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Meno tasse sulla finanza. Per il bene del Pil e contro l’inflazione

Meno tasse sulla finanza. Per il bene del Pil e contro l’inflazione

Mentre in Italia si discute di un inesistente pericolo fascismo e piccoli gruppi agitano la protesta “no green pass” si vedono degli iceberg all’orizzonte che presto costringeranno il dibattito politico a cambiare a forza argomenti. C’è il rischio inflazione, già concreto sul fronte delle materie prime, delle bollette, e della benzina, che potrebbe tradursi in un generalizzato aumento dei prezzi. Per questi motivi, sarebbe il momento di avviare una riforma fiscale che stimoli gli investimenti sulle Pmi e riduca lo spettro inflattivo.


Mentre in Italia si discute di un inesistente pericolo fascismo e piccoli gruppi agitano la protesta “no green pass” si vedono degli iceberg all’orizzonte che presto costringeranno il dibattito politico a cambiare a forza argomenti. C’è il rischio inflazione, già concreto sul fronte delle materie prime, delle bollette, e della benzina, che potrebbe tradursi in un generalizzato aumento dei prezzi; c’è un blocco dei licenziamenti prolungato che continua a mascherare dietro lo schermo del diritto la situazione della disoccupazione ma che entro qualche mese diventerà palese; ci sono le incertezze e i rischi delle politiche green che se attuate con fretta e radicalità rischiano di mettere in crisi interi settori industriali. Il passaggio alla motorizzazione elettrica può generare delle crescenti difficoltà al mercato italiano dell’automotive. <È un tema che va affrontato da subito perché inciderà in modo significativo sull’occupazione e sullo stesso Pil> ha dichiarato di recente Alberto Bombassei, presidente di Brembo, mostrando come la situazione inizi a preoccupare la grande industria manifatturiera. Ci sono poi le centinaia di miliardi da spendere attraverso una amministrazione pubblica che ancora deve selezionare i tecnici dell’attuazione e del monitoraggio delle politiche del Pnrr e c’è una riforma fiscali i cui tratti sono stati appena abbozzati. Difficile che un governo con una maggioranza così ampia riesca a fare una rivoluzione fiscale, troppi gli interessi coinvolti. La buona volontà di Mario Draghi può portare al massimo ad una razionalizzazione della selva tributaria italiana. Tuttavia, c’è un punto che manca nella riforma fiscale, anche se non sono chiusi gli spazi per ulteriori sviluppi, che riguarda la finanziarizzazione dell’economia italiana. Da anni si discute di come “mobilizzare” il patrimonio degli italiani, prevalentemente investito in immobili, e di come far crescere le PMI attraverso i passaggi generazionali e l’apertura al mercato. Le risposte sono state quasi sempre insoddisfacenti: o la solita proposta di aumentare ulteriormente le tasse sugli immobili o le inutili tirate contro il capitalismo familiare condite da retorica tecnocratica. Argomenti da economisti che non hanno mai messo piede in un’azienda di qualunque dimensione.

Risultato zero sia in politica che in economia. Invece ci sarebbero due proposte da prendere in considerazione: la prima è la riduzione della tassazione sugli utili degli investimenti finanziari (capital gains), salita in pochi anni fino al 26%. Tanto più che si potrebbe andare verso uno scenario inflazionistico è sensato ridurre l’imposizione fiscale su chi decide di investire in prodotti finanziari così da mitigare gli effetti dell’erosione reddituale. La seconda proposta è stata invece avanzata da Giovanni Tamburi, una delle figure di riferimento della comunità finanziaria milanese. Tamburi, proprio per incentivare l’apertura al mercato delle Pmi, propone dei benefici fiscali sia per i cedenti che per gli emittenti e i sottoscrittori delle nuove quotazioni. Un’iniziativa che potrebbe mobilizzare capitali fermi e di cui le aziende in espansione hanno gran bisogno. I Pir (piani individuali di risparmio) sono stati un primo passo, ma creare un rapporto ancora più diretto tra risparmio e imprese è un tema a cui il paese non può sottrarsi. L’Italia ha bisogno della finanza e della Borsa per superare l’immobilità del capitale sia sul piano della governance aziendale che su quello dell’investimento di denari fermi in conti correnti e case. Un incentivo che permetterebbe inoltre di evitare tassazioni punitive proprio sull’immobiliare e sulle giacenze liquide. Draghi ben conosce questi argomenti, essendo stato governatore della Bce ma soprattutto protagonista delle privatizzazioni degli anni Novanta, e su questo dovrebbe provare a forzare la mano sia nella sua maggioranza che in Europa. In un momento in cui tutti vogliono proteggere ed immobilizzare è invece il caso di spingere per investire e rimodulare le composizioni di risparmio e capitale. Perché non accompagnare ad uno Stato post-pandemico più interventista una “liberalizzazione” finanziaria? Sarebbe una formula inedita eppure modernissima.

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