La nostra civiltà digitale si sta sviluppando in modo vorace. In pochi anni abbiamo assistito all’esplosione della blockchain, all’euforia del metaverso, all’imperversare dell’intelligenza artificiale generativa e, ora, all’“hype” della computazione quantistica.
Nel frattempo, però, ci sono “effetti collaterali”. Furti di criptovalute, parliamo solo di quelli noti, per oltre 12 miliardi di dollari negli ultimi cinque anni (con buona pace della cyber security), avatar che subiscono violenze nel metaverso secondo la denuncia di una giovane londinese nel 2024, e quest’anno la piattaforma ransomware DragonForce integra l’IA abbattendo i costi per gli affiliati e promettendo che “tutti possono delinquere”.
Per il futuro siamo infine pronti, in nome della computazione quantistica, a barattare la «certezza» di «0» oppure «1» con l’incertezza di «0» e «1». Come ho già scritto, i processori quantistici sono molto più veloci di quelli tradizionali, ma sbagliano un po’ troppo rispetto ai loro colleghi: i primi una operazione su mille, i secondi una su 15 miliardi.
Questa “bulimia” non è solo tecnologica, ma anche energetica. I data center, per sostenere questa fame di calcolo, raddoppieranno il proprio consumo entro il 2030, passando da 415 a 945 terawattora. Le reti telco, oggi comprese tra 260 e 360 terawattora, si spingeranno fino a 500. E poi ci siamo noi, gli utenti domestici, che consumiamo già 1250 terawattora con i nostri dispositivi. Una crescita non proprio “modesta”.
Eppure questi numeri sono spesso invisibili, inghiottiti dalla retorica del progresso. La tecnologia, come sempre, non è il problema; lo è, invece, il nostro rapporto compulsivo con essa. Siamo affetti da obesità digitale: connessi sempre, informati continuamente, incapaci però di digerire ciò che accumuliamo.
È tempo di rieducare la nostra dieta cognitiva. Di chiederci non solo cosa possiamo fare con la tecnologia, ma cosa davvero dovremmo fare. Non è troppo tardi. Ma serve consapevolezza, misura, e soprattutto una nuova cultura del limite. Perché il futuro è già cominciato, ma dipende da noi scegliere se costruirlo come una risorsa o subirlo come una minaccia.
