L’acquisto «Buy now pay later», con dilazioni a favore del consumatore, è esploso durante la pandemia e ora arriva massicciamente anche in Italia. Che ha già trovato il suo «unicorno»…
Lo slogan sembra un po’ polveroso, d’altri tempi, rivolto a chi con pochi soldi in tasca vorrebbe realizzare il sogno di una vita, una bella auto, un prodotto di lusso o una vacanza esotica. Niente di più sbagliato. Il modello «compra ora, paga dopo» è la nuova frontiera dei pagamenti digitali, una formula ripescata dagli esperti di tecnologia per applicarla all’e-commerce. L’obiettivo è spingere gli acquisti, ammettendo le rate per qualsiasi prodotto, anche quello più a buon mercato, un profumo, una tuta da poche decine di euro, un maglione. Il tutto a interessi zero per il consumatore. La differenza, rispetto ai tradizionali piani di dilazione dei pagamenti usati nel retail è che l’ordine viene spedito subito dopo essere stato effettuato e non dopo che l’intero importo è stato pagato.
Questo meccanismo di transazione è letteralmente esploso durante la pandemia quando milioni di persone sono rimaste a casa e l’unica finestra sull’esterno era offerta dal computer. E allora gli acquisti, anche compulsivi, sul web, sono diventati una compensazione al lockdown. La formula delle rate ha conquistato soprattutto i giovanissimi. Il Financial Times ha parlato di vere «trappole per Millennials», poiché tale sistema di pagamento spingerebbe i ragazzi a spendere soldi che non possiedono e a indebitarsi per saldare il conto.
Secondo il rapporto Asic (Australian securities and investments commission) 2020, un cliente Bnpl (acronimo per Buy now pay later) su cinque ha ammesso di aver saltato un rimborso negli ultimi 12 mesi e il 47 per cento aveva un’età compresa tra 18 e 29 anni. Sempre da questa ricerca emerge che il valore totale delle transazioni dei fornitori di Bnpl nella seconda metà del 2020 è aumentato di oltre il 50 per cento rispetto ai 12 mesi precedenti.
È un traffico che giustifica il pagamento delle commissioni che le piattaforme di Bnpl chiedono agli esercenti per il servizio. Variano tra il 2 e il 6 per cento e sono più alte di quelle delle carte di credito, ma i negozi virtuali sanno che sono soldi ben spesi perché i clienti gradiscono questo sistema di pagamento, come dimostrano i tassi di conversione e il valore degli ordini mediamente più alti.
Il fenomeno sta superando, come tassi di crescita, i tradizionali trasferimenti dei portafogli digitali come Apple Pay, Google Pay e Samsung Pay. Al punto che giganti come PayPal, Visa, American Express e Citibank hanno lanciato a loro volta proprie opzioni di Bnpl. I player più noti del settore sono Klarna, Clearpay, Affirm, LayBuy e Quadpay. Il mercato offre grandi opportunità e ciò ha messo in moto operazioni di acquisizione come quella da parte di Square di Afterpay, per 29 miliardi di dollari, e della giapponese Paidy, rilevata per 2,7 miliardi da PayPal, mentre Amazon si è alleata con Affirm. Apple ha stretto un accordo con Goldman Sachs per offrire il servizio su Apple Pay. La svedese Klarna ha inglobato il comparatore dei prezzi Pricerunner per acquisire sempre più informazioni sull’utente nelle varie fasi dell’acquisto. La sfida, infatti, è disporre di algoritmi sofisticati per gestire con successo tutte le fasi della vendita di un prodotto e aumentare gli utenti.
Il Bnpl è ancora marginale in Italia – per la società di investimenti londinese Butter solo il 2 per cento del valore delle transazioni e-commerce – rispetto alla Svezia dove già rappresenta il 23 per cento, la Germania il 19 per cento e la Norvegia il 15 per cento. Il settore però è in rapido sviluppo nel nostro Paese rapido, come dimostra il successo di Scalapay.
Nata nel 2019 da un’idea di Simone Mancini, è ora nientemeno che nell’olimpo degli «unicorni», cioè le società valutate oltre un miliardo di dollari. In due anni ha portato il servizio di pagamento in tre rate in gran parte d’Europa e la raccolta oggi supera i 700 milioni di dollari di finanziamenti. La start-up partita da Milano, ma con una squadra dalle caratteristiche internazionali, conta oggi oltre 150 dipendenti e collabora con più di 3 mila marchi tra i quali Calzedonia, Decathlon, Twinset, Stroili, Calligaris. Oltre alla presenza online è in oltre 5 mila negozi fisici.
Simone Mancini racconta com’è nata la sua start-up: «Tutto è iniziato in Australia quando, insieme all’amico e cofondatore Johnny Mitrevski, lavorando sui negozi online, avevamo constatato quanto fosse difficile fare il retailer sul web. Abbiamo pensato a uno strumento per facilitare gli acquisti. Il pagamento a rate aveva un forte impatto sull’e-commerce e così abbiamo pensato di lanciare questo nuovo metodo in Europa, dove non era ancora tanto sviluppato».
Entro quest’anno Scalapay conta di coprire tutto il Vecchio continente. La formula proposta ha portato a un aumento dello scontrino medio del 48 per cento e delle conversioni al checkout dell’11 per cento. Mancini spiega che «in Italia il mercato del Buy now pay later è ancora agli inizi dal punto di vista di volumi delle transazioni, ma negli ultimi tempi è sempre più apprezzato e i tassi di crescita sono molto alti. Le aziende di moda sono le più interessate».
E se il cliente è insolvente? Anche questo problema è stato risolto. Innanzitutto, precisa Mancini, «meno dell’1 per cento degli acquisti non viene saldato. E poi l’azienda si appoggia a un circuito di banche che rilevano i crediti non performing e con operazioni di cartolarizzazione, li rimettono sul mercato». Il prossimo passo sarà coinvolgere i negozi fisici. È un’altra spallata all’uso del contante, ormai in rapido, irreversibile declino. n
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