Con le ultime nomine Papa Francesco cerca di mettere ordine (e sotto controllo) un settore dove gli interessi economici sono milionari. E fanno gola a molti.
Grande è la confusione sotto il cielo di San Pietro. A Papa Francesco, sempre più assediato dalla Curia (già si parla del «next Pop»: Bergoglio darà come Ratzinger le dimissioni?) e che ha derubricato il suo essere «vicario di Cristo» a titolo meramente storico-onorifico, s’attagliano oggi più che mai le massime di Mao Zedong. Anche perché Jorge Mario Bergoglio è impegnato in faccende molto terrene.
Se ne è avuta una prova con le nomine recentissime al Consiglio per l’economia, dove approda un assicuratore. Gli obiettivi del vescovo di Roma (questo è il titolo che Bergoglio preferisce) oggi sono su tre fronti: trovare soldi ovunque; tacitare gli scandali dalla pedofilia alla vendita del palazzo di Sloane Avenue, a Londra, fino agli appalti della Fabbrica di San Pietro; rimettere sotto controllo la Curia sollevando il cardinale Giuseppe Bertello dalla presidenza del Governatorato che è insieme motore economico e centro di potere del Vaticano.
E poi c’è la chiesa povera. Bergoglio la predica, praticarla però è un problema. Perciò Papa Francesco – che non ha un buon rapporto col denaro – ha delegato tutto al fidatissimo gesuita Juan Antonio Guerrero Alves. I nodi di questo pontificato stanno venendo velocemente al pettine e sono quelli elencati nel famoso memoriale dell’agosto di due anni fa dall’arcivescovo Carlo Maria Viganò, che Francesco ha messo troppo frettolosamente alla porta. Una delle profezie di Viganò è che prima o poi la gestione di certi appalti farà scoppiare un enorme scandalo in Vaticano. E così si riparla anche delle polizze assicurative. Un affare che si calcola intorno ai 40 milioni di euro…
Guerrero cerca di metterci una pezza ricorrendo a continue nomine. Le ultime fanno molto riflettere e hanno scopi manifesti: consolidare la lobby degli spagnoli, recuperare un rapporto con l’Opus Dei che è un polmone economico, restaurare una linea diretta con il Banco Santander ed erodere il potere di Giuseppe Bertello per gestire senza intermediazioni le risorse del Governatorato e controllarne direttamente gli affari. In particolare quelli dei Musei vaticani, la vera slot machine del Vaticano, il regno indisturbato di monsignor Paolo Nicolini che ne è il vicedirettore e gestore amministrativo.
Bertello ha cercato di sollevarlo dall’incarico e per tutta risposta Bergoglio ne ha accresciuto il potere. I Musei vaticani però dopo il lockdown hanno incassi in forte contrazione e tutto l’impero di Nicolini, fatto di ville papali, pellegrinaggi, bus turistici, prenotazioni con i vari tour operator, è in crisi.
Quanto in crisi? Sarebbe bello e giusto saperlo. Il Governatorato, a cominciare da quello dei Musei, autocertifica il bilancio. Si è fatto in casa un programma informatico che si chiama «Project One» e la contabilità sta lì; quando Ernst &Young con Fabio Gasperini – il laico ora «numero due» dell’Apsa, l’organismo che amministra i beni della Santa Sede – produsse un modello di contabilità indipendente gli fu risposto: molto interessante, grazie, ripassi più tardi.
Per questo Guerrero insiste a volerci vedere chiaro, anche nei conti di Nicolini, nonostante la protezione papale, e intanto cerca una soluzione con gli sponsor. Sembra difficile da credere, ma nella chiesa povera di Bergoglio i sacri luoghi e anche gli appuntamenti dottrinali sono sponsorizzabili; i padri sinodali, per esempio, avevano delle belle cartelle con il logo della Cattolica assicurazioni.
Peraltro Cattolica sponsorizza i Musei vaticani ed ecco che al momento buono arriva l’occhio (del Signore?) di riguardo. Accade così che nella pattuglia dei nuovi componenti del Consiglio vaticano per l’economia guidato dal cardinale tedesco Reinhard Marx, sottoposto in patria a una durissima contestazione da parte dei cattolici bavaresi che non ne condividono la dottrina progressista, ci siano sei donne (due spagnole e di gran peso) e un solo uomo: Alberto Minali. Ma perché ripescare in Vaticano un manager che prima è stato a Generali e poi è stato rimosso da Paolo Bedoni – immarcescibile presidente – come amministratore delegato di Cattolica assicurazioni?
