A meno di un anno dalle elezioni presidenziali del 5 novembre 2024, non sono notizie granché positive quelle che stanno arrivando per Joe Biden. Un recente sondaggio del New York Times ha rilevato che Donald Trump batterebbe attualmente il presidente in alcuni Stati chiave, come Georgia, Michigan, Nevada e Pennsylvania. Tutti Stati che, ricordiamolo, Biden era riuscito invece a conquistare nel 2020. Non solo. Un altro sondaggio della Cbs ha registrato che, a livello nazionale, Trump sarebbe oggi al 51% dei consensi contro il 48% dell’inquilino della Casa Bianca.
Insomma, si tratta di numeri complessivi non esattamente esaltanti per il presidente, che, a sua volta, deve anche affrontare una dose non irrilevante di fuoco amico. Eh sì, perché nello stesso Partito democratico circolano dubbi e malumori sulla sua ricandidatura. L’ex senior advisor di Barack Obama, David Axelrod, ha chiaramente lasciato intendere che Biden dovrebbe ritirarsi dalla corsa elettorale. Una posizione che, a settembre, era stata avanzata anche dall’editorialista del Washington Post, David Ignatius. Tutto questo, mentre – sempre a settembre – The Hill aveva riportato che alcuni senatori dem erano assai preoccupati per gli scarsi risultati sondaggistici dell’inquilino della Casa Bianca. Tra l’altro, anche un conservatore antitrumpista come Bill Kristol, che pure aveva votato per Biden nel 2020, ha esortato quest’ultimo a ritirare la sua ricandidatura.
Infine, ma non meno importante, negli scorsi mesi Biden ha dovuto affrontare anche i malumori di pezzi consistenti dell’apparato burocratico. Basti pensare ai Pentagon leaks di aprile o al memorandum interno al Dipartimento di Stato, recentemente pubblicato da Politico, in cui suoi vari funzionari criticano aspramente la linea politica dell’attuale presidente sulla crisi di Gaza. Una crisi, quest’ultima, che sta inoltre creando delle spaccature notevoli in seno allo stesso Partito democratico americano. Appena pochi giorni fa, la deputata dem di estrema sinistra, Rashida Tlaib, ha accusato Biden addirittura di sostenere un “genocidio contro il popolo palestinese”. Va da sé che tali divisioni non aiutano il presidente americano, che dà l’idea all’esterno di non riuscire a tenere compatta una compagine – quella democratica – attraversata da crescenti contraddizioni intestine.
Ovviamente in un anno può succedere di tutto. E, almeno in teoria, non è affatto escluso che Biden possa riuscire a ottenere una riconferma. Tuttavia il problema principale risiede nel fatto che queste sue magre performance sondaggistiche si sono ormai cronicizzate. Inoltre, gli elettori sembrano non gradire la gestione dell’economia da parte della Casa Bianca, oltre a esprimere timore sulle condizioni fisiche di quello che è il presidente più anziano al primo mandato della storia americana.
La domanda quindi è d’obbligo. Che cosa farà Biden? I suoi alleati più stretti, a partire dall’ex capo dello staff alla Casa Bianca Ron Klain, stanno cercando di fare quadrato attorno a lui, puntando a disinnescare l’ipotesi di un suo passo indietro. Il punto è che, al di là di queste diatribe, ogni giorno che passa rischia di rappresentare un enorme problema per il Partito democratico. Le primarie presidenziali sono ormai alle porte. E, se decidesse di abbandonare la corsa adesso, Biden costringerebbe gli eventuali candidati alla nomination dem a entrare in campo senza la possibilità di tenere un’adeguata campagna elettorale (che generalmente viene condotta nell’anno precedente a quello elettorale nell’ambito delle cosiddette “primarie invisibili”).
Certo: qualcuno ipotizza che, qualora il presidente dovesse ritirare la propria ricandidatura, la sua erede naturale sarebbe Kamala Harris. È però tutto da dimostrare che, in caso, non scenderebbero in campo vari candidati pronti a contenderle la nomination. L’attuale vicepresidente è infatti molto impopolare. E, c’è da giurarci, qualcuno sta già da tempo scaldando ufficiosamente i motori. Ogni riferimento al governatore della California Gavin Newsom non è puramente casuale.
