«Ho voluto investire in questo Paese, perché ci credo» dice l’imprenditore che ha inventato il Billionaire e il Twiga riguardo alla sua nuova iniziativa di ristorazione. E parla poi di burocrazia che mette freni a tutto, della gestione della pandemia punitiva per il turismo, della giustizia ingiusta. A Mario Draghi? Dà una tirata d’orecchie…
«Non c’è curva dove non si possa sorpassare». E allora ecco Crazy Flavio sotto la bandiera a scacchi. Dopo aver modernizzato la Formula 1, il modo tutto italiano di vivere la spiaggia (con il Twiga) e la disco-night (con il Billionaire), Briatore tenta l’impresa più ardua nell’Italia dei totem: rivoluzionare la pizza. Per il vulcanico imprenditore è un’altra sfida al conformismo nazionale da raccontare ai lettori di Panorama. Senza tralasciare il resto: i due anni di pandemia, la guerra all’orizzonte, l’eterna battaglia contro la burocrazia, lo yacht perduto per malagiustizia, il ritorno al mondo delle corse. E una tirata d’orecchi a Mario Draghi.
Flavio Briatore, in Italia si dice che la mamma e la pizza non si toccano.
«Giusto, è lo street food più vincente del pianeta. Ma è anche una signora patrimonio dell’Unesco e merita di essere trattata da regina. Bisognava ricreare l’immagine della pizzeria classica, dove entravi, mangiavi e te ne andavi. Per farlo servivano due operazioni. La prima una rivisitazione del prodotto, senza lievito, con crosta sottile e con ingredienti di qualità super per esaltare profumi e sapori. La seconda operazione consisteva nel creare un ambiente per far fermare le persone e trasmettere loro energia
e benessere. Questo è Crazy Pizza. Dopo Porto Cervo, Londra, Montecarlo, Arabia Saudita e Qatar, lo sbarco a Roma e Milano».
Difficile tornare a casa?
«Siamo sold out per settimane, le persone hanno capito la differenza. Invitare gli amici ad andare in pizzeria dev’essere qualcosa di speciale, non di banale. Oggi nei ristoranti si va per socializzare, per fare un’esperienza e magari per accompagnare la pizza non solo con la birra, ma con il Tignanello o lo champagne. In Italia i particolari sono decisivi: la nostra lista dei vini è quella di Cipriani. Abbiamo voluto alzare l’asticella e creare un mix vincente fra adulti e giovani».
In che senso?
«Il primo turno fino alle 22.30 è indicato per una clientela che chiede tranquillità e ama la conversazione. Il secondo è per i giovani con il disc jockey e lo spinning pizza, con il pizzaiolo che fa acrobazie davanti al cliente; una formula perfetta per interagire con Instagram. Ma tutto questo non è solo immagine, dietro c’è un lungo lavoro di ricerca e c’è la volontà di investire in Italia. L’azienda principale del nostro Paese è il turismo, ma non abbiamo una catena d’alberghi italiana né un brand italiano della pizza. Vorrei che Crazy Pizza lo diventasse».
Qualche anno fa agli studenti dell’Università Bocconi lei disse di non perdere tempo in start-up ma di aprire pizzerie.
«Volevo aiutarli a tenere i piedi per terra. Solo una start-up su 100.000 va in porto, soprattutto in Italia dove per partire devi investire almeno 50.000 euro. Da noi entri nel progetto, cresci, conosci un mestiere e il mondo».
Poi eventualmente puoi creare una start-up con cognizione di causa.
«Per alzare l’asticella serve un investimento sulla professionalità. L’investimento umano è fondamentale, noi organizziamo mesi di training per plasmare collaboratori di ottimo livello. Non camerieri ma collaboratori; sono loro l’immagine dell’azienda davanti
ai clienti. Il problema oggi è trovare personale anche da formare, sono tutti distratti dal reddito di cittadinanza».
Anche certi stipendi da depressione non aiutano.
«Guardi, i nostri collaboratori guadagnano in media 2.000 euro, ma all’azienda costano 4.000 perché la metà finisce allo Stato. In Italia il costo del lavoro è altissimo per questo paradosso, sarebbe più giusto ridurre la tassazione e lasciare una quota a loro».
Il Paese delle emergenze esce dal Covid ed entra in guerra.
«Fa male vedere certe immagini in tv. Perché l’Europa ha permesso tutto questo? Forse se fosse rimasta Angela Merkel, personalità forte, non sarebbe accaduto. A Vladimir Putin una Ue così debole non fa paura».
