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E i fornitori fuggono dai consumatori

E i fornitori fuggono dai consumatori

Dopo il lockdown e la guerra, i rincari – e il conseguente aumento delle morosità – hanno spinto le società che operano a imporre nuovi contratti penalizzanti per i clienti, in barba al Decreto Aiuti bis. L’Antitrust ha aperto un’indagine. Ma in questa nuova emergenza, il libero mercato diventa un terreno minato. Dove tutti sono destinati a perdere.


Fino alla pandemia c’era la corsa ad accaparrarsi clienti. I fornitori se li contendevano a colpi di pressanti campagne di marketing, promettendo risparmi stellari. Il mercato libero era visto come la fuga dalle catene del sistema tutelato. Poi è successo qualcosa di inaspettato: finito il lockdown, è schizzata la domanda di energia e con essa i rincari. Una corsa che ha spiazzato i fornitori, zavorrati da contratti diventati un capestro mentre cresceva la valanga dei morosi. Nel giro di qualche mese i clienti sono diventati come appestati, si salvano solo quelli di provata puntualità nei pagamenti mentre anche chi ha un piccolo ritardo, viene scaricato senza tanti riguardi. Una lettera e addio. I più fortunati ricevono una comunicazione di modifica del prezzo di fornitura, alla faccia della norma prevista dal Decreto Aiuti bis che sospende fino al 23 aprile la possibilità per le aziende del settore di modificare il listino.

Per frenare il fenomeno è intervenuta l’Autorità garante della concorrenza che ha avviato quattro procedimenti istruttori nei confronti di altrettante società (Iren, Iberdola, E.ON e Dolomiti), operatori sul mercato libero. Inoltre ha inviato una richiesta di informazioni ad altre 25 società, le quali hanno rimarcato la correttezza del loro operato. Chi ha avuto il taglio della fornitura non è rimasto al buio ma è stato catapultato nel servizio di ultima istanza. Esso prevede che a chi è rimasto senza contratto, per disdetta unilaterale o per fallimento dell’azienda fornitrice, venga garantita l’energia tramite un’altra società distributrice.

Quest’ultima è generalmente una delle aziende più importanti del settore, decisa per ogni territorio dall’Arera, l’ente statale che regola il funzionamento del mercato dell’energia. Le condizioni economiche sono legate ai prezzi del mercato tutelato ma dipendono anche dal cliente e dal fornitore. Chi vuole un contratto più conveniente deve cercarselo per proprio conto. E non è facile, il settore è diventato una giungla.

Il problema è che in questa guerra dell’energia non ci sono vincitori né vinti, tutti stanno perdendo a rotta di collo. I fornitori cadono come mosche sotto i colpi dei rincari. Secondo Arte, associazione di «reseller» e trader dell’energia che rappresenta circa 140 fornitori di energia, da ottobre 2021 all’aprile scorso sono fallite già 35 società mentre ora la maggior parte si sta svuotando dei clienti. A rischio default, nei prossimi mesi, senza un’inversione della tendenza dei prezzi, è un centinaio di società, tra intermediari, grossisti e tutti quei soggetti che operano sulle piattaforme del Gme per fornire energia ai clienti finali tramite le reti di Terna, Snam Rete Gas e altri distributori.

Diego Pellegrino, portavoce di Arte, commenta: «In Italia solo una decina di società fanno extraprofitti. Le altre, per preservare parte del portafoglio clienti, sono costrette a una scelta, rescindendo i contratti innanzitutto ai morosi e a chi si è sempre rivelato un cattivo pagatore». I più penalizzati sono condomìni e imprese. «Alcuni trader hanno dovuto tagliare anche metà abitanti di un palazzo. Gli amministratori impongono regole stringenti, come l’anticipazione di tre mesi di fornitura a prezzi bloccati, e in più ci chiedono le rateizzazioni di 6-8 mesi perché non riescono a pagare. Anche rifornire le aziende diventa complicato per le alte morosità. Un 20-30 per cento è stato tagliato. Le fideiussioni imposte dai venditori energetici sono ora 10 volte quelle di un periodo ordinario. Così gli operatori sono strangolati, c’è un problema di sopravvivenza, chi fallisce e chi riduce i clienti».

Le fatturazioni degli ultimi mesi hanno avuto un effetto drammatico su molte realtà industriali che si erano affidate in buona fede a operatori di piccole e medie dimensioni nell’individuazione di soluzioni di mercato efficienti e poco costose. Finora è mancata una riforma delle regole di accesso e permanenza sul mercato degli operatori, tali da garantire trasparenza e solidità finanziaria accompagnata da una stabilizzazione della riduzione degli oneri di sistema. Così l’aumento eccezionale dei prezzi ha generato il duplice effetto a catena del fallimento degli operatori energetici e della ricaduta dei costi di tali fallimenti sulla collettività. A soffrire sono anche i «big». Le utility dell’energia stanno facendo la fila dalla Sace, la società pubblica che offre servizi assicurativi e finanziari, per chiedere prestiti garantiti, tramite le banche, in modo da cautelarsi nel caso i costi del gas tornassero a crescere in modo incontrollato. E i consumatori? Il prezzo del gas è ancora sei volte quello del 2021, anche se nelle ultime settimane è sceso. I ribassi, salvo cambi di trend negativi, si dovrebbero far sentire nelle bollette di famiglie e imprese a novembre, quando l’Arera, l’autorità di regolazione del mercato dell’energia, rivedrà in calo i parametri di calcolo del gas. Avrà effetto la novità delle revisioni a cadenza mensile e non più trimestrale delle tariffe, introdotta nel luglio scorso. Ciò permette all’Autorità di tener conto delle modifiche dei prezzi in tempi rapidi. Per l’elettricità le tariffe vengono ancora adeguate trimestralmente e quindi gli effetti del calo si avranno a gennaio. Come spiega Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, «il prossimo anno ci potrebbe essere una riduzione del prezzo del 15-20 per cento. C’è però il problema dei conguagli. L’Arera per non scaricare tutto l’aumento del costo dell’elettricità sull’ultimo trimestre del 2022 lo ha posticipato, spalmandolo sulla prima parte del 2023. Ma c’è anche l’incognita dei consumatori morosi. Quello che non viene pagato sarà ridistribuito su tutti gli altri. È un circuito infernale».

C’è un’altra variabile da considerare. Il 1° gennaio 2023 termina il regime di tutela per le bollette del gas e sarà un problema trovare un fornitore che offra un contratto, considerata la situazione di grande incertezza. Chi non correrà ai ripari, finirà nel servizio di ultima istanza. Che ruolo avranno le decisioni prese dall’Europa? Tabarelli è scettico: «Qualche effetto potrebbe sentirsi a cominciare dalla prossima primavera ma bisogna vedere se i venditori di energia accetteranno che qualcuno metta un tetto ai prezzi. A me sembra che si cerchi di distogliere l’attenzione dal problema vero che è produrre più energia, più gas e più carbone. Quindi più trivellazioni. Ma l’Europa dominata dagli ecologisti, questo non riesce proprio a digerirlo».

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