In Italia, a differenza dal resto d’Europa, l’auto elettrica piace poco, nonostante l’ampia scelta di modelli e gli incentivi. Le ragioni? I costi ancora alti e le rarissime colonnine supercharger sul territorio nazionale.
Accendi la televisione e in quasi ogni break pubblicitario compare lo spot di un’auto elettrica. Sulla spinta dei limiti europei alle emissioni, le case automobilistiche stanno spendendo fiumi di denaro per convincere gli italiani ad abbandonare il motore a benzina o a gasolio e convertirsi alle vetture alla spina. E in effetti le immatricolazioni dei veicoli a emissioni zero stanno crescendo a ritmi impressionanti: in aprile hanno fatto un balzo del 306 per cento.
Ma i numeri assoluti restano ancora bassi. Nel 2020 sono state vendute 32.400 auto elettriche in Italia con una quota di mercato di appena il 2,4 per cento. Tra i grandi Paesi europei solo la Spagna fa peggio di noi con il 2,1 per cento: in Francia e Germania le vetture che usano solo la batteria hanno una quota del 6,7 per cento, nel Regno Unito del 6,9, in Nord Europa si arriva al 20,4 per cento dei Paesi Bassi e al 54,3 della Norvegia.
Perché in Italia l’auto elettrica fa fatica a sfondare? I modelli sono tanti, per tutti i gusti, e ci sono ancora gli incentivi, che arrivano fino a 8 mila euro e che potrebbero esaurirsi prima della fine dell’anno in corso. Ma il problema è che il potenziale acquirente, oltre a dover affrontare una spesa importante, teme di non trovare una rete di rifornimento di elettricità adeguata. E ha ragione. Nella Penisola ci sono 10.531 colonnine pubbliche con 20.757 prese di ricarica, mentre in Francia i punti di ricarica sono 45 mila, in Germania 44 mila, in Olanda 66 mila.
Non solo, le colonnine in Italia sono anche distribuite male: in Lombardia se ne contano 3.555, in Sicilia appena 873. Sapete quante colonnine supercharger trova nelle terre di Montalbano chi ha una Tesla? Nessuna, ci sono solo quelle piazzate dalla casa americana davanti a una quindicina di hotel e ristoranti (chiamate «destination charge»). Stesso copione in Sardegna, con nessuna supercharger della Tesla, e in Puglia, con una sola.
Anche la Ionity, una joint venture formata da varie case automobilistiche che sta creando una rete europea di punti ricarica ad alta potenza, è poco presente nel Mezzogiorno con appena due stazioni contro le 48 distribuite nel Nord Italia. Ma ora che le auto montano batterie sempre più grandi, il guidatore ha bisogno proprio di una rete con distributori ad alta potenza per ricaricare in tempi ragionevoli.
Anche dove la rete è più capillare non mancano i problemi. A Milano ci sono 133 stazioni di ricarica sulle strade pubbliche, ognuna con due punti di ricarica. «Monaco di Baviera, città di dimensioni e popolazione paragonabili, ha 500 stazioni di ricarica» sottolinea Andrea Malan, giornalista della testata specializzata Automotive News Europe. «Milano è anche molto indietro rispetto all’obiettivo della città di avere 500 stazioni di ricarica sulle strade pubbliche entro il 2020».
Malan ha effettuato una prova sul campo per verificare efficienza e costi della rete e il risultato è deludente: alcune colonnine non funzionavano, altre andavano in crash, altre ancora erano inaccessibili perché l’area di sosta era occupata abusivamente da auto a benzina. Per quanto riguarda i pagamenti, a parte la scomodità di dover circolare con più tessere per i vari gestori, il prezzo della ricarica non è conveniente: «Fare il pieno nelle colonnine pubbliche è significativamente più costoso della ricarica a casa, in alcuni casi tre volte più caro».
«La situazione italiana è imbarazzate» sostiene Antonio De Bellis, e-mobility lead manager della Abb, multinazionale svizzero-svedese che, tra le sue innumerevoli attività, produce in Italia, nello stabilimento aretino di Terranuova Bracciolini (e, entro fine anno, di San Giovanni Valdarno) le colonnine destinate a tutto il mondo: da qui sono partiti oltre 20 mila sistemi di ricarica veloci e ultra veloci in corrente continua per veicoli elettrici destinati a più di 85 mercati. «Per la mobilità sostenibile ci si affida al Santo Graal dell’idrogeno mentre oggi esistono poche alternative concrete all’auto elettrica. In altri Paesi sono state fatte scelte chiare, sono state fissate le date che segneranno lo stop alla vendita dei motori a benzina e gasolio ed è stata scritta una tabella di marcia per arrivare a quel momento con una rete di punti di ricarica adeguata. In Italia invece la pressione di diversi interessi mantiene un clima di incertezza che alla fine va a discapito del consumatore, il quale magari vorrebbe acquistare un’auto elettrica ma esita e teme riguardo l’infrastruttura di ricarica. In più c’è la burocrazia: facciamo tanto gli “smart” e poi prima di darti l’autorizzazione a installare una colonnina a uso pubblico passano mesi, a Roma anche più di un anno».
