Il possibile abbandono di Arcelor Mittal da Taranto e la conseguente chiusura delle acciaierie ex Ilva sarebbero un danno enorme in termini economici e occupazionali per l’Italia.
Il conto, da pagare, era stato calcolato mesi fa da Svimez, l’associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, è a dir poco salatissimo: la stima sulla mancata produzione di 6 milioni di tonnellate (tanto poteva produrre a pieno regime l’ex Ilva) è di circa 24 miliardi di euro; 6 miliardi in meno della manovra finanziaria in discussione da oggi al Senato.
In rapporto con il pin, stimato nel 2017 a 1725 miliardi di euro, stiamo parlando di una perdita di quasi l’1,5% sull’intero pie del paese. Ma non è tutto.
A queste cifre infatti andrebbero aggiunti anche i mancati investimenti sull’area, legati alla sostenibilità ambientale e previsti da Arcelor Mittal, per 11 miliardi, più 1,2 miliardi di investimenti industriali e strutturali, più il pagamento dell’azienda per altri 1,8 miliardi.
Il totale quindi diventerebbe di 38 miliardi di euro. E questo solo da un mero punto di vista economico contabile. Perché poi ci sono anche i danni ambientali ed occupazionali.
Senza il colosso mondiale dell’acciaio infatti i costi (non quantificabili) della bonifica dell’intera area sarebbero tutti a carico dello Stato. E, soprattutto, resta il problema occupazionale: attualmente solo a Taranto lavorano ben 8200 persone più altre 2500 nelle altre sedi italiane. Vite che resterebbero senza troppe speranze di una nuova occupazione, in un’area del paese a basso tasso di produttività.
Le promesse del Governo Renzi e di quello Gentiloni di creare su quell’area un nuovo polo produttivo alternativo non hanno mai avuto riscontri reali.

Se la decisione di Arcelor Mittal di abbandonare l’Italia fosse confermata ci sarebbero danni per 38 miliardi e quasi 11 mila posti di lavoro