Dopo il caso del virologo Massimo Galli, le inchieste dei pm fanno emergere uno scenario di atenei, sia pubblici sia privati, gestiti in stile «feudale»: concorsi su misura, carriere favorite, esami taroccati. E in tutta Italia, indagati e rinviati a giudizio sono quasi un centinaio.
Il sistema baronale delle università italiane trema per gli ultimi scossoni innescati dalla magistratura: tra vassalli e valvassori che avrebbero gestito con piglio feudale concorsi, progressioni di carriera nonché gli esami, qualche testa illustre è già saltata. Ma l’inquietante mappa disegnata dai pm continua ad allargarsi e, un’inchiesta dietro l’altra, si estende a piccole e grandi facoltà di prestigiosi o nuovi atenei pubblici e privati.
L’indagine sul virologo Massimo Galli, professore ordinario di Scienze biomediche dell’Università Statale di Milano da poco in pensione, su ingressi e incarichi di docenza alla facoltà di Medicina è solo uno dei tasselli che stanno portando alla luce un fenomeno tutto italiano: Uni Scandalo. Una delle indagini, condotta dalla Procura di Sassari, sul web è molto attenzionata dai precari del mondo accademico, perché, a loro dire, fotografa ciò che accadrebbe, molto in sordina, in buona parte degli atenei, dove i bandi verrebbero confezionati su misura e cuciti addosso, in modo «sartoriale», al candidato sponsorizzato.
A Sassari, infatti, si è scoperto che alla facoltà di Diritto i contenuti del bando venivano addirittura redatti dagli stessi partecipanti, con «requisiti predeterminati», riporta La Nuova Sardegna, «in modo da assicurare la partecipazione al concorso dell’unico favorito». I commissari valutatori, che rivestono la qualifica di pubblici ufficiali, sottostavano alle richieste del professore di turno, fornendo parere favorevole al conferimento degli assegni di ricerca nei confronti del candidato indicato. Così, sono finiti sul registro degli indagati in 11, tra docenti, direttori di dipartimento e assegnisti di ricerca. Le accuse: dalla turbata libertà degli incanti alla turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e alla falsità ideologica.
Il tutto sarebbe stato gestito tra i prof, a quanto pare senza ingerenze politiche. La cui ombra, invece, si allunga a Firenze: nelle 10.000 pagine di intercettazioni sono emerse le relazioni tra i dem e gli professori di Medicina. L’udienza preliminare per il concorso da associato di cardiochirurgia all’ospedale di Careggi, vinto nel dicembre del 2018 da Pierluigi Stefano, tra i cardiochirurghi più noti d’Italia, si è conclusa con una raffica di rinvii a giudizio. E oltre a Stefano dovrà affrontare un processo l’ex rettore Luigi Dei (che durante le indagini era stato anche sospeso) e l’ex direttore generale di Careggi, Monica Calamai.
Con loro ci sono alcuni guru della sanità toscana: l’ex prorettore Paolo Bechi, il direttore del Dipartimento oncologico e primario dell’Urologia oncologica, Marco Carini, l’ex direttore del Dipartimento di Medicina sperimentale e clinica dell’Università di Firenze Corrado Poggesi e Niccolò Marchionni, direttore del Dipartimento Cardiovascolare e primario della Cardiologia di Careggi. A processo anche i membri della commissione che aggiudicò il bando.
L’inchiesta ha svelato come la connotazione politica di un medico sia la principale «qualità» per l’ottenimento o la detronizzazione dall’incarico per il camice bianco. In un’intercettazione l’ex dg Calamai si era lasciata scappare che i dottori in quota Lega erano «da detronizzare».
Nei documenti giudiziari, poi, compaiono anche i nomi dell’ex governatore Enrico Rossi, e del presidente in carica Eugenio Giani. Ma anche quello della renziana Stefania Saccardi, già assessore regionale alla Sanità e attuale vicepresidente. Nelle informative è stato ricostruito più di un intervento proveniente dal mondo politico e sono emerse attenzioni per agevolare le carriere degli amici che, però, non devono aver raggiunto il rilievo penale.
