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Mps stringe Mediobanca con il cash: si attende il verdetto della Bce

Mps stringe Mediobanca con il cash: si attende il verdetto della Bce

Montepaschi rilancia l’offerta su Mediobanca con 750 milioni in contanti per colmare il gap di valutazione e puntare al 51% del capitale. Mercato e azionisti restano prudenti, mentre la palla passa a Francoforte

Era nell’aria da giorni e alla fine è arrivato. Il rilancio di Mps sull’offerta per Mediobanca era atteso, quasi inevitabile per ridurre quel gap di valutazione che teneva in sospeso una partita da 13,5 miliardi di euro. Il consiglio di amministrazione di Rocca Salimbeni ha deciso di inserire una componente cash da 0,9 euro per azione – 750 milioni complessivi – che porta il corrispettivo unitario a 16,334 euro per titolo Mediobanca, con un premio dell’11,4% rispetto ai prezzi del 23 gennaio e di circa l’1% rispetto alla chiusura della vigilia. Una mossa c per convincere la platea degli azionisti incerti: le casse previdenziali, i fondi italiani come Amundi e Anima, ma soprattutto i grandi investitori internazionali che valgono il 30% di Piazzetta Cuccia.

Con il ritocco, il controvalore complessivo dell’offerta sale a 13,5 miliardi: 12,8 miliardi in azioni Montepaschi di nuova emissione e 0,75 miliardi in contanti. L’obiettivo immediato è superare con facilità la soglia minima del 35% delle adesioni, già a portata di mano dopo il 28,8% raccolto (grazie soprattutto a Delfin e Caltagirone). Ma la posta vera resta più alta: il 51% del capitale, soglia che consentirebbe a Siena di consolidare il bilancio di Mediobanca e utilizzare pienamente i 2,9 miliardi di crediti fiscali(500 milioni l’anno per sei anni, con un valore attuale netto di circa 1,2 miliardi). Invece è stata abbandonata la soglia dell66,7% che avrebbe consentito il controllo dell’assemblea straordinaria. Resta confermata la data finale dell’8 settembre.

Sul fronte patrimoniale, la banca guidata da Luigi Lovaglio ha assicurato che anche dopo l’operazione il parametro  patrimoniale resterà “robusto”: circa il 16% nello scenario centrale, in linea con i target del settore e comunque superiore alla soglia minima regolamentare. Il rilancio avrà un impatto stimato di 80 punti, Numeri che gli analisti giudicano sostenibili, tanto che Kbw ha sottolineato come il Monte disporrebbe comunque di 1,8 miliardi di capitale in eccesso rispetto a un target prudenziale del 14%.

Il mercato però non si è fatto incantare: alla campanella, Mps ha ceduto il 2,16% e Mediobanca l’1%. Segnali di prudenza che riflettono non solo le valutazioni, ma anche le incognite regolamentari. Perché, qualunque sia l’esito, la palla finirà inevitabilmente sul tavolo della Bce. Francoforte, che già segue con attenzione l’operazione, vorrà garanzie precise. Se Siena si fermasse sotto il 50%, entro tre mesi dovrà presentare un rapporto dettagliato che certifichi il “controllo di fatto” oppure delinei un piano industriale chiaro: come gestire la partecipazione, con quali obiettivi, quali scadenze e quali tappe operative. Tempi più larghi – sei mesi – sono previsti solo in caso di conquista della metà del capitale.

Il board senese insiste che la manovra sia “una testimonianza concreta del valore industriale dell’operazione”. Le sinergie stimate restano confermate: circa 700 milioni di euro l’anno, tra ricavi e costi, una volta completata l’integrazione. Ma la vera spinta viene dalle Dta, capaci da sole di ribaltare la redditività del gruppo combinato. Non a caso Exane Bnp Paribas parla di “aumento delle probabilità di raggiungere più del 50% del capitale”, mentre Kepler e Intermonte sottolineano che l’impatto sul capitale resta gestibile.

Resta il nodo politico-finanziario: Mediobanca ha già respinto due volte l’offerta definendola “del tutto inadeguata”. Il board tornerà a riunirsi nei prossimi giorni per esprimersi sul rilancio. E intanto i vecchi azionisti storici continuano a sfilarsi: la famiglia Gavio ha venduto altre 225 mila azioni a 20,75 euro, scendendo allo 0,14% del capitale, mentre i Lucchini hanno ridotto la loro partecipazione allo 0,37%. Un capitale che si frammenta, lasciando spazio a nuove forze pronte a ridisegnare il futuro della banca d’affari.

Il messaggio di Siena è chiaro: il tempo delle esitazioni è finito. Lovaglio sa che per conquistare Mediobanca non bastano i pacchetti amici di Delfin e Caltagirone. Servono le mani ferme dei grandi fondi globali, gli stessi che il 21 agosto hanno votato a favore del piano di Nagel con Banca Generali. E qui la partita si fa politica: perché convincere il mercato internazionale significa dare a Francoforte la certezza che l’operazione non solo è sostenibile, ma anche necessaria per la stabilità del sistema.

In attesa della risposta di Piazzetta Cuccia e del verdetto del mercato, resta il dato più evidente: il rilancio era atteso ed è arrivato. Adesso tutto dipende dalla Borsa, con l’8 settembre come data spartiacque e la Bce pronta a chiedere conto, numeri alla mano, di un takeover che promette di ridisegnare il cuore della finanza italiana.

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