Siamo divenuti esseri spaziali e non più solo terrestri. E ciò non solo perché presto nel nostro satellite sorgeranno basi scientifiche, case, industrie e forse persino città. E nemmeno perché Elon Musk ha promesso che la sua compagnia aerospaziale SpaceX atterrerà su Marte entro qualche anno o perché è iniziata l’era delle missioni private commerciali. Il fatto è che lo spazio extra-atmosferico è talmente integrato con la nostra vita quotidiana da caratterizzarla in ogni suo aspetto.
Ma c’è una conseguenza di questa estensione dello spazio umano che comincia a preoccupare non poco: l’orbita della Terra è disseminata di satelliti e detriti con conseguenze che vanno dai rischi di collisioni ai danni alla ricerca astronomica. L’Agenzia spaziale europea (Esa) ha recentemente presentato un rapporto in cui si calcola che intorno alla Terra orbita una nuvola costituita da circa 1,2 milioni di detriti spaziali più grandi di un centimetro (quanto basta per danneggiare un satellite) di cui almeno cinquantamila sono più grandi di dieci centimetri.
Bisogna tenere presente che questi detriti collidono e dunque si moltiplicano. Tanto che, secondo l’Esa, nel 2024 le collisioni hanno prodotto ben 3000 rifiuti in più. Inoltre, secondo Nature, il numero di satelliti operativi è aumentato vertiginosamente negli ultimi cinque anni, raggiungendo il numero di 11mila, principalmente grazie alle costellazioni di quelli che forniscono connettività Internet in tutto il mondo. La sola azienda SpaceX ha più di 7.000 satelliti Starlink operativi, tutti lanciati dal 2019. OneWeb, un’azienda di comunicazioni spaziali con sede a Londra, ne ha più di 630. E sulla carta sono previsti decine o centinaia di migliaia di altri lanci da diverse aziende e nazioni.
È innegabile che i satelliti svolgano un ruolo cruciale nella nostra società fornendo servizi e mettendo in connessione le persone, anche quelle di comunità remote. Ma il loro numero crescente sta divenendo un problema per gli scienziati. Infatti i satelliti interferiscono con le osservazioni astronomiche da Terra, creando scie luminose sulle immagini e producendo disturbi elettromagnetici che mandano in tilt i radiotelescopi. Il boom dei satelliti pone poi anche altre minacce, tra cui l’inquinamento atmosferico. Quando furono lanciati i primi Starlink, alcuni ricercatori avvertirono delle minacce esistenziali per la loro disciplina. E ora gli astronomi si trovano a dover collaborare con le aziende produttrici di satelliti per quantificare e mitigare l’impatto dei satelliti sulla scienza e la società. Tutto ciò può apparire un problema di pochi. In realtà vi è la necessità di una legislazione che regoli eventuali impatti tra satelliti e tra satelliti e detriti. Chi è responsabile degli incidenti? E chi della stessa proliferazione dei detriti? Questi interrogativi, che rappresentano altrettante nuove frontiere del diritto, sono sotto studio al centro di EUSPIL (EU Space Policy, International Law and Sustainability), il progetto Jean Monnet sulla politica spaziale dell’Unione Europea. Euspil si propone di trovare soluzioni formando giuristi, policy-maker, autorità regolatorie e agenzie spaziali, per garantire che l’ultima lo spazio rimanga un luogo di cooperazione pacifica e non un luogo di conflitti.
Il problema è che la giurisprudenza planetaria è ancora ai suoi albori. Negli anni Sessanta, circa dieci anni dopo il lancio del primo satellite artificiale Sputnik 1 da parte della Russia, ha visto la luce il cosiddetto Outer Space Treaty: un trattato sullo spazio firmato finora da 112 nazioni sotto gli auspici dell’Office for Outer Space Affairs delle Nazioni Unite. Gli articoli che lo compongono sono però più linee guida che leggi vincolanti, e forniscono solo risposte parziali alle domande formulate. L’Outer Space Treaty lascia irrisolte gran parte delle questioni che diverranno cruciali man mano che colonizzeremo il Sistema solare. È di fatto una raccolta di linee guida che non tutti gli Stati hanno sottoscritto. Ecco perché la comunità internazionale è chiamata a stabilire una serie di regole per tutti i Paesi. Sarebbe un passo soprattutto se verrà posto un limite alla proliferazione dei satelliti.