Tra gli episodi accertati c’è perfino una tentata concussione nei confronti di un cardiochirurgo che avrebbe subito pressioni da alcuni degli indagati per citare come coautore delle proprie pubblicazioni Stefano: un escamotage, secondo l’accusa, per gonfiare il suo curriculum e spianargli la strada in vista del concorso.
È quello che denuncia Giambattista Scirè, ricercatore di Storia contemporanea, che nel dicembre 2011 ha visto assegnare il posto per cui concorreva all’Università di Catania a un architetto e da allora si è fatto promotore di una battaglia giudiziaria. Ha scritto anche un pamphlet, da poco in libreria, dal titolo eloquente, Malauniversità, dove attacca «un sistema fondato sulle logiche della cooptazione che produce una rete di relazioni e rapporti di potere dentro l’università, ma che influisce anche all’esterno».
Così, proprio a Catania, con l’accusa di aver truccato i concorsi sono state rinviate a giudizio 45 persone. Compresi due ex rettori: Giacomo Pignataro e Francesco Basile, ai quali è stata contestata la corruzione. Non solo: tra gli accusati ci sono anche sette direttori di dipartimento.
Ma nelle università non vengono truccate solo le carriere dei prof. C’è del marcio anche negli esami degli studenti. A Salerno, per esempio, a «lezione di scandalo» ci sono andati almeno in 34. I loro percorsi universitari, secondo l’accusa, sarebbero manipolati: gli studenti furbetti incassavano crediti elargendo regalini. Ma, sospettano in procura, anche sulle iscrizioni a Medicina c’è qualcosa che non torna.
Due funzionari amministrativi sono finiti agli arresti domiciliari. Uno di loro, in cambio dei favori che riusciva a elargire tramite il sistema informatico dell’università, si era fatto regalare una fornitura di fumetti da collezione. Inoltre i due funzionari, senza farsi soverchi problemi, avrebbero iscritto a Medicina studenti che non avevano passato i test d’ingresso. In questa vicenda, alla fine, il conteggio è arrivato a ben 42 indagati.
Esami regalati anche alla Link University dell’ex ministro democristiano Vincenzo Scotti, che per la Procura di Firenze era a capo di una compagine di professori che i magistrati definiscono «un’associazione a delinquere». Alla Link i poliziotti iscritti al Siulp, sindacato di polizia tra i più rappresentativi, avevano firmato una convenzione che gli permetteva di superare gli esami senza sostenerli. La pm Christine von Borries ha spiegato: «Hanno potuto di fatto saltare tutti gli esami del primo anno in cambio di una tesina di poche pagine non corretta da nessun professore della Link e senza che dovessero seguire alcuna lezione». Per 62 indagati, Scotti compreso, i pm hanno chiesto il rinvio a giudizio.
In Calabria, invece, per gli esami taroccati ci sono già le prime 20 condanne di primo grado a pene comprese tra un anno e tre anni e nove mesi. Tutto è cominciato con degli accessi irregolari al sistema informatico attraverso i quali venivano caricati i voti per esami che in realtà non erano stati sostenuti. Una prassi, hanno scoperto i magistrati, che si era consolidata nella facoltà di Lettere e filosofia, finché l’allora rettore e il direttore di dipartimento non si accorsero del trucco e decisero di denunciare. Il fenomeno sembrava così diffuso che i pm decisero di esaminare i libretti di 800 studenti.
Esami regalati anche a Genova, dove, grazie all’aiuto di un professore esterno della facoltà di Economia aziendale, che secondo le indagini inviava le risposte su WhatsApp durante la prova scritta, una ventina di ragazzi ha ottenuto il risultato con ottimi voti.
Tant’è che l’inchiesta è stata ribattezzata «110 e frode».