A peggiorare la situazione ha contribuito «l’ostilità» delle compagnie petrolifere che solo adesso iniziano a installare punti di ricarica elettrica: «A chi gestisce i distributori di carburante continuo a ripetere che la colonnina deve essere vista come un “dispenser di tempo”, non solo di kWh, è un’occasione per offrire al cliente delle esperienze, anche per fermarsi più a lungo, sfruttando cariche più lente, godendosi quella pausa facendo altro».
«In Italia ci sono 8 mila comuni con 8 mila regolamenti diversi, tutti dicono cose differenti all’operatore che vuole installare gratis una colonnina pubblica» aggiunge Dino Marcozzi, segretario generale di Motus-E, associazione che riunisce i principali attori italiani della mobilità elettrica. «Manca una cabina di regia. Non solo: mentre in Germania si aiutano gli operatori affinché installino punti di ricarica nelle aree più svantaggiate dove non ci sarebbe convenienza economica a farlo, da noi si finanziano i comuni con il risultato che il processo viene rallentato. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, poi, ci sono circa 750 milioni destinati alle infrastrutture di ricarica veloce, quelle sulle autostrade e sulle vie di grande percorrenza, ma non si parla delle colonnine nelle città, altrettanto importanti». Proprio in questi giorni Autostrade per l’Italia ha annunciato che intende installare circa 500 colonnine superveloci lungo la sua rete attraverso la società dedicata Free To X.
Ai limiti della rete di infrastrutture si aggiungono, secondo Marcozzi, altri due ostacoli per la diffusione delle auto elettriche: «Nei Pnrr di Germania, Francia e Spagna l’acquisto di auto elettriche è incentivato con misure strutturali fino al 2026. In Germania, con un Pnrr di appena 30 miliardi, più di 3 vengono destinati a sostenere la domanda di vetture ecologiche. In Italia invece i fondi per gli incentivi finiranno quest’anno e nel Pnrr non ci sono misure strutturali per una transizione alla mobilità elettrica. In secondo luogo, nel Pnrr si fa fatica a trovare un supporto all’industria dell’auto, la parola automotive non c’è, c’è solo nella prefazione del premier Mario Draghi».
Il governo in effetti non pare aver sposato con passione la causa della mobilità elettrica: «Gli incentivi, approvati nei mesi scorsi, sono una condizione necessaria ma non sufficiente per promuovere una transizione che tutti noi sogniamo e vogliamo all’insegna della sostenibilità» afferma Massimiliano Di Silvestre, presidente e amministratore delegato di Bmw Italia. «Questo vale per tutto il mercato. Mi sento di dire, però, che è il momento di scelte chiare e forti del sistema-Paese. Non possiamo più rimandare decisioni importanti».
C’è da dire tuttavia che quando il potenziale acquirente di un’auto elettrica entra in una concessionaria non è che trovi molto entusiasmo. I venditori sostengono che le case li obbligano a ritirare l’usato il cui valore residuo, secondo loro, è irrisorio: chi vuole acquistare un’auto elettrica di tre anni fa con una batteria meno efficiente, quando per una nuova più performante, con una batteria più capiente, c’è anche il contributo dello Stato?
Inoltre manca la necessaria preparazione tecnica sia dei concessionari, sia degli automobilisti. Per questo alla Hyundai, il costruttore con la più ampia gamma di motorizzazioni elettrificate, «abbiamo creato gli Ev Angel, esperti in mobilità elettrica presenti presso la rete di vendita» racconta il direttore generale di Hyundai Italia Andrea Crespi. «È fondamentale informare bene i consumatori finali sui vantaggi delle vetture elettriche, moltissimi utenti non sanno che potrebbero usare la mobilità ad emissione zero senza grandi cambiamenti delle proprie abitudini. E per il prezzo ci sono formule che consentono di avere un costo mensile assimilabile a quello di un’auto a benzina».