Home » Attualità » Economia » Il regalo di Natale: stipendi fermi e vita più cara

Il regalo di Natale: stipendi fermi e vita più cara

Il regalo di Natale: stipendi fermi e vita più cara

Gli Stati e il capitale richiedono crescenti stimoli fiscali sia per tutelare chi è stato colpito dalle chiusure che per rafforzare la crescita della ripartenza. Enorme richiesta di materie prime e debiti pubblici al massimo spingono l’inflazione. Se le politiche economiche dei Paesi occidentali (e non solo) non riusciranno a cavalcare l’onda, le buste paga non terranno il passo. A pagare soprattutto la classe media.


Stato, capitalismo, pandemia. È intorno a questa triade che ruota il pericolo inflazione nei prossimi anni. La pandemia ha accelerato la ristrutturazione delle nostre economie, sempre più digitali ed elettrificate, e ha spinto in alto i prezzi della logistica per la ripresa post-lockdown. Gli Stati e il capitale richiedono crescenti stimoli fiscali sia per tutelare chi è stato colpito dalle chiusure che per rafforzare la crescita della ripartenza. Ne è conseguita una crescente domanda di materie prime, soprattutto quelle legate all’acciaio, al litio e al silicio, da impiegare nelle nuove produzioni spinte dallo Stato e dal capitalismo tecnologico. Dai dispositivi digitali all’edilizia, dalle auto elettriche alle infrastrutture non c’è attività parte dei piani di rilancio dei governi di tutto il mondo che non coinvolga le materie prime. Al tempo stesso, i colli di bottiglia sul piano logistico non saranno risolvibili in tempi brevissimi: ci sono nuovi container e nuove navi da costruire e non solo una speculazione degli armatori da domare. Questo aumento dei prezzi, che dura già da un anno e mezzo, era stato presentato come temporaneo da gran parte degli analisti e degli economisti. Previsione rivista nelle ultime settimane dato che il rally delle commodity non accenna a rallentare, complici anche le politiche protezionistiche imbracciate dagli Stati e dalle aree economiche (come l’Unione Europea con l’acciaio). La competizione economica e tecnologica tra Cina e Stati Uniti ha aggravato la situazione poiché i due giganti richiedono crescenti misure di materie prime e tendono a restringere l’offerta per tenersi in casa i materiali. Xi Jinping ha varato un pacchetto di stimoli fiscali per rafforzare la domanda interna per a 1 trilione di dollari a cui gli Stati Uniti hanno risposto con quasi 6 trilioni di dollari ripartiti in tre grandi piani per riparare i danni del lockdown, per stimolare i consumi delle famiglie e per ammodernare le infrastrutture. Quest’ultimo piano sarà spalmato su più anni e i dettagli della sua attuazione sono ancora incerti. Situazione che rende difficile fare previsioni certe sull’inflazione.

Dalla messa a terra dei progetti, dalla crescita dei salari e dall’aumento della produttività dipenderà l’andamento del potere di acquisto dei cittadini. Lo storico Niall Ferguson ha efficacemente riassunto la questione scrivendo qualche mese fa su Bloomberg «la conclusione non è che l’inflazione sia inevitabile. La conclusione è che l’attuale direzione della politica economica è insostenibile». Di fatti, tra la liquidità immessa sui mercati dalle banche centrali per sostenere l’espansione dei debiti pubblici e quella dei governi attraverso gli stimoli fiscali il mondo è stato annegato di moneta stampata. Tuttavia, nessun pasto è gratuito e da qualche parte questa liquidità dovrà essere riassorbita nel tempo. Potrebbe esserlo grazie all’aumento di produttività determinata dalla sviluppo tecnologico e dallo smart working, dalla riduzione del cuneo fiscale e dal conseguente aumento di salari oppure dalla realizzazione massiccia di nuove infrastrutture. Tuttavia, nel caso in cui ciò non avvenisse o non bastasse lo scenario si complicherebbe poiché si andrebbe verosimilmente o verso un aumento dei tassi con conseguente problema di sostenibilità dei debiti pubblici e di quelli delle aziende fortemente indebitate oppure verso un aumento generalizzato dei pezzi, l’inflazione appunto. Cosa comporta la crescita dell’inflazione in termini socio-economici?

Un costo della vita in aumento senza che i salari riescano a stargli dietro. Dunque, per fare degli esempi, ristrutturazioni e nuove case più costose, regali di Natale più cari, vita quotidiana più difficile da fronteggiare per milioni di famiglie. Ma soprattutto l’inflazione è un problema per i redditi medio-bassi poiché ha lo stesso effetto sul potere di acquisto di una nuova tassa, mentre crea problemi molto relativi a chi vive di rendite finanziarie o può contare su solidi patrimoni. In altre parole, sarebbe ancora la classe media a pagare l’incapacità della politica di contenere l’inflazione e al tempo stesso riavviare la crescita. Senza contare l’aumento dei costi per le opere e le infrastrutture che graverebbero su una pubblica amministrazione già indebitata e lenta nei pagamenti ai fornitori privati. Quello inflazionistico è un rischio politico che staziona sui tavoli di tutti i governi. Quello italiano, in particolare, deve prestarvi attenzione poiché dopo anni di crisi, stagnazione e nuova crisi pandemica rischia di ritrovarsi per le mani una bomba sociale e politica. Si dovrà agire sia dall’esterno, attraverso l’azione coordinata delle banche centrali e con politiche commerciali sulle materie prime liberalizzate, sia all’interno, con politiche che spingano produttività e salari anche attraverso nuovi accordi con le parti sociali. La politica italiana ha la forza necessaria per farlo? Ma, soprattutto, i partiti hanno almeno contezza del delicato problema che hanno davanti?

© Riproduzione Riservata