Le ragioni sono probabilmente due: la prima è che quando Minali venne allontanato la Cei – che ha rilevanti quote in Cattolica – protestò vivacemente, ma la seconda ragione è che Minali è un ponte e una garanzia verso il nuovo ordine assicurativo. L’Istituto di vigilanza delle assicurazioni ha chiesto a Cattolica di ricapitalizzarsi per una cifra di mezzo miliardo di euro. In soccorso è arrivata Generali che ha sottoscritto 300 milioni di capitale Cattolica, nel frattempo passata da cooperativa a spa. Bedoni cerca di resistere, ma è evidente che da qui in avanti Trieste detterà legge.
Il Vaticano rischiava così di non essere della partita ed ecco che arriva Minali a dare garanzie. Operazione trasparenza? Può darsi, di sicuro operazione convenienza. Perché tra Vaticano e Cattolica c’è un legame inscindibile. L’ufficiale di collegamento è Piero Fusco che ha creato addirittura la «Business unit enti religiosi» all’interno della compagnia. È stato l’unico assicuratore ad avere un’agenzia in Vaticano. Cattolica ha in pugno tutte le polizze del Governatorato. A occuparsene sono due società «favorite» da Fusco: la Advena società servizi assicurativi e la Palem.
Di entrambi è presidente un collaboratore storico di Fusco intimo di Paolo Bedoni, Angelo Brudaglio; amministratrice di una delle due società è la moglie di Fusco, Paola Urbani. La sede della Palem è in un palazzo del Vaticano, in via della Conciliazione 44, e tra le impiegate c’è la figlia del maggiordomo del Papa, «Sandrone» (chiamato così per la sua non comune corporatura) Mariotti. Tutto in famiglia.
La gestione delle polizze passa attraverso il Governatorato dalle mani della segreteria generale e del servizio giuridico di cui è primo consulente l’avvocato Giuseppe Puglisi Alibrandi. Tanto Fusco quanto Puglisi Alibrandi sono membri dell’esclusivo e caritatevole Circolo di San Pietro. Fusco è intimo anche del Segretario generale del Governatorato quel monsignor Fernando Vérgez Alzaga, spagnolo che nonostante provenga dalle fila dei Legionari di Cristo – potentissima ma anche molto chiacchierata congregazione per via delle accuse di pedofilia al fondatore Marcial Maciel Degollado – è stato creato vescovo dal Papa. Lui ricambia l’attenzione del Pontefice con continui proclami ambientalisti e sembra che Bergoglio lo vorrebbe come sostituto di Bertello. Vérgez Alzaga di fatto è il garante delle assicurazioni. Solo una volta Cattolica ha avuto problemi con le gare d’appalto: è stato nel triennio in cui Segretario generale del governatorato era Carlo Maria Viganò.
Entrarono allora con offerte vantaggiose sia Allianz che Axa, o meglio Axarte che si aggiudicò le polizze per i Musei vaticani e per la tutela delle opere d’arte. Ma è acqua passata. Uno spazio di business notevole è quello legato alle polizze per la Fabbrica di San Pietro, di recente travolta da uno scandalo sugli appalti che però ha lasciato del tutto indenne l’altro aspirante al posto di Bertello: lo spagnolo monsignor Rafael Garcia de la Serrana Villalobos legatissimo all’Opus Dei.
Villalobos nel nuovo corso voluto da Guerrero Alves per le finanze vaticane è l’uomo di punta nel Governatorato. Sia Vérgez Alzaga che Villalobos si danno un gran daffare con gli sponsor. Il Segretario generale ha firmato un contratto con l’Enel per le auto elettriche in Vaticano, mentre Villaobos è soprannominato «fiat lux» per l’accordo con la società tedesca Osram per illuminare con i led tutto il Vaticano.
Anche Generali è di casa nella Santa Sede. Al Leone di Trieste vanno tutte le polizze dell’Apsa. Nei tempi andati c’erano stati alcuni problemi, ma ora Guerrero Alves sta facendo tornare il sereno: con la nomina di Minali si garantisce la pax assicurativa. Perché la provvidenza va bene. Ma una polizza è anche meglio. Se non per tutti, per qualcuno di sicuro.