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Criptovalute: cosa cambia da gennaio 2026 tra trasparenza e nuove tasse

Criptovalute: cosa cambia da gennaio 2026 tra trasparenza e nuove tasse

Bitcoin e asset digitali assimilati a un conto in banca: addio all’anonimato e nuove aliquote per milioni di investitori e risparmiatori

Dal primo gennaio 2026 avere Bitcoin non sarà più molto diverso dall’avere un conto corrente in banca. Tracciabilità delle operazioni, visibilità verso il Fisco e integrazione in un sistema informativo globale diventeranno la nuova normalità anche per le criptovalute. Dopo oltre un decennio di crescita in un settore con regole frammentate e ampi margini di anonimato, Bitcoin e gli altri asset digitali entrano ufficialmente nell’era della trasparenza fiscale e della vigilanza pubblica. Un passaggio storico che riguarda milioni di investitori, operatori e risparmiatori italiani.

Bitcoin e criptovalute: dal 2026 dati, controlli e fine dell’anonimato

Dal 1 gennaio 2026 inizierà la raccolta sistematica delle informazioni su chi detiene o scambia criptovalute. L’Italia infatti ha aderito, insieme ad altri 47 Paesi, al Crypto–Asset Reporting Framework (Carf), elaborato in sede Ocse per rafforzare la cooperazione fiscale internazionale sugli asset digitali. L’obiettivo è chiaro: rendere tracciabili le transazioni in criptovalute e favorire l’emersione fiscale di un settore che finora ha goduto di una libertà quasi assoluta. Il Carf aggiorna i meccanismi di scambio automatico di informazioni già sperimentati in ambito bancario e li estende al mondo cripto, imponendo standard di rendicontazione più stringenti. Le amministrazioni fiscali devono costruire entro il 2027 un sistema strutturato di condivisione dei dati sugli asset digitali. L’Unione Europea ha accelerato il processo. Dal 2026 entrerà in vigore infatti la direttiva Dac8, che obbligherà gli operatori del settore a identificare gli utenti, verificarne la residenza fiscale e comunicare alle autorità nazionali movimenti e saldi dei wallet. In parallelo, il regolamento europeo Micar definisce i requisiti chiari per i Crypto-Asset Service Providers: autorizzazioni, controlli sulla clientela, solidità patrimoniale e cooperazione con le autorità fiscali e di vigilanza.
Il risultato? Chi ha Bitcoin e asset digitali diventa “uguale”, dal punto di vista informativo, a un correntista bancario: meno anonimato, più tracciabilità e piena integrazione in un sistema di monitoraggio globale. Un po’ come quando entrano in vigore nuove regole che stabiliscono la fine del segreto bancario nei paradisi fiscali per mettere un punto a forte volatilità, rischi elevati e scandali che hanno minato la fiducia nel settore.

Tassazione delle criptovalute: chi paga di più e cosa può cambiare

Il 2026 porta con sé cambiamenti anche sulla questione tasse. Attualmente in Italia le plusvalenze derivanti da cripto-attività sono soggette a un’imposta sostitutiva del 26%, con una franchigia di 2mila euro. La Legge di Bilancio 2025 ha però già previsto un cambio di passo. Dal 1 gennaio 2026, salvo modifiche dell’ultima ora, le plusvalenze da criptovalute dovrebbero essere tassate al 33%, con un aumento di sette punti percentuali. Resterebbe invece al 26% l’aliquota applicabile alle stablecoin denominate in euro, distinguendo così tra strumenti ancorati a valute tradizionali e asset più volatili come Bitcoin ed Ethereum.

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