Il gruppo Stellantis, guidato dal manager portoghese, è quello che negli ultimi mesi ha incassato il risultato peggiore: le immatricolazioni sono scese, a ottobre, del 41,7 per cento. Il motivo? La scarsità di microchip per vetture di gamma alta. Questo penalizza l’industria italiana rispetto ai partner francesi. E nei prossimi mesi la situazione si aggraverà.
E’ una tempesta che ha spazzato via dal mercato globale 7,7 milioni di auto e, secondo gli analisti di AlixPartners, cancellerà entro il 31 dicembre 180 miliardi di euro di fatturato delle case automobilistiche. Ma la carenza dei microchip, i «cervellini» di silicio che ormai rappresentano il 30 per cento del costo di una vettura del segmento premium, rivela anche i limiti dell’ex Fiat e dell’industria italiana dell’auto, costretta a un ruolo sempre più ancillare rispetto ai partner francesi di Psa per colpa dei ritardi accumulati nell’elettrificazione della gamma.
In generale, gli ultimi dati sulle consegne di autoveicoli mostrano le difficoltà che sta affrontando il gruppo Stellantis, nato dalla fusione tra Fca (Fiat-Chrysler) e Psa (Peugeot, Citroën, Opel): in settembre il mercato europeo ha subìto, causa mancanza dei semiconduttori, una perdita di un quarto dei volumi rispetto al 2019. Tra le maggiori case produttrici, obbligate a tenere fermi per settimane gli impianti, quella che ha incassato il risultato peggiore è stata proprio Stellantis con un calo delle vendite del 30,4 per cento.
Per quanto riguarda l’Italia, in ottobre le immatricolazioni sono scese del 35,7 per cento rispetto allo stesso mese del 2020 e quelle della società guidata dal manager portoghese Carlos Tavares sono cadute del 41,7 per cento.
In pratica, per colpa della crisi dei microchip Stellantis ha perso nel terzo trimestre volumi produttivi per 600 mila unità, pari al 30 per cento della produzione pianificata per il periodo. L’impatto sui ricavi è stato più modesto: il fatturato è sceso «solo» del 14 per cento. E questo, ha spiegato il direttore finanziario Richard Palmer, è dovuto alla «combinazione dei recenti lanci di veicoli che includono nuove offerte elettrificate, con importanti iniziative commerciali e industriali intraprese dai nostri team in risposta agli ordini inevasi di semiconduttori».
Il top manager ha citato il debutto di nuovi modelli come Ds 4, Jeep Grand Cherokee L, Opel Mokka e Peugeot 308: ma nessuna di queste vetture viene dall’Italia. Non solo. Gli stabilimenti italiani sono poi penalizzati dalla scarsa presenza di auto elettriche o ibride. Come riferisce Simone Marinelli, coordinatore nazionale automotive per la Fiom-Cgil, in un incontro delle rappresentanze sindacali europee con i vertici di Stellantis è stato chiesto ai manager se il gruppo stava privilegiando alcune produzioni al posto di altre. «La risposta è stata che sì, i microprocessori disponibili sono riservati a stabilimenti di veicoli elettrici e ibridi, così da vendere auto meno inquinanti e non incorrere nelle multe della Commissione per aver sforato i limiti di CO2 con le vetture immesse sul mercato. E in Italia di ibrido ed elettrico abbiamo solo la Panda hybrid a Pomigliano, la 500 elettrica a Mirafiori e due modelli Jeep a Melfi. In questa fase sono favoriti gli stabilimenti in altri Paesi europei più avanti nell’elettrificazione della gamma».
