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Dietro il paravento dell’evasione

Dietro il paravento dell’evasione

Circa 80 miliardi di euro: è la quota di redditi sottratti Al fisco. Ma più di questo, il problema dell’italia sono le aliquote: troppo alte per un paese impoverito. Mentre si dà la caccia ai «soliti noti», le multinazionali riescono a non pagare miliardi di imposte. E l’economia Illegale e sommersa non viene inclusa nelle statistiche. Ecco i calcoli delle tasse, al di là della propaganda.


Attorno al Fisco, mentre gli italiani imprecano per la dichiarazione dei redditi che contempla 180 pagine di prescrizioni e tabelle (in Gran Bretagna sono due facciate di foglio A4) impossibile da compilare senza l’aiuto di un commercialista o di un Centro di assistenza fiscale (un’ulteriore tassa implicita), si consumano i «giorni della civetta». Si celebrano i professionisti dell’antievasione che sparano cifre a casaccio: 180, anzi no, 300 miliardi di euro! Se tutti pagassero si pagherebbe meno, serve la patrimoniale contro le diseguaglianze… È davvero così? Abbiamo provato a capirlo mentre il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti va avanti sulla riforma fiscale che ha come punto di arrivo la «flat tax».

La cifra più vicina al vero è che in Italia si evadono meno di 80 miliardi, a cui vanno aggiunti 10 miliardi di evasione Inps su cui, data la farraginosità dei provvedimenti previdenziali, sono leciti i dubbi. Partiamo da qui: «Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse. L’abilità consiste nel ridurre le spese, dando servizi efficienti». È una massima di Maffeo Pantaleoni, economista liberale, un gigante del Novecento: il 2024 sarà il centenario della scomparsa. Se ne dimenticheranno come hanno obliato il suo pensiero. A partire dai governi di centrosinistra della prima Repubblica quando il debito pubblico iniziò a salire più del Pil e la pressione fiscale è esplosa. In una corsa inarrestabile.

La premier Giorgia Meloni è stata messa sulla graticola per aver detto che interessi, more e balzelli sono un «pizzo di Stato». Lei ha aggiunto: «Quando lo Stato, invece di fare lotta all’evasione, fa caccia al gettito – a inizio anno si quota quanto si prevede d’incassare – dopo si devono fare quegli importi a tutti i costi, altrimenti non si hanno i soldi per coprire i provvedimenti. Così si fanno cose bizzarre». Come i sindaci che mettono a bilancio di previsione le multe – gran parte di quelli del Pd non ha aderito alla rottamazione delle cartelle – che dovrebbero servire solo a migliorare viabilità e sicurezza e invece finanziano i gemellaggi.

Sergio Mattarella per parare la Meloni ha ammonito all’attuazione «dei principi costituzionali di giustizia fiscale tra i cittadini, affinché ciascuno fornisca il suo apporto alla comunità così come previsto dalla Costituzione». Una bordata anche al ministro della Giustizia Carlo Nordio che ha constatato l’ovvio: «Neppure un imprenditore onesto può pagare tutte le tasse». Un altro presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, sosteneva: «È nella coscienza di tutti che la frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno vessatorie e pesantissime».

Come si colma la distanza tra Einaudi e Mattarella? Soccorre Leonardo Sciascia. Scriveva il 10 gennaio 1987 sul Corriere riprendendo il suo Il giorno della civetta: «I lettori prendano atto che nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura del prender parte a processi di stampo mafioso».

Già. In Italia insieme con i professionisti dell’antimafia ci sono i professionisti dell’antievasione. Come l’ex ministro delle finanze Vincenzo Visco, Pd, autore di libri che si intitolano La guerra delle tasse, nemico giurato dei patrimoni e di chiunque non faccia un lavoro dipendente, e la ragione è semplice: il fisco incapace di riscuotere si avvale dei sostituti d’imposta che prelevano per conto dello Stato direttamente dalle buste paga. Come tutti i segretari della Cgil fino a Maurizio Landini e il riconfermato direttore dell’Agenzia delle entrate Ernesto Maria Ruffini che conta 19 milioni di evasori da mandare ai lavori forzati per fare pari col Fisco. Come Pietro Grasso, ex procuratore, esponente di Liberi ed Eguali, passato dalla lotta alla mafia a quella all’evasione, sentenziando: «L’evasione fiscale che l’Istat rappresenta è 200 e rotti miliardi. Va recuperata per fare politiche di equità sociale».

Stiamo invece ai numeri ufficiali. L’evasione fiscale, come si diceva, è sotto gli 80 miliardi di euro, più alta dove maggiore è la spesa assistenziale. La Campania che ha il record di Reddito di cittadinanza – 775 mila beneficiari – è seconda con il 20 per cento per redditi sottratti al fisco. In testa c’è la Calabria col 23 per cento, in coda la provincia di Bolzano e la Lombardia col 9,5 per cento. Per aree geografiche: il Sud ogni 100 euro ne nasconde 19, il Centro 13,6, il Nord 10,2. Forse anche per questo il federalismo non piace a tutti. Il «tax gap» stimato dal governo nelle Note di aggiornamento alla finanza pubblica (Nadef) per il 2023 è pari a 78,9 miliardi di mancato gettito e 10,3 miliardi di contributi non versati. Questa è la cifra ufficiale e segnala che l’evasione è in rapida contrazione. L’incidenza sul Pil è stimata al 4,1 per cento.

