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E anche Google scopre il sindacato

E anche Google scopre il sindacato

Si chiama Awu, Alphabet workers union: in meno di un mese conta già 900 tesserati. Ed è la prima volta per un colosso del web. Molto ideologizzato, punterà ai temi etici e alla difesa di neri e donne. E si sta espandendo: in Europa e anche in Italia.


Erin Ettenger è certa che «contrasterà le scelte aziendali basate solo sul profitto». Honey Rosenbloom spera che «serva a riportare la società alle premesse iniziali, quando il suo slogan era: “Non essere malvagio”». Emily Li crede che «darà una risposta allo sfruttamento dei dipendenti». Raksha Muthukumar si è iscritta «perché si opporrà alle discriminazioni razziali e alle ingiustizie». Eric Lewis è certo che «si opporrà a nuovi licenziamenti di chi ha il solo torto di criticare l’azienda». Erin, Honey, Emily, Raksha ed Eric hanno origini diverse, ma molti punti in comune: sono tutti giovani, tutti ingegneri informatici, e lavorano per Google, negli Stati Uniti.

Sono, soprattutto, cinque dei 900 iscritti al sindacato che è appena nato in azienda: il sindacato si chiama Awu, e la sigla sta per Alphabet workers union. Alphabet è la holding californiana che dal 2015 controlla Google. È una vera novità storica per Google, perché dalla sua fondazione, nel 1998, il colosso informatico non aveva mai visto nemmeno l’ombra di un’organizzazione sindacale. E il passo è inedito per tutti i big americani del Web, come Apple, Amazon o Facebook, e per l’intera industria dell’information technology, i cui dipendenti sono in prevalenza ingegneri e programmatori, manager e colletti bianchi altamente qualificati e di solito molto ben pagati: una platea tradizionalmente poco propensa alla sindacalizzazione. La mossa dei dipendenti di Google è arrivata, inattesa, il 4 gennaio, dopo 13 mesi di tensioni con i vertici aziendali.

Tutto inizia nel novembre 2019, quando Google licenzia quattro ingegneri nella sede Alphabet a Mountain View, in California, accusandoli di avere «violato la sicurezza aziendale» e aver «condiviso all’esterno documenti riservati». La vicenda accende molte polemiche perché i «Quattro del Ringraziamento» – così ribattezzati in quanto cacciati il 28 novembre, giorno di Thanksgiving – sostengono che i loro licenziamenti sono una ritorsione contro il tentativo di creare un sindacato. Il caso viene quindi portato davanti al National labor relations board, l’agenzia federale che dal 1935 ha tra i compiti la tutela dei dipendenti del settore privato. All’inizio dello scorso dicembre il Nlrb stabilisce che Google «ha violato i diritti sindacali dei quattro ricorrenti (…) e il diritto del lavoro», addirittura usando «licenziamenti e intimidazioni per reprimere l’attivismo sul posto di lavoro»

La contesa ha acceso gli animi, e ha spinto molti altri lavoratori a mobilitarsi. Così per mesi, a Mountain View e nelle altre sedi americane di Google, si è organizzato in segreto il sindacato. Il 4 gennaio i primi 226 dipendenti tesserati hanno depositato l’atto di fondazione dell’Awu, ma un mese dopo gli iscritti sono già 900, e i suoi vertici dichiarano che le adesioni aumentano di 100 ogni 24 ore. Certo, la sigla per ora rappresenta una minima parte dei dipendenti di Google, 130 mila tra addetti diretti e collaboratori assunti. Ma l’Awu ha già deciso di mettersi sotto l’ombrello della potente Communications workers of America, il sindacato che riunisce i lavoratori nelle comunicazioni, nell’information technology e nei media, e con oltre 700 mila tesserati è il più importante del settore.

