillazione termica. Nell’osmosi inversa si forza il passaggio dell’acqua salata attraverso una membrana densa che trattiene i sali e lascia passare il liquido. Ci vogliono pressioni di 30-80 bar per recuperare il 40-60 per cento di acqua dissalata; il processo è molto più dispendioso in termini di energia rispetto al prelievo di acqua dal terreno». Ma se è vero che i costi di questi processi vanno dai 60 ai 90 centesimi per metro cubo, contro meno della metà per prelevare acqua piovana da un pozzo, è anche vero che piove sempre meno. Quindi l’Italia deve prepararsi a desalinizzare. Anche considerando che, secondo l’Enea, nel 2100 oltre 5.500 chilometri quadrati del nostro suolo saranno sommersi dal mare, con desertificazione e dunque necessità di acqua dolce che non potrà più essere prelevata dal sottosuolo. Insomma avremo bisogno di più energia e dunque dovremo produrre più CO2. Si torna quindi al cuore del problema dell’umanità: ottenere energia pulita. n © riproduzione riservata