Nel conteggio del Pil per il 2022 pari a 1.910 miliardi di euro, sono inclusi anche 17 miliardi di attività criminali – dalla prostituzione allo spaccio di droga – e il «sommerso» che tocca i 157 miliardi. Per pudore viene definita «economia non osservata». Se si applica il 4,1 per cento al totale risulta la cifra certificata dalla Nadef, però l’«economia non osservata» per definizione non paga tasse perciò il conto andrebbe fatto sul Prodotto interno depurato dal «nero». Il 4,1 per cento di 1.735 miliardi di euro è uguale a 71,2 miliardi. I professionisti dell’antievasione, invece, sommano tutto e arrivano ai famosi 300 miliardi, calcolati molto per eccesso, e costruiscono la narrazione del Paese d’ infedeli alle tasse.

Con un pregevole studio la Cgia di Mestre ha smontato tale versione. «Nel 2022 è stato annunciato un maggior gettito di 98,9 miliardi. Vuol dire che è stata azzerata l’evasione fiscale». È una provocazione, ma conferma che le imprese italiane sono le più tassate d’Europa. «Il gettito fiscale dalle imprese» scrivono gli artigiani di Mestre, «in Italia è pari al 13,5 per cento (gettito di 94,3 miliardi di euro) in Germania è al 10,7 per cento (144,8 miliardi), in Francia al 10,3 per cento (108,4 miliardi versati) e in Spagna al 10,1 per cento (41,7 miliardi). Nel 2022, la pressione fiscale in Italia ha raggiunto il 43,5 per cento; un livello mai toccato».

Allora chi evade? Raffaello Lupi, tra i maggiori studiosi di diritto tributario che insegna a Tor Vergata, non ha dubbi: «Il grosso è costituito da rivenditori del Bangladesh, fisioterapisti in nero, badanti, ambulanti che neppure prendono la partita Iva, cassaintegrati che arrotondano, da quelli con il Reddito di cittadinanza. Presi singolarmente evadono poco, ma se moltiplichi 3 mila euro annui tra Iva, Irpef che non è neanche l’imposta più rilevante, tasse comunali e regionali si arriva a un’evasione miliardaria. E poi c’è il professionista che dichiara 100 mila euro e non ne denuncia altrettanti.

Gli italiani, però, in generale non si possono più permettere le aliquote attuale. Se un contribuente incassa 80 mila euro e versa Irpef, Imu e contributi gliene restano 40 mila e a denunciarli fa pure bella figura. La globalizzazione ci ha impoverito e questo sistema fiscale è troppo gravoso».

Anni fa scoppiò la polemica sulle signore di Bari vecchia che impastano le orecchiette e le vendono sulla porta di casa a 5 euro al chilo, va da sé senza scontrino. Ci fu il sequestro della merce. E si rischiò la rivolta. Nessuno stana però le multinazionali che hanno in Europa i loro paradisi fiscali (Olanda, Irlanda, Lussemburgo) e sottraggono – secondo la californiana Berkeley University – oltre 7 miliardi di euro all’Italia.

Nel mirino della Guardia di finanza sono entrati anche i B&B. L’evasione accertata in 2.200 controlli è stata di 113 milioni di euro. Ma si calcola che i B&B in Italia siano 30 mila, difficile controllarli tutti: meglio farli pagare poco, ma esser sicuri di riscuotere. La cosiddetta «cedolare secca» sugli affitti (il regime alternativo con un’aliquota del 21 per cento) è quella che ha fatto recuperare più soldi.

A dimostrazione che la «curva di Laffer», il modello economico dell’età di Ronald Reagan, non ha torto: più cresce l’aliquota meno s’incassa perché oltre una certa tassazione l’attività diventa antieconomica. Tra i tanti luoghi comuni da sfatare c’è anche che solo il 4 per cento d’italiani guadagna più di 100 mila euro. «Per forza» spiega ancora Raffaello Lupi «se si considerano tutte le dichiarazioni – sono 40 milioni – risultano quelle percentuali. Ma metà delle comunicazioni al Fisco comportano zero imposte». L’istituto di ricerca Itinerari previdenziali, presieduto dal professor Alberto Brambilla, è chiarissimo: 5 milioni d’italiani (e non sono solo lavoratori dipendenti) versano il 60 per cento delle tasse. A fronte di una spesa assistenziale vicina ai 280 miliardi euro. Per la statistica di Trilussa farebbero 4 mila euro a testa… Solo che ne beneficiano tutti, a pagare però sono i soliti noti. n

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