Da decenni si conoscono metodi per aiutare pioggia e neve a cadere. Ma mentre il resto del mondo si accontenta di influenzare come può il meteo locale, Pechino costruisce un sistema per modificare le condizioni atmosferiche nel 60% del suo territorio. Con conseguenze imprevedibili.
La pioggia cadeva nello stesso modo sul giusto e sul malvagio; e per nessuno esisteva un perché». William Somerset Maugham lo scrisse cent’anni fa e certo non prevedeva che un giorno, invece, qualcuno avrebbe potuto decidere dove e su chi scatenare gli elementi. La notizia è delle settimane scorse: la Cina ha dichiarato di voler estendere entro il 2025 la sua capacità di produrre pioggia e neve sul 60% del proprio territorio (5,5 milioni di chilometri quadrati, una volta e mezzo la dimensione dell’India) ed entro il 2035 raggiungere «capacità avanzate» per gestire il clima. Lo ha dichiarato attraverso il Consiglio di Stato, ovvero la principale autorità amministrativa della Repubblica popolare, e non ci sono molti dubbi sul fatto che dopo la sua potente ascesa militare, commerciale e tecnologica, il neo Impero (davvero) celeste intenda diventare l’ultimo dominatore dell’aria.
Il tema in sé, va detto, non è nuovo e anzi la pratica di far piovere artificialmente, o inibire le precipitazioni, è così diffuso (da decenni) che oggi è diventato una branca della meteorologia, la «modificazione del meteo». Il metodo di base è la «inseminazione delle nuvole»: vi si spargono alcune sostanze che fanno da condensatrici di acqua finché le microparticelle sono abbastanza grandi da cadere al suolo per la forza di gravità. Quindi il tentativo è di creare la pioggia dove c’è solo vapore acqueo, oppure di farla cadere prima che raggiunga un determinato luogo o una certa pericolosità. La sostanza chimica più usata per riuscirci è lo ioduro d’argento, un composto altamente insolubile diffuso in cielo con razzi terra-aria e aeroplani. Ma vengono «sparati» anche ioduro di potassio, anidride carbonica in forma solida (ghiaccio secco), cloruro di calcio e talvolta gas propano liquido.
A farne ricorso sono stati e sono moltissimi Paesi del mondo: 24 a tutt’oggi, in modo più o meno convinto provano a «maneggiare» il fenomeno atmosferico con risultati che – secondo la maggior parte degli studi – avrebbero un’influenza del 10-15% rispetto ai piani della natura. Gli Stati Uniti si servono di questi metodi da decenni, con un picco tra gli anni Cinquanta e Settanta. In particolare vennero usati nella guerra del Vietnam: durante l’Operazione Popeye si cercò di prolungare i monsoni per rendere la vita impossibile ai vietcong a forza di piogge. La Russia tra l’altro se ne avvalse per «disinnescare» le nubi radioattive dirette su Mosca dopo il disastro di Chernobyl.
In Europa oggi sono soprattutto impiegati per combattere la grandine (in Italia qualcuno usa cannoni a ultrasuoni per spezzettarla nelle nubi, ma con dubbia efficacia). In Cina invece è diventato un tema centrale. Da decenni ci crede più di tutti e più del resto del mondo ci ha investito. La prima operazione risale al lontanissimo 1958 e da allora è stato un crescendo, con la creazione di un dipartimento dove lavorano 37.000 persone denominato «Ufficio per la modifica del meteo». È grazie a questa organizzazione se nel 2008, per provare a garantire il bel tempo durante la cerimonia di apertura dei Giochi olimpici, decine di batterie antiaeree tempestarono le nuvole nei dintorni di Pechino con più di 1.100 razzi caricati a ioduro di argento. Nel 2009, dopo un’intensa inseminazione delle nubi ci fu una gigantesca nevicata con 40 morti nel nord siccitoso, e ancora non è chiaro se sarebbe avvenuta lo stesso.
