La Germania ha un nuovo governo, Olaf Scholz sarà cancelliere e guiderà una maggioranza formata da social-democratici, liberali e Verdi. Con la fine dell’era Merkel, la Germania perde la Cdu come forza di governo e avvia un governo di centrosinistra, a metà del guado tra progressismo etico-sociale, ambientalismo e ordoliberalismo economico. Tuttavia, non bisogna lasciarsi troppo impressionare dalla novità poiché le continuità con il passato sembrano più forti di quanto gli stessi partiti della maggioranza non vogliano dare a vedere. Anche se il contratto apre la strada a qualche riforma delle regole fiscali Ue, la partita è tutta da giocare. E per l’Italia, in caso di rimessa in discussione degli equilibri Ue, gli aspetti positivi non sono secondari. Al contrario della Francia, con cui abbiamo appena firmato un Trattato, i tedeschi non hanno mire di conquista della nostra economia.
Il contratto di coalizione tra i tre partiti apre le porte a qualche riforma delle regole fiscali dell’Unione Europea. Tuttavia, l’entusiasmo per una grande riforma delle regole fiscali dell’UE sembra limitato e la disponibilità della politica fiscale tedesca alla flessibilità non viene quantificata dal programma di governo. Il documento presentato giovedì scorso è volutamente ampio e vago poiché i membri dei partiti dovranno votare il documento e poi il Bundestag potrà ufficialmente eleggere Olaf Scholz come nuovo Cancelliere. Ma l’uomo-chiave della politica fiscale tedesca ed europea rischia di essere un altro: il leader del Fdp, il partito liberale, Christian Lindner che sarà il nuovo ministro delle finanze. Saranno sue le competenze in materia di bilancio come futura guida di quello che è tradizionalmente il più potente ministero d’Europa poiché dicastero che, seppur non ufficialmente, muove l’intera politica estera europea.
Solo una pagina sulle 177 dell’accordo di governo è dedicata alle regole fiscali europee. Nel complesso, il trattato di coalizione segnala l’apertura a “sviluppare ulteriormente” le regole fiscali rendendole più semplici e trasparenti. L’obiettivo sarebbe quello di salvaguardare la “crescita”, la “sostenibilità del debito” e gli “investimenti per il clima”. Allo stesso tempo, il programma afferma che l’attuale patto di stabilità e crescita si è dimostrato sufficientemente “flessibile” durante la crisi del Covid-19. Ciò suggerisce che la necessità di una riforma del patto europeo è considerata poco rilevante. Meglio tenersi le mani libere con gli alleati europei e amministrare le eccezioni alle regole senza formalizzare una modifica dei Trattati.
Dopo qualche pagina, i partiti scrivono che la Next Generation Eu (NGEU) è limitata nel “tempo” e nelle “dimensioni”. Se ne deduce che c’è un ostacolo alla sua trasformazione in una struttura permanente, anche se questa posizione non esclude a priori un nuovo programma se l’Europa dovesse affrontare una nuova crisi in futuro. Il programma aggiunge che l’impegno che i rimborsi del Next Generation Eu non dovrebbero comportare tagli al bilancio dell’Ue nei prossimi anni, il che indica l’accettazione di alcune entrate congiunte (ad esempio tasse a livello dell’Ue) o contributi più elevati da parte degli Stati membri. Infine, si nota una frase un po’ sibillina, che suggerisce che quando la politica fiscale nell’area dell’euro “fa fronte alle sue responsabilità”, diventa più facile per la Bce garantire la stabilità dei prezzi. È la classica tipologia di frase che può significare cose diverse per persone e partiti diversi. Può significare austerity (responsabilità fiscale) ma anche il suo contrario, cioè prendersi delle responsabilità nell’espandere il ruolo dell’Unione Europea sul piano economico. Nel complesso, questa parte del programma di coalizione segnala l’apertura alla discussione di modifiche alle regole fiscali europee, ma non delinea una posizione chiara e dettagliata. E come è noto sono i dettagli a fare la differenza quando si negozia sui tavoli europei. In definitiva, c’è da aspettarsi che la Germania accetti che la regola del debito del 60% venga spostata sufficientemente avanti sul piano temporale da diventare meno rilevante per la politica di bilancio nei Paesi a più alto debito nei prossimi anni. Sul resto, però, il dibattito resta complicato e le resistenze tedesche rispetto alle spinte dei paesi mediterranei per una politica economica europea più generosa saranno ancora forti.
Il governo tedesco offre per la prima volta la possibilità di vedere un partito verde al governo di un grande Paese. Raggiungere gli obiettivi climatici dell’accordo di Parigi sul clima è “la massima priorità”, si legge nell’accordo di coalizione. Se il governo uscente è stato tiepido sull’eliminazione graduale dei motori a combustione, il nuovo governo vuole 15 milioni di auto elettriche sulle strade tedesche entro il 2030. Anche l’uscita dalle centrali energetiche a carbone e la chiusura delle miniere di carbone dovrebbero avvenire “idealmente” entro il 2030. Sulla rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, la Germania svilupperà una strategia industriale collegata al Green Deal europeo e intende evitare la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Anche se il nuovo governo supporta un meccanismo di adeguamento delle frontiere del carbonio (Cbam a livello dell’Ue, nel programma afferma che il formato per far pagare gli importatori di CO2 potrebbe seguire i cosiddetti Carbon contracts for difference, che è probabile che il governo tedesco introduca per i fornitori industriali del paese.
Infine, la Germania vuole utilizzare l’Ue e altri forum internazionali per creare un “club climatico internazionale con un prezzo minimo comune di CO2 e un adeguamento comune della CO2 alle frontiere”. Berlino introdurrà anche quote minime per i prodotti rispettosi del clima nei suoi appalti pubblici. È un programma verde, senza dubbio, ma non è la rivoluzione che certo ecologismo radicale avrebbe voluto. Senza contare che le politiche green potrebbero subire un ridimensionamento sia per la concertazione politica interna al governo sia per l’intervento di associazioni industriali e sindacati, più forti ed inclini che altrove a difendere lavoro e produzione manifatturiera. Da qualunque punto là si veda, la Germania continua ad essere il campione della stabilità europea. Con il nuovo esecutivo, inoltre, potrebbero raffreddarsi le relazioni con la Cina molto coltivate dalla Cdu. Un approccio più atlantista, viste le posizioni di liberali e verdi, non è da escludersi quantomeno sulle questioni strategiche, come tecnologia ed infrastrutture. E i rapporti con l’Italia? Il Belpaese ha appena firmato un trattato bilaterale con la Francia che, seppur molto vago, vuole bilanciare il potere tedesco con un asse Roma-Parigi. Tuttavia, sia in Italia che a Berlino tutti conoscono la forte interdipendenza tra economia italiana e tedesca. Con la riduzione del raggio delle catene del valore questo rapporto crescerà di importanza. E mentre la Francia ha mostrato istinti predatori sulla finanza e l’industria italiana, ciò non vale per i tedeschi che anzi necessitano del più grande Paese del Mediterraneo e della sua forza industriale e non hanno piani per ridurre l’Italia a mero satellite della Germania. Considerati questi punti, a quando un trattato bilaterale con Berlino che ci tuteli dagli appetiti – per ora sopiti ma domani chissà – di Parigi?
