Anche con il Covid gli italiani hanno continuato a mettere da parte migliaia di miliardi di euro. Oggi, però, tenere fermo il denaro è sbagliato e bisogna investire, dicono le banche sempre più affamate di commissioni. Così, per scoraggiare i grossi depositi, adottano una sorta di patrimoniale. Lo Stato tace, ma è spettatore interessato.
Pubblica o privata, a seconda delle convenienze, l’attività creditizia è una commedia dove le parti assegnate ormai cambiano alla velocità della luce. Sulla carta, le banche fanno quello che vogliono perché ormai sono quasi tutte società per azioni. Però sono sottoposte a vigilanza dello Stato e raramente falliscono. A loro volta, i correntisti possono essere i vezzeggiati clienti delle pubblicità, risparmiatori da tutelare, investitori da spennare, cittadini da educare alla finanza, sudditi da tassare per conto dello Stato. E anche i banchieri vestono abiti sempre diversi: macchine da dividendi, infaticabili «creatori di valore», motori dello sviluppo, salvatori della patria, polverizzatori di risparmi, abili speculatori, mecenati e filantropi, moralizzatori della finanza, profeti della Bce.
Nonostante questo caos organizzato, vigilato ma non sempre, regolato ma sempre un po’ dopo che sono scappati i buoi, è davvero difficile far passare sotto silenzio la storia delle penalizzazioni e dei costi aggiuntivi scaricati sui clienti che osano tenere «troppi» soldi sul conto. Le motivazioni ufficiali sono tra le più bizzarre, comprese le consuete prediche al cittadino «speculatore», fatte da gente che compra e vende derivati a tutte le ore del giorno e della notte. Da un lato, l’ultimo attacco alla liquidità rischia di essere la definitiva Operazione antipatia delle banche nostrane. Dall’altro, è una vicenda dove è chiarissimo chi ci guadagna e chi ci perde.
All’articolo 47, la Costituzione lascia credere che «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito». Chi era abituato a pensare alle banche che rincorrono i clienti perché aprano un conto, ormai rischia di vivere in un’altra era geologica. Con i tassi a zero e l’inflazione stabilmente sotto al famoso 2% (sarebbe l’obiettivo dichiarato della Bce da quando ha cominciato a iniettare liquidità a mani basse), le banche guadagnano solo con commissioni e servizi. E allora, ecco che dal primo marzo Unicredit si prende lo 0,5% sulle somme che i nuovi clienti (solo le imprese, al momento) lasciano ferme oltre la soglia dei 100.000 euro.
Il Monte dei Paschi, che è dello Stato, da fine marzo colpisce con analogo prelievo le somme superiori al milione, sempre per le aziende. A luglio, si allineerà anche Banco Bpm, a partire dai 100.000 euro, sempre sui conti correnti. Altri, come Bnp Paribas, hanno scelto la strada delle spese forfettarie: 400 euro ogni 100.000 tenuti lì senza dare frutto, fino a un tetto di 4.000 euro per ogni milione. Ma il caso più controverso è quello di Finecobank, che il 18 marzo ha scritto ai clienti, minacciando la chiusura dei conti con oltre 100.000 euro.
La Patria, quando fa comodo. Quest’ondata di costi e penalizzazioni ha due origini reali. La prima è che quei 1.745 miliardi di liquidità, ben 200 in più di un anno fa (fonte: Abi, febbraio), fanno gola a tutti: Stato, banche, assicurazioni. Ma anziché chiedersi di che cosa abbiano paura imprese e privati (di solito, di chi ci governa), questi denari vengono fatti passare per una sorta di monumento all’egoismo, da colpire per il bene della patria. Quando il denaro, notoriamente, una patria non ce l’ha più. Una volta demonizzati questi risparmi, sarà più semplice metterci le mani sopra. Blaim the victim, dicono gli americani. Poi, certo, con i tassi negativi, le banche sostengono dei costi per finanziarsi con la Banca centrale (o tra loro) e devono ribaltarli sull’amata clientela. Sembrerebbe un automatismo di sistema, ma ecco che i banchieri italiani diventano improvvisamente seguaci di Pierre Joseph Proudhon e concentrano le proprie attenzioni solo sui più ricchi.
