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Si è sgonfiata la ripresa

Si è sgonfiata la ripresa

Il conflitto in Ucraina e il boom delle materie prime e del gas hanno reso carta straccia le previsioni di crescita per il 2022. La frenata è sempre più evidente, mentre i sostegni alle imprese esigui. E così si risveglia il nostro incubo peggiore: il debito pubblico.


Giocando a poker a un all in, qualcuno risponde: vedo. Mario Draghi ha puntato tutto sulla ripresa. Forse pensando di traslocare da Palazzo Chigi al Quirinale ha spinto l’acceleratore sul debito con la Finanziaria: 30 e passa miliardi, due terzi in deficit. Azzardo calcolato? Cinque mesi fa, forse. Ma la crisi ha fatto: vedo!

Il piatto era questo: un rimbalzo pingue – 6,6% del Pil nel 2021, un’inflazione sopportabile all’1,6, la Bce alleata e il Pnrr. Draghi è un banchiere e come tale ragiona: se si fa volume, il debito appare sostenibile e noi stiamo tranquilli. Lo conferma la Nadef, la nota aggiornamento al Documento di economia e finanza, scritta dal ministro Daniele Franco in cui si afferma: «Per il 2022 c’è un obiettivo di deficit pari al 5,6% del Pil. La crescita è prevista pari al 4,7 nel 2022. La discesa del rapporto debito/Pil proseguirà per raggiungere il 146,1% nel 2024. La completa realizzazione del Pnrr resta la grande scommessa per i prossimi anni».

Già, la scommessa. Il problema è capire se perdendola ci sono i soldi per pagare. Nemmeno un numero scritto nella Nadef è oggi raggiungibile. Il quadro economico si è deteriorato gravemente e pure quello delle relazioni di Draghi, sia interne sia internazionali. Da presidente della Banca centrale teneva sotto scacco persino Angela Merkel, ora convoca i leader mediterranei – Spagna, Portogallo e Grecia – per chiedere a Bruxelles di mutualizzare qualche debito. Il ministro dell’Economia Franco ha dovuto ammettere: «L’economia rallenterà, per l’Italia le revisioni al ribasso della Commissione europea potranno essere sostanziali».

Il premier perciò non concede scostamenti di bilancio e prova a turare le falle. La prima dimostrazione l’ha data con il taglio delle accise sui carburanti programmato per un solo mese: i soldi devono venire dalla tassazione degli extra-profitti delle società energetiche. Sono 4 miliardi, ma è difficile trovare anche quelli. Così ha deciso di anticipare la redazione del Def. È la rotta per cercare di non far naufragare la barca Italia nella tempesta perfetta: inflazione fuori controllo (siamo al 5,7%, ma punta all’8), produzione industriale che crolla, crescita stimata attorno al 3%.

Con questi numeri contenere il deficit e rendere sostenibile il debito è quasi impossibile se non ricorrendo a una tassazione straordinaria per peso e durata. E con i partiti in campagna elettorale l’impresa è complicata assai. Non è un caso che la riforma fiscale – che pure dovrebbe essere un pilastro del Pnrr – è finita in un cassetto e s’infittiscono i sospetti sulla revisione del Catasto prodromica a una nuova patrimoniale.

A Bruxelles Draghi prova a costruire con l’aiuto di Emmanuel Macron uno scudo per rinviare il patto di stabilità, per impedire che la Bce alzi i tassi e lanciare un Recovery fund bis centrato sui danni derivanti dalla crisi Ucraina. La premier svedese – Magdalena Andersson così coccolata dalla nostra sinistra – ha tuonato: «Sono stata ministro delle Finanze per sette anni. Alcuni Paesi trovano sempre nuovi argomenti per non pagare le proprie spese». L’olandese Mark Rutte ha notato: «Il Recovery è stato un una tantum, non si ripete». Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione, aggiunge: «Quando le condizioni lo permetteranno l’Italia dovrà ridurre debito e tenere sotto controllo la spesa corrente che per quest’anno cresce dell’1,5% del Pil».

Per l’Europa Draghi non sta facendo «debito buono» e sperare in una sponda di Bruxelles pare difficile anche se la Germania non viaggia a gonfie vele. La stima sulla crescita di Berlino è attorno al 2,2%. È meno delle cifre accreditate per l’Italia, ma la Germania non ha 2.740 miliardi di debito. E su questo Draghi deve lavorare. Per tenerlo sotto controllo finora ha sperato nella ripresa che si è sgonfiata.

Il governatore della Banca d’Italia – per lui la crescita non arriverà al 3,8% – si è detto molto preoccupato: «Con questi prezzi dell’energia tante aziende non riusciranno a sopravvivere, ma non è responsabilità della politica monetaria». Ignazio Visco rivela così una debolezza della «Draghinomics»: è disegnata sugli strumenti monetari e assai meno centrata sulla politica industriale. La dimostrazione? La riforma fiscale appena accennata, quella degli ammortizzatori sociali impantanata, la semplificazione mai partita.

Eppure sono impegni del Pnrr, il Piano nazionnale di ripresa e resilienza, altra spina nel fianco. A sottolineare questi aspetti ci hanno pensato l’Ufficio studi e il presidente di Confindustria. Per viale dell’Astronomia, la crescita non arriverà al 3,5 e la contrazione della produzione nel primo trimestre è stata dell’1%. Carlo Bonomi, che ha «divorziato» dal governo per la tassa sugli extraprofitti delle società energetiche, nota: «Non stiamo crescendo più, servono interventi subito per sostenere le aziende schiacciate dai costi».

Gian Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat, ammette: «Avevamo previsto di arrivare ai livelli del 2019 entro aprile, non sarà così: la guerra ha bloccato tutto. L’impatto del conflitto può valere una contrazione del Pil dello 0,7%, ma non c’è alcun indicatore per dire che l’economia possa migliorare». Più pessimista Confcommercio. Vede una crescita del Pil vicina, se non inferiore, al 3%. Il primo trimestre rispetto a quello del 2021 registra un crollo del 2,4. Neppure il Pnrr mitigherà questa situazione per effetto dell’inflazione, del caro carburanti ed energia e per il crollo dei consumi con i costruttori che si tirano inidetro.

Gabriele Buia, presidente dell’Ance, lamenta il dietrofront del governo che ha cancellato la possibilità per le imprese di bloccare i lavori se i costi salgono o le materie prime scarseggiano. «Senza quella norma dobbiamo chiudere i cantieri». E Draghi ammette: «Non occorre un ripensamento del Pnrr nelle sue scadenze e nei suoi obiettivi. Questo piano è cruciale per aumentare la nostra crescita permanentemente. Però è giusto riflettere su quali conseguenze avranno l’aumento dei prezzi delle materie prime e dei costi in generale».

Il premier deve affrontare una serie di crisi: dalla logistica ai balneari, dal turismo all’agricoltura, dalle imprese energivore fino al lavoro che manca. Ma non può fare ricorso al bilancio pubblico. «Le speranze di una forte ripresa» ha ammesso alla Camera «si affievoliscono e di fronte a questo occorre una risposta europea: sul piano economico, sul piano della difesa, sul piano dell’energia». Insomma spera in un altro Next Generation Ue ammettendo che «se quest’anno riusciremo a fare un numero positivo di crescita, molto sarà dovuto al trascinamento di quella straordinaria crescita che abbiamo avuto l’anno scorso». Prova un altro all in a Bruxelles, ma stavolta il rischio è più alto: si gioca alla roulette russa.

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