Anche se Tavares ha più volte ribadito, come ha fatto per esempio il 20 gennaio e il 15 aprile scorsi, che l’Italia resta centrale nel gruppo e la capacità produttiva del nostro Paese non verrà ridotta, tra i sindacati serpeggiano molti timori. Pur riconoscendo, come fa il segretario nazionale Fim Cisl Ferdinando Uliano, che «se non ci fosse stata la fusione tra i due gruppi probabilmente l’impatto di questa crisi su Fca e su Psa sarebbe stata più pesante», i rappresentanti dei lavoratori non nascondono il disagio: «Dei 52 mila dipendenti italiani di Stellantis tanti sono in cassa integrazione o con contratto di solidarietà. Prima dell’esplosione della crisi dei semiconduttori gli stabilimenti più colpiti erano Cassino e Pomigliano. Ora invece sono in cassa i lavoratori di quasi tutti gli impianti. Perfino quelli di Sevel, che produce veicoli commerciali: pur essendo ricoperta di ordini, la fabbrica spesso è fermata per mancanza di microchip e si sono ridotti i turni. Fino a giugno sarà così, ci hanno detto».
Quando la crisi dei microchip verrà superata, le situazioni che in prospettiva sono più critiche riguardano gli stabilimenti che producono i motori: la Vm di Cento (Ferrara), dove si costruiscono grossi propulsori diesel, il cui destino è messo in pericolo dall’elettrificazione; e Pratola Serra (Avellino) dove si fanno motori diesel per la Sevel. Complessivamente, sono 2.500 persone impiegate. Altro impianto che produce motori è quello di Termoli in Molise (2.587 dipendenti), ma qui verrà realizzata la gigafactory di batterie. Poi ci sono gli impianti per i quali il gruppo non ha ancora definito un piano per il futuro: Cassino, con 3.400 lavoratori, e Pomigliano con 4.200. A Cassino (Frosinone) si producono i modelli Giulia e Stelvio dell’Alfa Romeo ma la saturazione della fabbrica, dopo l’uscita di scena della Giulietta, è lontana. «Sulle linee di montaggio dovrebbe aggiungersi il Grecale della Maserati» aggiunge Uliano «la cui partenza è stata posticipata al primo semestre 2022. Oltre al Grecale è fondamentale inserire la produzione di un’altra vettura». A Pomigliano, in Campania, è previsto l’arrivo del suv Tonale dell’Alfa nel primo semestre del ’22, che si aggiungerà alla Panda, la cui produzione continuerà fino a tutto il 2023 e parte 2024. Dove sarà fabbricata la nuova Panda dal ’24 in poi non si sa, e questo preoccupa i lavoratori dell’impianto campano.
«A Melfi, in Basilicata, la situazione è più chiara» dice Uliano. «Il suo futuro sarebbe assicurato a partire dal ’24 da modelli realizzati sulla nuova piattaforma elettrica di quattro tipologie di vetture di taglia media, con una capacità produttiva di 400 mila auto l’anno, livello mai raggiunto in quell’impianto negli ultimi 10 anni».
Sul destino di Mirafiori i sindacati si sono divisi; la Fiom non ha firmato l’accordo che prevede un potenziamento della fabbrica piemontese e la progressiva chiusura dell’impianto di Grugliasco: a Torino sarà prodotta la piattaforma full-electric Maserati dal ’24, nel frattempo vi verranno realizzate la 500 elettrica, con il raddoppio dei turni dal prossimo gennaio, e dal ’22 quasi tutta la gamma Maserati. «Su Mirafiori non abbiamo firmato» dice Marinelli della Fiom «perché c’è la chiusura progressiva dello stabilimento di Grugliasco e non ci sono sostanziali novità rispetto ai piani di Fca. E non sappiamo che fine faranno gli uffici centrali e se la ricerca e lo sviluppo per i modelli italiani saranno a Torino o no. Manca un progetto complessivo sul polo torinese».
Oltre ad affrontare la crisi dei chip, a placare le preoccupazioni dei sindacati italiani e a portare a termine la fusione tra i due gruppi, Tavares deve gestire le proteste dei dipendenti tedeschi dello stabilimento Opel di Eisenach, di cui è stata annunciata la chiusura per almeno tre mesi delle attività produttive causa effetto combinato Covid e carenza di semiconduttori. In Francia, invece, i sindacati iniziano ad accusare Stellantis di usare la crisi dei chip come una scusa per avviare una campagna di licenziamenti. Anche in Spagna la razionalizzazione degli stabilimenti crea tensioni. Sarà un caldo autunno per mister Tavares.