Criminalizzare fuziona. Anche se è appena ripreso il terrorismo sulle pensioni, e nonostante i «ristori», la cassa integrazione e ogni altra provvidenza di Stato siano sempre in tragico ritardo, il messaggio che passa a tamburo battente è che non bisogna essere liquidi. E i miliardi oggi fermi sui conti correnti, ad ascoltare le banche, dovrebbero andare all’economia reale, passando per l’acquisto di azioni, obbligazioni, fondi comuni d’investimento, sicav, Etf (fondi quotati) e polizze. Sempre a voler essere pedanti, la Costituzione direbbe che la Repubblica «tutela il risparmio», non che «spinge all’investimento». Ma tant’è. Preparata abilmente dalla criminalizzazione crescente del contante, la prossima crociata delle banche contro i soldi fermi sul conto è una sorta di patrimoniale tra privati.
Fare i soldi con i soldi. A Piazza Affari, il titolo Finecobank è salito del 52,8% in un anno, per arrivare alla capitalizzazione record di 8,6 miliardi di euro. I conti del 2020 hanno fatto registrare ricavi a quota 775 milioni (+18%), un utile impressionante di 324 milioni (+19 per cento) e una massa gestita arrivata a 91,7 miliardi (+12%). Eppure, con la lettera del 18 marzo, il colosso del risparmio gestito avvertiva i clienti che, dal prossimo 18 maggio, la banca avrà il diritto di rescindere il rapporto di conto corrente qualora al momento del recesso e nei tre mesi precedenti vi siano contemporaneamente tre condizioni: presenza sul conto di una giacenza media di liquidità uguale o superiore a 100.000 euro; assenza di qualsiasi forma di finanziamento, anche se già concesso ma non utilizzato (sono escluse le carte di credito); assenza di qualsiasi forma di investimento in prodotti di risparmio gestito o amministrato.
Nell’informativa, Fineco spiega che la scelta è dovuta ai tassi interbancari negativi. La lettera ha scatenato le proteste di molti clienti, che minacciano di spostare i soldi presso la concorrenza e allora, il 23 marzo, il fondatore e amministratore delegato Alessandro Foti ha innescato una mezza retromarcia con un’intervista al Sole 24 Ore.
Banchieri e pedagoghi. «Il motivo per cui la Bce ha portato i tassi d’interesse in negativo è per rendere costosa la liquidità e dunque per favorire il suo travaso verso l’economia reale» ha fatto osservare Foti, «ma se il meccanismo si inceppa (…) allora abbiamo un problema. Noi vogliamo aiutare a risolverlo». Il banchiere filantropo ha poi citato il fenomeno dei cittadini tedeschi, francesi o svizzeri, che tengono i soldi nelle banche italiane perché a casa loro i tassi sono negativi (mentre da noi, per introdurre i tassi negativi, andrebbe cambiata la legge).
E poi ci sono italiani che giocano in Borsa all’estero, ma tengono la liquidità ferma in patria. «Non va bene che alcuni clienti, quelli più esperti, abbiano vantaggi indebiti facendo arbitraggi» ha concluso l’occhiuto Foti. In effetti, com’è noto, arbitraggi, giochetti sui tassi e vantaggi indebiti non fanno proprio parte del bagaglio delle banche. Il gran capo di Fineco ha perfino messo in guardia i correntisti dall’«atteso aumento dell’inflazione che eroderà il potere d’acquisto», di fronte al quale «non vogliamo diventare complici di un grande esproprio di ricchezza».
