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Tesori sprecati

Tesori sprecati

Sono 480 mila le opere esposte in raccolte e gallerie pubbliche, ma ben cinque milioni quelle custodite nei loro depositi. L’Italia non riesce a gestire l’immensa mole d’arte che ha creato nella sua Storia. Ma ora qualcosa si sta muovendo.


In Italia il patrimonio è talmente diffuso che nei depositi dei soli musei afferenti alla Direzione generale sono custoditi circa 5 milioni di opere e di reperti. Mentre ne vengono esposti solo 480 mila». Ha spiegato così il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, in un’audizione dinanzi alle commissioni Cultura di Camera e Senato, specificando come «il 90 per cento delle opere o dei reperti è nei depositi». E dire che il nostro è uno dei Paesi più ricchi di musei, come confermano i dati Istat: abbiamo 4.908 tra musei, aree archeologiche, monumenti ed ecomusei aperti al pubblico. In un comune italiano su tre (2.311) è presente almeno una struttura di questo genere: una ogni 6 mila abitanti circa. Eppure non bastanoi. Reperti unici al mondo, opere dal valore indicibile, manoscritti secolari, sono accatastati nei magazzini. Impossibili da visitare e con il rischio, non così banale, che possano rovinarsi tra polvere e incuria.

Il problema è che nessun museo o pinacoteca sembrerebbe escluso da questo viaggio tra opere inaccessibili che compongono un autentico «tesoro invisibile» del nostro Paese. Non a caso è proprio questo il titolo di un saggio (edito da Utet) e scritto da due massimi esperti del tema, Filippo Cosmelli e Daniela Bianco, che hanno tracciato la rotta del loro singolare Grand Tour tra opere che sopravvivono letteralmente nel buio.

In alcuni casi non vengono esposte per preservarne l’integrità, per proteggerle da sbalzi di temperatura o dal rischio di venire danneggiate. In altri semplicemente – e incredibilmente – non trovano posto tra le migliaia di pezzi che compongono il patrimonio storico e artistico accessibile a studiosi, e ancor di più a turisti.

Un esempio su tutti è il disegno dell’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci. Forse l’opera che meglio rappresenta l’altissimo ingegno dell’inventore – oltreché artista – rinascimentale. Ebbene, i fogli sono conservati (dal 1822) nel Gabinetto dei disegni delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, e vengono esposti solo per brevissimi periodi durante l’anno. La ragione? Accortezza conservativa, ovviamente. Ma per altre opere la motivazione è banalmente la mancanza di spazio. Si va dalla preziosa collezione di tarocchi Sola Busca della Pinacoteca di Brera (carte, queste, che dal 500 in poi hanno avuto un grande mercato) fino addirittura al certificato di nascita di Caravaggio, conservato oggi all’Archivio storico diocesano di Milano, che raccoglie circa 55 mila documenti tra manoscritti, testamenti e lettere.

Ma non finisce qui. Scendiamo verso Sud e fermiamoci a Roma. Dai Musei Capitolini alla Galleria nazionale d’arte moderna (Gnam), i limitati spazi espositivi fanno sì che i depositi strabordino di opere di ogni tipo. Solo la Gnam, per dire, conta sette enormi magazzini divisi fra pittura, scultura e grafica. E solo due sono attualmente aperti alle visite (ovviamente su specifica richiesta).

Spesso i tesori sono conservati anche in luoghi inaspettati. È il caso delle opere di Giovanni Battista Piranesi, uno dei maggiori incisori italiani del Settecento. Si deve a lui e ai suoi disegni la comprensione e lo studio della Roma di quei tempi. Ebbene, l’opera di Piranesi è raccolta a Palazzo Poli, alle spalle della Fontana di Trevi, in un fondo composto da 1.191 soggetti, di cui 964 autografi. «Tutte le matrici che compongono il fondo piranesiano – spiegano Cosmelli e Bianco – si trovano in un bunker sotterraneo chiuso da porte blindate, dove accedono solo pochi funzionari autorizzati. Siamo al livello delle condutture dell’Aqua Virgo, che poco oltre esplode fragorosamente sul biancore della Fontana di Trevi».

Sempre nella Capitale si trova il museo della Civiltà Romana: progettato nel 1942 in vista dell’Esposizione Universale di Roma, lo conoscono in pochi perché dal 2014 sono in corso lavori. E così opere come i meravigliosi calchi in gesso della Colonna Traiana restano inaccessibili: impossibile guardare da vicino le oltre 2.500 figure di uomini, armi, cavalli, accampamenti militari che ricoprono la spirale di marmo posta all’inizio di Via dei Fori imperiali.

Ma è nel cuore della Capitale, a Trastevere, che ha sede un cuore pulsante di bellezza velata: nel deposito-bunker del Comando Tutela patrimonio culturale (Tpc) dei Carabinieri, si contano migliaia di opere tragugate e recuperate.

Nel 2021, secondo i dati forniti dall’Arma, sono stati sottratti 3.904 beni a fronte di altri 33.869 oggetti recuperati, per un valore stimato di circa 86,5 milioni di euro. Ebbene, tutte queste opere, prima di venire assegnate o restituite, passano per il deposito capitolino, un limbo che a volte si rivela fuori dal tempo.

Le sorprese non finiscono qui. A Pompei uno dei principali depositi è quello dei Granai del Foro, scavati tra il 1806 e il 1823, con un’immensa mole di oggetti in terracotta e utensili domestici. Ancora più incredibile è quanto ospita un altro deposito, quello della Casa di Bacco, un ambiente riscoperto di recente, bombardato nel 1943 e ora «scrigno» che contiene gioielli di ogni tipo: collane, anelli, orecchini appartenenti all’antica Oplontis, oggi Torre Annunziata.

La domanda è lecita: che fine farà un simile patrimonio? Una soluzione arriva direttamente da Ancona, dove si è deciso di rendere i depositi visitabili, al pari delle sale già fruibili e aperte al pubblico.

È un progetto della Direzione regionale Musei Marche dedicato al Museo archeologico nazionale delle Marche (altra perla italiana): «Grazie ai fondi del Pnrr, il ministero della Cultura sta riqualificando i depositi archeologici, che contano decine di migliaia di reperti, per permetterne la visitabilità da parte del grande pubblico» spiega il direttore del Museo delle Marche Diego Voltolini. «Partendo dal presupposto che i reperti archeologici sono beni pubblici, avere la possibilità di visitare anche i magazzini dei musei è uno dei modi per restituire alla fruizione pubblica questo importante patrimonio, oltre a offrire al visitatore l’esperienza del tutto particolare di vedere il “dietro le quinte” del museo».

Parliamo di opere, manufatti e reperti unici al mondo, risalenti fino ai Piceni, come l’iconico coperchio in bronzo con piccole statue di guerrieri intorno a un totem, risalente a circa tremila anni fa. «L’idea» spiega ancora Voltolini «è allestire una “biblioteca di oggetti”, diversa per modalità e quantità dal percorso espositivo regolare, nella quale sia possibile vedere come il ricco patrimonio viene conservato, studiato e curato». Iniziando così a rendere accessibile a tutti un patrimonio che, fino a oggi, rimaneva segreto.

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