L’Awu ha dato chiari segnali di che cosa intenda fare. Ha specificato che non parteciperà a negoziati sulle retribuzioni, tema che non ritiene prioritario all’interno di «una delle aziende più ricche del pianeta», i cui dipendenti «hanno in gran parte qualifiche di alto livello e stipendi più alti della media». Ha annunciato invece che vuole essere un «punto di riferimento per le rivendicazioni in materia di diritti sindacali e civili.

Nel mirino ha messo così il Progetto Maven, che dal 2018 Google va elaborando per il Pentagono e che dovrebbe migliorare l’efficacia dei droni da combattimento, e il Progetto Dragonfly, che nel 2010 Google ha consegnato alla Cina, dove il regime lo usa per la rimozione dei temi sottoposti a censura.

Il sindacato ha stigmatizzato anche la pratica dei licenziamenti di chi critica l’azienda. In dicembre è accaduto a Timnit Gebru, capo del team di etica per l’intelligenza artificiale a Mountain View. Attivista nera, 36 anni, la Gebru nel 2017 ha fondato «Black in AI», un network che vuole «accrescere la presenza di ricercatori neri nel campo dell’intelligenza artificiale». Causa del licenziamento è stato un documento, ritenuto diffamatorio da Google, in cui la Gebru aveva denunciato che un sistema di riconoscimento facciale, fornito nel 2020 dalla casa alla polizia statunitense, tenderebbe a essere «molto meno preciso con le persone di colore». L’Awu oggi si dice pronta alla «difesa di chiunque critichi l’azienda per motivi etici», impiegando proteste di ogni tipo, fino allo sciopero.

La coloritura ideologica dell’Awu, del resto, la colloca con evidenza all’estrema sinistra. Nei suoi comunicati spuntano riferimenti al movimento anti-razzista di Black lives matter. E il simbolo dell’organizzazione è un cerchio rosso, dove spicca un pugno chiuso che regge una lente d’ingrandimento. L’impegno dell’Awu all’interno di Google, insomma, si annuncia molto ideologico e si esprimerà soprattutto nella tutela dei diritti dei dipendenti, nel rispetto della loro libertà di opinione e nel «controllo etico» sulle nuove tecnologie.

Per ora, la società non ha commentato né la nascita dell’Awu né le sue accuse. Ma è probabile che la nuova union le creerà seri problemi. Parul Koul, un programmatore a Palo Alto che è stata eletta presidente del neonato sindacato, ha scritto sul New York Times che l’Awu contrasterà anche «i problemi razziali» in Google, dove a suo dire vige «un sistema che obbliga metà della forza lavoro dell’azienda, i neri e i marroni, a ruoli di seconda classe». E ha aggiunto: «A quanti sono scettici sui sindacati, o credono che le aziende tecnologiche siano più innovative senza sindacati, diciamo che la discriminazione e le molestie sessuali in Google sono continue. Alphabet reprime chi osa parlare, e impedisce ai lavoratori di discutere di argomenti importanti, come l’antitrust e il potere monopolistico».

È un ritratto fosco, a dir poco sorprendente per una società vista universalmente come l’immagine stessa della correttezza, anche politica: Google, del resto, ha sostenuto Joe Biden nella campagna elettorale contro Donald Trump, e ogni anno dona milioni di dollari a organizzazioni antirazziste. Ma il 2 febbraio è stata anche obbligata a risarcire con 2,6 milioni di dollari 5.500 sue dipendenti per «discriminazione retributiva».

Ma i problemi, per la casa, potrebbero presto diventare planetari, perché a metà gennaio l’Awu ha lanciato Alpha Global, una piattaforma sindacale mondiale. Fin qui, Alpha Global ha associato un numero imprecisato di addetti nelle filiali Google di Germania, Italia, Regno Unito, Irlanda, Belgio, Svezia, Finlandia, Svizzera e Danimarca. In ognuno di questi Paesi, Alpha Global si è federata con un sindacato del settore: in Italia ha scelto la Filcams, la federazione della Cgil che riunisce 350 mila lavoratori nel terziario avanzato. Google, insomma, è avvisata. E gli altri colossi del web potrebbero presto essere tutti contagiati.

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