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Il reddito di cittadinanza torni sussidio di povertà. Con il lavoro non c’entra nulla

Il reddito di cittadinanza torni sussidio di povertà. Con il lavoro non c’entra nulla

Mario Draghi ha dichiarato con vaghezza di essere favorevole alla misura introdotta dal primo governo Conte. Improvvisamente una fetta di politici si è scoperta dalla stessa parte. In realtà non sappiamo in che cosa il premier immagini di trasformarla. Perché così è solo costosa e dannosa. Serve sostegno a chi non ha reddito ma basta misure che danneggiano il mercato del lavoro già avvilito da fisco e burocrazia.


Nel turbinio politico degli ultimi anni è spesso accaduto che un’idea o una politica bollata come populista venisse fatta propria dall’establishment. Sembra essere accaduto anche con il Reddito di cittadinanza, introdotto nel 2018 dal governo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte e poi mantenuto dai successivi governi di differente colore e fattura politica. Persino Mario Draghi, il tecnocrate che più di ogni altri si reputava fosse in contrasto con la misura, ha dichiarato con vaghezza di condividerne la filosofia di fondo. Come per magia, analisti, economisti e commentatori un tempo apertamente avversi alla policy ideata da Beppe Grillo si sono convertiti in sostenitori del reddito di cittadinanza. Certo i lockdown hanno contribuito a dare forza alla misura visto che in centinaia di migliaia dopo la pandemia sono rimasti senza lavoro e senza reddito. E nessuno immagina più di cancellare la misura, ad eccezione dell’oramai minuscolo partito di Matteo Renzi, poiché tutti ad eccezione di Fratelli d’Italia sono stati e sono al governo con il Movimento 5 stelle. Ciò non toglie però che la misura resti sproporzionata e poco chiara negli obiettivi. Che fine hanno fatto i navigator assunti? Come stanno lavorando i centri per l’impiego? Quanti percettori del reddito di cittadinanza hanno effettivamente trovato lavoro? Il reddito è soltanto un sussidio o uno strumento che permette davvero di reinserirsi nel mercato del lavoro? I governi passano, ma queste risposte rimangono inevase. Eppure nella prossima legge di bilancio si dovrà capire quanto investire sul reddito di cittadinanza. Ci muoviamo in uno scenario complesso: c’è la coda degli effetti economici della pandemia e fino a novembre, ma per ragioni burocratiche di fatto fino alla fine del 2021, c’è il blocco dei licenziamenti. Disagio sociale e libertà d’impresa vanno tenuti insieme in questa ripartenza, senza sacrificare nessuno dei due. E qui entra in gioco una possibile riforma proprio del Reddito di cittadinanza ossia trasformare la misura in puro welfare scorporandola dalle politiche attive. Ciò che è chiaro infatti è il mancato funzionamento dell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro con la mediazione dello Stato. In altre parole, centri per l’impiego e navigator non producono quasi nulla sul piano dell’occupazione e servono prevalentemente per pagare gli impiegati che ci lavorano dentro. Sarebbe ben più sensato fare del reddito un mero sussidio ad individui e famiglie in grave difficoltà economica e lasciare ad enti di formazione privati accreditati la gestione delle politiche attive. Così il reddito di cittadinanza servirebbe da misura tampone in casi di prolungata disoccupazione e di grave indigenza. La misura costerebbe meno ai contribuenti, sarebbe maggiormente finalizzata e non si intreccerebbe con l’utopica pretesa di far trovare un lavoro al percettore attraverso strutture burocratiche e centralizzate. Il reddito, insomma, resti uno strumento anti-povertà, ma non di inserimento nel mercato del lavoro. La platea può essere così ristretta e le cifre ricalibrate come sussidio o integrazione per chi ne ha reale bisogno. Che sia questa la filosofia di fondo condivisa anche dal presidente Draghi? Non giochiamo a fare gli esegeti, ma anche questo governo dovrà rispondere alle solite domande e soprattutto decidere quanta parte del bilancio pubblico impiegare su quel fronte politico. Senza dimenticare quanto il mercato del lavoro è stato ingessato dal divieto di licenziare, dai bizantinismi della legislazione e della burocrazia e a quanto già ammonta il carico fiscale su imprese e lavoratori.

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