Nel frattempo la pandemia è sparita dai giornali.
«Putin è stato il più bravo dei virologi perché ha sconfitto il virus, almeno sui media. Me li vedo, gli epidemiologi, trasformarsi in esperti di geopolitica per restare in video a confondere le idee alla gente».
Il costo delle sanzioni si abbatterà anche sul nostro turismo?
«Il settore è già in grande difficoltà! In Sardegna e Toscana perderemo clienti importanti proprio nel periodo in cui il costo dei container è aumentato del 150 per cento e quello dell’energia è andato alle stelle; un bar che pagava 500 euro adesso deve sborsarne 1.500. Inoltre c’è l’equivoco sulle regole».
Quali regole?
«Quelle sanitarie. È tempo di prenotare ma da noi le norme sono ballerine, quando ci sono. All’estero gli amici mi chiedono: in Italia cosa succede? Non lo sa nessuno. Non capisco perché il nostro premier, Mario Draghi, non organizzi una conference call per spiegare regole, perimetro sanitario, scadenze. In questo limbo si perdono solo prenotazioni. Nel turismo si può scegliere, e nell’incertezza gli stranieri scelgono di andare altrove».
Il simbolo del rigore italiano è il green pass.
È un danno. Viviamo in competizione quotidiana con altri Paesi, come Francia e Gran Bretagna, che non hanno restrizioni così forti e godono di notevoli vantaggi nell’organizzare la ricettività. Senza contare che in Italia sono quasi tutti vaccinati».
Lei fu critico con il governo Conte. Di Draghi cosa pensa?
«Il governo Conte è stato il peggiore della storia d’Italia. Draghi era partito bene, aveva restituito fiducia e serenità. Poi ha voluto partecipare alla campagna elettorale per il Quirinale e ha sbagliato. È stato costretto ad accontentare tutti, ha svilito la figura da uomo super partes e ha cominciato a indebolirsi».
Oggi è alle prese con catasto e concessioni balneari.
«Siamo bravi a concentrarci su priorità sbagliate. Con la legge sui luoghi di balneazione rischiamo di mettere sul lastrico 30.000 famiglie, invece bisognerebbe concentrarsi sulle spiagge che non hanno una concessione. Sono moltissime. Perché non si prevedono gare d’appalto per quelle, con la creazione di nuovi posti di lavoro? Neppure l’inventario riusciamo a fare».
Gestione pandemia: finora l’unico privato per il quale è stato chiesto un rinvio a giudizio è Flavio Briatore.
«Per la vicenda Billionaire. Ma due estati fa furono le istituzioni ad autorizzarci ad aprire i locali. E il management si è sempre attenuto alle regole d’ingaggio di ministero e autorità locali».
Come definisce la vicenda del suo yacht sequestrato e venduto prima della sentenza di assoluzione?
«Un’assurdità. Nonostante io abbia provveduto a pagare ogni spettanza riguardo alla barca per mantenere i posti di lavoro, il tribunale l’ha messa all’asta prima della sentenza di Cassazione che mi avrebbe assolto. Dopo 12 anni di attesa non ha voluto aspettare due settimane e l’ha venduta in periodo pandemico a un prezzo ben inferiore rispetto al valore. Faremo di tutto per riavere il dovuto dall’Erario».
Sono le eccentricità italiane.
«Il nostro Paese sconta due mali endemici: la burocrazia e l’invidia sociale. Altrove chi vince, chi crea valore e investe sui giovani viene premiato o almeno rispettato. Da noi solo critiche e malevolenze. Si finisce per essere sbranati sui social media
da persone che neppure si firmano con il loro nome. Che tristezza».
In compenso è tornato nel mondo della Formula 1.
«Rientrare come ambasciatore mi piace e mi inorgoglisce. Lavoro a fianco di Stefano Domenicali, persona che stimo moltissimo. La Formula 1 vive un periodo eccezionale, con Netflix è stato fatto un superlavoro negli Stati Uniti. A Miami sono stati venduti ticket per 50 milioni di dollari in una settimana; a livello di relazioni, sponsor, intrattenimento, sono felice di dare un contributo per aumentare i fan dei motori».
Anche quest’anno tutti dicono che la Ferrari è velocissima. Poi si corre…
«Il campionato non è mai quello invernale ma quello che comincia a giorni. Per risorse, meccanici e ingegneri, a Maranello sono bravi; è difficile capire perché facciano fatica. Ma il brand Ferrari è un valore aggiunto per la Formula 1 e tutti fanno il tifo perché la rossa torni a vincere».
