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Sicilia: prodotti tropicali, a chilometro zero

Sicilia: prodotti tropicali, a chilometro zero

Il riscaldamento globale ha qualche aspetto positivo: ora, sull’Isola, si coltivano piante in genere molto distanti da queste latitudini.


Passeggiare tra le bancarelle di un mercato rionale siciliano è un’esperienza imperdibile: profumi inebrianti e prodotti di prima scelta in mezzo a folkloristiche «abbanniate», le grida di entusiasmo dei venditori che mettono sotto il naso dei passanti le cassette cariche di arance bionde, «bastarduna» o fichi d’India, angurie zuccherine.

Oggi però le sportine delle massaie che fanno spesa nelle fiere ortofrutticole si riempiono di esotico. Ma non con frutti di importazione: a chilometro zero, quelli che «madre terra sicula» ora produce in risposta al rapido cambiamento climatico, causa della tropicalizzazione di alcune aree con conseguente sviluppo di piante fuori dal proprio habitat naturale.

«Il clima è da sempre dinamico, ma è cambiata la rapidità con cui si sta modificando, proprio per l’eccessiva impronta umana sul pianeta» spiega Christian Mulder, docente di Ecologia e cambiamenti climatici all’Università di Catania. Sull’isola non esistono da oltre 20 anni, come si direbbe, le mezze stagioni, si è persa la regolarità dei ritmi naturali, con frequenti anticipi di caldo e ritorni improvvisi di freddo. Se da una parte il clima altalenante ha portato a un calo delle tipiche colture di agrumi e meloni, dall’altra ha colorato l’isola di sfumature tropicali: immense piantagioni di caffè si espandono lungo le coste, avocado crescono al posto dei mandorli fioriti, i frutti di babaco, il «gemello» siciliano della papaya, inebriano con un aroma misto tra arancia e ananas, e tappeti viola di bacche di maracuja decorano le zone aride dell’entroterra.

Il futuro previsto dagli studiosi è però più fosco: si ipotizza che entro il 2100 la costa orientale dell’isola verrà sommersa dal mare, mentre è già in atto una crescente desertificazione. «Nel lungo periodo è come se dovessimo tracciare una linea tra San Vito Lo Capo e Siracusa: tutto il territorio che si trova a sud rischia di diventare come la Tunisia» continua Mulder.

A questa visione pessimista degli accademici rispondono – come va si usa dire oggi – con resilienza gli agricoltori, che continuano ad aver fiducia nella propria terra. La Coldiretti, in uno studio del 2019, ha quantificato in oltre 500 ettari le aree con coltivazioni tropicali. Ecco che la Sicilia, da sempre patria di vigne, ulivi e agrumi, si sta trasformando in leader nella coltivazione di mango dalla buccia «abbronzata», per via degli intensi raggi solari, kiwi gialli e rossi, litchi dal sapore di vino moscato e profumo di rosa, persino bacche di caffè arabica dal gusto agrumato. A testare la possibilità di quest’ultima insolita coltivazione, praticata en plen air e senza uso di serre e pesticidi, è stata una famiglia palermitana di torrefattori, guidata da Arturo Morettino. «Le piantagioni siciliane di caffè si trovano più a nord rispetto alle aree della «coffee belt», la cintura tra i due Tropici che comprende America latina, Africa orientale e il Sud-est asiatico» spiega Andrea Morettino, manager nell’azienda di famiglia.

«Tutto è iniziato da semi piantati a 350 metri sul livello del mare nella borgata di San Lorenzo ai Colli a Palermo». Il risultato è stato di eccellente qualità: un caffè ambrato con sentori tipicamente siciliani, quali note di uva zibibbo, carruba, profumi di fiori di pomelia bianca. «Stiamo assistendo a forti cambiamenti climatici, con segnali di insofferenza per le tradizionali colture quali gli agrumi, ma anche inaspettate potenzialità. E la natura deve essere ascoltata e valorizzata» aggiunge Morettino. La ricchezza di biodiversità e le particolari caratteristiche pedoclimatiche, cioè l’insieme delle proprietà di clima e sottosuolo, hanno permesso alla regione di prestarsi facilmente a svariate coltivazioni di litchi o ciliegie della Cina.

Uno dei primi a puntare su queste originali produzioni è Pietro Cuccio, responsabile dell’azienda Cupitur di Caronia, nel Messinese, che coltiva specie arboree sub tropicali ben adattate al nuovo ecosistema. «I litchi siciliani sono molto più grossi e con semi più piccoli di quelli di importazione» afferma Cuccio.

Laureato in architettura, ma agricoltore da generazioni, ha realizzato da solo le reti ombreggianti per proteggere dal gelo otto varietà di mango e litchi: nove ettari di coltivazioni ecosostenibili, curate con metodologie di lotta biologica contro i parassiti e tecniche di irrigazione sotterranea. «L’aumento delle temperature ha limitato l’effetto dei parassiti, permettendo un uso minimo di pesticidi e conservanti» aggiungo quelli di Paniere Bio, gruppo di vendita associato all’azienda agricola Natura Iblea di Ispica, in provincia di Ragusa. «Questo ha spinto gli agricoltori a sperimentare con successo piantagioni tropicali, soprattutto nelle zone più vicine ai confini africani. Coltivazioni che rispettano le tecniche di rotazione agraria per non stressare il suolo».

Il nuovo clima caldo-umido ha avuto un impatto anche sull’«orologio biologico» di alcune specie, che anticipano e prolungano la maturazione, da agosto a ottobre, in un periodo diverso rispetto alle loro zone d’origine. Longan asiatico, carambola indiana e chicozapote dello Yucatán oggi contraddistinguono la «conversione» agricola siciliana. «La carambola è amata in pasticceria per la sua forma a stella, ma non è ricercata come mango e avocado. Tra le sperimentazioni c’è anche la ciliegia brasiliana, che cresce sul tronco degli alberi. Abbiamo scoperto che in Sicilia si possono produrre facilmente tutte queste coltivazioni contemporaneamente» dice Cuccio, che ha collaborato con Vittorio Farina, docente di Frutticoltura tropicale e subtropicale all’Università di Palermo. «Molte variabili ambientali, prima tra tutte la temperatura, influiscono sulla risposta produttiva e la qualità dei frutti, ma anche sulle scelte colturali e le tecniche agronomiche» precisa Farina. «Il mango made in Sicily, per esempio, originario di India e Myanmar, beneficia sull’isola di una filiera più corta e viene raccolto a uno stadio avanzato di maturazione, così da possedere miglior qualità gustativa e nutrizionale».

I neo frutteti hanno contribuito anche a rinnovare l’economia delle aree rurali, trasformandosi in una buona alternativa alle tradizionali produzioni di arance, limoni e meloni più facilmente colpiti da parassiti. Inoltre le piantagioni «siculo-equatoriali» sono diventate meta per turisti interessati, accolti dai produttori locali che aprono i propri giardini a visite guidate e degustazioni esotiche. Il Tropico siciliano è una realtà.

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