Si sta perfezionando l’ingresso di Lufthansa nella compagnia nazionale Ita Airway e i vettori a basso costo accelerano. Conquistano così importanti quote del nostro settore aereo, godendo tra l’altro di importanti incentivi pubblici.
La competizione l’hanno vinta da tempo e ora non resta che consolidare la loro supremazia. Il limbo in cui si trova Ita ha dato alle compagnie low cost, e in particolare a Ryanair, la possibilità di conquistare quote di mercato sempre maggiori. Un’operazione effettuata anche grazie alle risorse degli enti territoriali del nostro Paese. Si parla di 250 milioni di euro l’anno che affluiscono nelle casse dei vettori da diversi «rivoli», difficili da individuare, dai gestori aeroportuali ai Comuni, per mancanza di trasparenza.
«Bisognerebbe rendere pubblici i contratti, perché chi si sente danneggiato non può fare neanche opposizione giuridica» commenta Ugo Arrigo, docente di Economia politica all’Università di Milano Bicocca ed esperto di trasporti. Sicché si è creato il paradosso che i contribuenti mentre mantengono in vita la vecchia Alitalia, con esborsi senza fine, irrobustiscono al tempo stesso i suoi concorrenti, finanziando la realizzazione di nuove tratte. Non è un mistero che i Comuni in posizione più strategica sul territorio, pur di avere un hub e intercettare il traffico turistico, siano pronti a incentivare economicamente le rotte.
Ryanair è la più forte low cost in Italia, con oltre il 40 per cento di quota di mercato. Attualmente conta 95 velivoli nella Penisola e 3 mila occupati diretti, oltre a 40 mila nell’indotto. Il ceo della compagnia, Michael O’Leary, ha di recente presentato presso il ministero dei Trasporti un piano per crescere del 50 per cento, passando da 56 milioni di passeggeri ad almeno 80 milioni nei prossimi cinque anni, con un miliardo di dollari lannui di investimento. Già entro questo anno porterà altri 10 aerei, due all’aeroporto di Bergamo Orio al Serio, uno a Roma e sette sparsi in diversi aeroporti, facendo arrivare a 95 il numero totale di velivoli in Italia.
Il decollo della low cost e il sorpasso su Ita Airways è maturato nel giro di pochissimo tempo. Prima della crisi Covid, Ryanair era ferma al 25 per cento del mercato nazionale e Alitalia era ancora un «competitor» agguerrito. Ora i rapporti di forza si sono ribaltati e sarà difficile recuperare il terreno perso. Gli strascichi della pandemia sono stati assorbiti da un’estate con numeri di passeggeri oltre ogni più rosea aspettativa. Certo, ci sono gli aumenti energetici, l’incognita della guerra in Ucraina, l’inflazione, ma la low cost scommette sulla voglia di viaggiare che finora ha avuto la meglio sulla crisi economica e sul carovita. Nel 2022 l’aerolinea ha trasportato 168 milioni di passeggeri, più dei 149 milioni pre-Covid, e per il 2023 prevede di salire a 186 per raggiungere 225 milioni di passeggeri entro il 2026.
Non preoccupa l’eventuale ingresso di Lufthansa nel capitale di Ita. O’Leary è convinto che il vettore tedesco «non farà nulla per la crescita di quello italiano e si limiterà ai voli da Milano per Monaco e Francoforte». Il monitoraggio di Eurocontrol (l’ente europeo di assistenza al volo) rivela chiaramente i rapporti di forza. Nell’ultima settimana disponibile, dal 19 al 25 gennaio, Ryanair si colloca al primo posto nel mercato europeo per numero di voli al giorno (2.177) con un aumento rispetto al 2022 di ben il 78 per cento, seguita da Turkish Airlines (1.303 voli +64 per cento), Lufthansa (885 voli +33 per cento), Air France (835; +32 per cento), EasyJet (754; +59 per cento), British Airways (675; +91 per cento) e Wizz Air (667; +85 per cento).
Da questi numeri emerge che gli aumenti percentuali delle low cost realizzati rispetto allo scorso anno sono superiori a quelli delle compagnie tradizionali. E hanno performance di recupero più importanti anche sulla stessa settimana pre-Covid del 2019: Ryanair +14 per cento, Wizz Air +46 per cento, mentre EasyJet non è ancora riuscita a recuperare il gap e ha un calo del 37 per cento. Cosa stia accadendo lo spiega Ugo Arrigo: «I vettori tradizionali puntano a salvare i bilanci, a tornare all’utile piuttosto che intraprendere strategie per ampliare delle quote di mercato. Hanno una posizione difensiva. Significa non volare troppo in quelle rotte dove le low cost sono in vantaggio. Queste, invece, hanno una politica opposta. Per loro, massimizzare il bilancio significa aumentare voli ed espandersi. Pertanto il ritorno alle condizioni pre-Covid è dovuto essenzialmente alla politica aggressiva condotta dalle compagnie a basso costo. Un esempio è fornito da ciò che sta accadendo in Germania dove esse non hanno largo spazio e il mercato continua a essere il 25 per cento più basso rispetto a prima della pandemia».
C’è un ulteriore aspetto da non sottovalutare. Gli analisti di Bernstein, società di asset management globale, prevedono un indebolimento dei vettori non più sostenuti dai governi nazionali che ora sono concentrati su altri problemi. E questa è una buona notizia per i «pesci grossi» come EasyJet e Ryanair che possono approfittarne e accaparrarsi i clienti. Arrigo aggiunge che le compagnie che hanno ricevuto gli aiuti pubblici per superare la difficile fase di pandemia ora li devono restituire e, avendo strutture di costo più rigide, non vanno a fare competizione diretta alle low cost, con il rischio di peggiorare i conti.
Il Covid ha liberato spazi di mercato e chi è più aggressivo e flessibile, è avvantaggiato. «È incomprensibile la lentezza con cui il ministero dell’Economia ha finora affrontato la partita della cessione di Ita Airways a Lufthansa mentre il momento richiede velocità decisionale» commenta Arrigo. I cambiamenti in atto nel settore hanno riacceso i rumors su possibili acquisizioni e fusioni tra vettori. Secondo il ceo di Ryanair «Tap, la compagnia di bandiera portoghese, andrà in British Airways-Iag, mentre EasyJet finirà per essere acquistata da BA o Air France o da entrambe congiuntamente e poi Lufthansa comprerà Wizz». A complicare il risiko ci sarebbe la scarsa liquidità nel settore, inoltre British, osserva Arrigo, siccome è il vettore di un Paese extra Ue non può diventare azionista di controllo di una compagnia europea.
Air France-Klm, impegnate a restituire gli aiuti di Stato ricevuti negli ultimi tre anni, non sarebbero in condizione di lanciarsi in operazioni impegnative. Un portavoce del vettore ha sottolineato che «la priorità è di riprenderci completamente dalla crisi della pandemia e di completare la nostra trasformazione». C’è poi l’incognita degli aumenti energetici cui si aggiunge il peso delle tasse green che colpisce i voli a corto raggio, mentre sono esentati quelli a lungo raggio anche se rappresentano oltre il 54 per cento delle emissioni del traffico aereo dell’Ue ma trasportano solo il 6 per cento dei passeggeri dell’Europa. Quindi, al momento, l’unico «spostamento» societario è quello di Ita Airways e Lufthansa.