Paura, ma anche entusiasmo. Nelle ultime settimane si è intensificata anche la campagna per convincere i risparmiatori ad affidarsi all’industria del risparmio gestito. Tutto lecito, ma sono le motivazioni utilizzate a destare qualche sospetto, quasi che promettere il giusto mix di sicurezza, rischio e guadagni fosse da condannare. Nello «Speciale Investimenti», pubblicato dalla Stampa il 20 aprile, si leggeva che «il costo della vita è destinato a salire, bruciando il valore delle somme sui conti». Con l’inflazione in crescita, ma comunque allo 0,8%, forse non siamo alla vigilia della Repubblica di Weimar. E l’aumento della liquidità, dopo il consueto inno alla ripresa prossima ventura «da parte degli esperti che incoraggiano investimenti e consumi», viene descritto come «una distorsione che porta i risparmiatori a perdere le opportunità che arrivano dalla gestione della liquidità sui mercati». Va detto che almeno, quando passano dal terrorismo sulle pensioni alla «Vie en rose» dei fondi comuni, certi giornali sono di un entusiasmo commovente.
Antipatico, in francese. L’importante, comunque, è preparare il terreno. Il 3 ottobre del 2019 l’allora amministratore delegato di Unicredit, il francese Jean-Pierre Mustier, si assunse il compito: «Sarebbe estremamente importante che i tassi negativi non si fermassero nei bilanci bancari. È importante che la Bce dica alle banche, “per favore passate i tassi negativi ai vostri clienti”, proteggendo i piccoli clienti con depositi inferiori ai 100 mila euro». I suoi colleghi, va detto, si sono talvolta detti contrari in pubblico, ma in privato erano più o meno d’accordo. Si trattava solo di capire chi dovesse vestire per primo i panni dell’antipatico e Mustier, nonostante la cravatta rossa con l’alce, era un predestinato.
Su un tema tanto delicato e importante, si registra il silenzio della Banca d’Italia, del suo governatore Ignazio Visco e dei governi che si sono succeduti nel tempo. Al momento di colpire la liquidità in conto corrente, l’attività creditizia ridiventa per magia completamente privata, come fosse la vendita di trattori. Eppure, a imprese e cittadini non è che siano stati offerti servizi aggiuntivi. Ogni giorno spariscono decine di filiali e centinaia di impiegati. A metà aprile, Unicredit ha deciso di chiudere 450 agenzie e di aumentare del 33% i costi dei conti correnti. Così, mentre gli amministratori delegati guadagnano mediamente 122 volte i loro dipendenti, con stipendi che vanno dai 5,6 milioni di Carlo Cimbri (Unipol) ai 7,5 milioni l’anno di Andrea Orcel (Unicredit), sui bancari ci sono pressioni crescenti perché spaccino alla clientela ogni genere di alchimia finanziaria. Come denunciano da mesi tutti i sindacati.
Non volevate il nostro denaro? I modi per colpire «l’eccesso di liquidità» possono essere più o meno urbani, ma la strada ormai è tracciata. Visto che tutte le maggiori banche, Mps a parte, hanno bilanci con utili, dividendi (e stipendi dei capi) da capogiro, anziché travestirsi da banchieri centrali o da moralizzatori del risparmio, non sarebbe più onesto dire ai propri correntisti: «Scusate, ma abbiamo deciso di tagliare ulteriormente i costi?».
Ma forse, questa patrimoniale bancaria sulla liquidità è soltanto l’antipasto di quella che prepara il governo e allora è necessario rivestirla di valori etici, solidaristi e patriottici. Tanto, un popolo mascherato anche all’aperto accetta di tutto. Poi, certo, ognuno è libero di svuotare i conti, spostare i soldi in una volgarissima cassetta di sicurezza, o investirli in diamanti, oro e bitcoin. Ma dopo che Associazione bancaria italiana e Bankitalia hanno passato un decennio a lamentare i rischi della disintermediazione, chissà perché ora le stanno facendo un assist così preciso.