Erano tempi da apprendista stregone. Nel 2012 Zheng Guoguang, a capo dell’Autorità cinese per il meteo, ammise che in 10 anni erano state fatte 560.000 operazioni manipolatorie delle condizioni atmosferiche. E siccome in Cina i passi da gigante si prevedono, nel piano 2014-2020 si è poi stabilito che l’aumento di pioggia artificiale annua avrebbe dovuto raggiungere i 60 miliardi di metri cubi. Alla presentazione del documento, l’Accademia cinese delle scienze meteorologiche aveva spiegato che «la Cina è uno dei Paesi più toccati dalle catastrofi naturali e il 70% di queste è legata al clima». Si vogliono evitare siccità e precipitazioni drammatiche sulle immense regioni agricole per poterne normalizzare la produzione; si vogliono evitare grandi incendi, abbassando dove possibile le temperature e aumentando l’umidità; si vogliono garantire riserve idriche alle megalopoli, a cominciare da Pechino, che ricorre alla inseminazione artificiale delle nubi anche per ripulire l’inquinamento dall’aria.
Non per niente, nel 2018 – pungolati dal vicepremier Hu Chunhua, architetto delle ambizioni meteorologiche cinesi – si è cominciato a costruire migliaia di apparecchiature e batterie di razzi per far piovere sui grandi altipiani della provincia del Qinghai, considerata la più grande riserva di acqua dolce dell’Asia. Il nuovo piano per il 2025 adesso promette di moltiplicare per cinque lo sforzo fatto finora e – dicevamo – espandere il controllo sul 60 per cento del territorio cinese. La visione gargantuesca di Pechino comprende il progetto Tianhe («fiume del cielo») per trasportare il vapore acqueo presente sul bacino del fiume Yangtze fino alle aree del nord, più aride in inverno.
Una canalizzazione aerea che sembrerebbe immaginifica ma su cui lavorano da cinque anni. Secondo scienziati e giornali cinesi, sarà possibile grazie al dispiegamento dei nuovissimi satelliti FY-4 capaci di monitorare i movimenti delle microscopiche goccioline d’acqua, condotte dove più serve a forza di razzi caricati a ioduro d’argento. D’altro canto, sostengono i meteorologi cinesi, esistono già «canali naturali di vapore acqueo» dall’oceano Indiano orientale a quello occidentale, e tra l’altopiano dello Yunnan-Guizhou e quello del Qinghai-Tibet: si tratta «solo» di crearne un altro, artificiale.
Una tale portata di interventi, che si sommano per esempio alla costruzione dell’immane Diga delle tre gole (la massa d’acqua raccolta modificherebbe addirittura la velocità della rotazione terrestre) sta facendo alzare più di un sopracciglio. Non solo perché le conseguenze di decine di migliaia di razzi carichi di prodotti chimici potrebbero danneggiare ambiente e salute, ma in quanto la gestione cinese delle condizioni atmosferiche sta «cambiando pelle», come recenti pubblicazioni scientifiche iniziano a notare: da fattore locale ad affermazione di supremazia tecnologica e politica.
Il geografo Shiuh-Shen Chien, dell’Università di Taiwan, ha scritto che la Cina ha reso ideologica la sua volontà di dominare il meteo, mentre Bettina Bluemling, dell’Università del Queensland, Australia, stigmatizza il fatto che questi nuovi interventi, così ampi e permanenti, potrebbero aprire la strada all’uso della bioingegneria climatica, per esempio allo scopo di abbassare la temperatura terrestre in contrasto al riscaldamento globale. Un timore su tutti: che si lancino particelle riflettenti i raggi solari. In teoria si raffredderebbe il suolo localmente, ma le conseguenze sull’intero pianeta potrebbero essere imprevedibili.
Sono state le stesse Nazioni unite, anni fa, a mettere in guardia contro «effetti inaspettati e non limitati ai confini nazionali» di azioni su larga scala in tema di meteo. Mentre l’Organizzazione mondiale della meteorologia ha specificato che «la complessità dei processi atmosferici è tale che un cambiamento artificiale del meteo avrà necessariamente ripercussioni da qualche altra parte». Banalmente, se un Paese fa piovere prima che un fronte nuvoloso raggiunga un Paese vicino, gli sottrae acqua e magari innesca effetti secondari sul suo clima.
Questo per esempio temono la Thailandia (per l’ecosistema del Mekong) o l’India, avversaria della Cina sullo scacchiere asiatico. E ne ha ben donde, visto che nel Subcontinente l’agricoltura è fortemente dipendente dalla stagione dei monsoni. Va da sé che dopo le dichiarazioni del Consiglio di Stato cinese, Nuova Delhi abbia reagito pianificando stazioni meteo lungo la catena dell’Himalaya, dove i due giganti già si scontrano. Mentre i media indiani chiedono a gran voce di investire in geoingegneria solare indiana per contrastare un’eventuale militarizzazione climatica della Cina. Se il clima è impazzito, forse il mondo di più.
