Mario Draghi sta formattando il sistema politico italiano. Non c’è infatti partito della maggioranza che non sia a suo modo in difficoltà: nel Movimento 5 stelle è esplosa la faida Grillo-Conte, LeU è stata tagliata fuori quasi del tutto dalle strutture del Pnrr, il Pd ha perso centralità nei gangli dello Stato e fatica a trovare un messaggio politico, Forza Italia è in liquidazione, la Lega perde terreno nei sondaggi e subisce il pressing di Fratelli d’Italia. Draghi sta contribuendo a svuotare definitivamente il sistema partitico italiano e la sua capacità di rappresentanza.
Tutte queste strade dipendono da fattori strutturali, il governo è retto dal premier ed i suoi uomini e non dai politici; da fattori istituzionali, con le nuove tecnocrazie per attuare il Recovery plan che hanno centralizzato l’azione a Palazzo Chigi; da fattori politici, la maggioranza larghissima limita gli spazi di manovra dei leader. Alcuni dati sono interessanti se si guardano i sondaggi. Nessun partito supera il 23% dei consensi eppure non sono nati nuovi movimenti, i partiti sono sempre quelli. Gli indecisi sono oltre il 40%, in rapida crescita. Il gradimento di Draghi, premier tecnico e senza partito, è nettamente superiore a quello di tutti i politici. Una situazione paradossale e anche preoccupante per ciò che attende la politica italiana nei prossimi anni. Tuttavia, questo stato di cose induce a porsi delle domande sui prossimi passi del Premier. Al momento dell’insediamento l’ex Presidente della Bce aveva dichiarato che si sarebbe prima occupato dell’emergenza pandemica e solo successivamente dell’economia. Ora che la campagna dei vaccini è avanzata e le riaperture quasi ultimate è dunque tempo di capire cosa frulla nella fine mente economica di Draghi. Non si illuda chi crede che tutto sia scritto nel Pnrr perché così non è. Il Recovery assomiglia più ad un programma politico dettagliato che ad un bilancio dello Stato. Cosa possiamo dunque aspettarci da Draghi? Sappiamo che il presidente del Consiglio non vuole aumenti di tasse, come ha lasciato intendere bocciando l’idea di patrimoniale di Enrico Letta. Conosciamo anche l’inclinazione di Draghi verso una fiscalità che premi le imprese e possa spingere la produttività e che il premier non è ostile ad una ulteriore mobilitazione del risparmio verso investimenti finanziari. Tutti i partiti sembrano concordi inoltre nel voler ritoccare a ribasso l’Irpef per il ceto medio. Al momento, tuttavia, circolano soltanto ipotesi. Suggestioni che dovranno raccordarsi con la politica internazionale su cui Draghi punta molto. Sono in tanti oramai gli esperti e gli operatori di mercato che sostengono la necessità di un ulteriore piano di stimoli europei che allinei Bruxelles agli Stati Uniti. Anche in questo caso le pressioni diverse sull’Unione europea sono molte, ma è facile prevedere un Draghi schierato maggiormente dal lato di chi vuole investire di più senza tornare all’austerità. Aspettando il diradarsi della nebbia sul piano europeo, Draghi partirà come sempre dal metodo. Sempre in occasione del suo insediamento il Presidente del Consiglio aveva lasciato trapelare l’intenzione di affidare le bozze di riforma ad una commissione di tecnici. La debolezza dei partiti è tale che Draghi potrebbe anche portare a casa una riforma fiscale quasi interamente disegnata dai suoi uomini, con poco spazio per la mediazione. I prossimi mesi e la legge di bilancio di dicembre ci diranno le priorità di Draghi. Ciò che è evidente però è che il presidente del Consiglio è ancor più decisivo e solo al comando di quanto ci si potesse aspettare all’inizio. Potrà l’Italia dei prossimi anni privarsi del suo apporto? Che sia dove è seduto ora o invece sul colle più alto è difficile immaginare oggi con qualche ottimismo una politica italiana orfana di Draghi.
