Non un missile lanciato dai caccia Nato contro un Mig libico, ma una bomba a bordo. Un libro in uscita rimette in discussione la verità sulla tragedia del DC-9 Itavia stabilita dal processo. Un’ipotesi investigativa suffragata da prove importanti, messa da parte per precise ragioni economiche.
È il 27 giugno 1980, ore 20 e 59 minuti. Un volo civile DC-9 della compagnia Itavia partito da Bologna e diretto a Palermo si inabissa in mare nei pressi di Ustica. All’unità di crisi della Farnesina e ai piani alti della Nato scatta l’allarme. Quell’aereo sarebbe stato colpito per errore da un missile lanciato da un caccia dell’Alleanza atlantica contro un Mig libico. Al suo interno ci sarebbe stato nientemeno che il leader libico Muammar Gheddafi, per questo un Mirage francese ha fatto fuoco. Non va così. Il DC-9 è sulla linea di fuoco di una battaglia aerea ingaggiata da francesi, libici e persino statunitensi sopra i cieli italiani. Il Mirage spara e manca il bersaglio, condannando le 81 persone a bordo del volo civile a una fine drammatica. Un secondo missile raggiunge infine il Mig libico, che precipita sui monti della Sila. Ma Gheddafi è a Tripoli e l’operazione si risolve in un disastro.
Ma è andata davvero così? «La risposta a questa domanda è banale ed è “no”. Solo la teoria giurisprudenziale italiana, che ha proposto e perseguito in sede civile la suggestiva idea di un missile che colpisce il DC-9 per sbaglio, poteva produrre un simile errore» argomenta con sicurezza Leonardo Tricarico, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare italiana. «La responsabilità di questo errore è di un giudice onorario aggregato che si è fondato solo su ipotesi. Che infatti saranno ritenute dai giudici del processo penale, con sentenza passata in giudicato nel 2007, “più degne della trama di un libro di spionaggio che di una pronuncia giudiziale”» .
Ma come si può basare l’impianto accusatorio su un’ipotesi? «L’impianto accusatorio fu formulato dal giudice istruttore Rosario Priore nell’ordinanza di rinvio a giudizio depositata il 31 agosto 1999. Ma 272 udienze e oltre 100 tra perizie, relazioni e consulenze redatte da esperti internazionali e italiani, hanno smentito tale suggestione». Perché un giudice dovrebbe agire in questo modo? «Semplice. Addossare la responsabilità direttamente allo Stato porta a incassare un indennizzo. Mi spiego meglio. È stato soltanto il processo civile ad aver suffragato quella teoria e ad aver disposto di conseguenza un indennizzo di molte centinaia di milioni di euro (330, ndr) per gli aventi titolo, condannando i ministeri della Difesa e dei Trasporti al risarcimento in quanto lo Stato non fu in grado di garantire la sicurezza della tratta. Ma in sede penale la storia è tutt’altra».
Quella del missile sarebbe insomma «un’opera di depistaggio. Il Mig libico che avrebbe ingaggiato una battaglia nei cieli è precipitato il 18 luglio del 1980, dunque ben tre settimane dopo il DC-9. Lo scrive una sentenza, che sottolinea come l’associazione tra i due eventi sia forzata e s’interroga sul perché i periti abbiano delineato quest’ipotesi. Forse, sostengono i togati del processo penale, è conseguenza del fatto che si voleva fare un favore ad Aldo Davanzali, ex presidente della compagnia aerea».
Lo Stato – con sentenza ormai decisa in Cassazione – dovrà infatti risarcire il danno alle eredi di Davanzali, le figlie Luisa e Tiziana, che detengono il 52 per cento delle azioni della compagnia, in amministrazione controllata fin dai tempi della strage. È tutto nero su bianco nel libro Ustica, un’ingiustizia civile. Perché lo Stato pagherà 300 milioni per una battaglia aerea che non c’è mai stata, in uscita il 26 maggio per l’editore Rubettino. Tricarico lo ha scritto con il giornalista Gregory Alegi, per offrire tutte le risposte possibili a uno dei più grandi misteri italiani. Quest’ultimo sottolinea come «gran parte delle teorie sulla presunta battaglia aerea o altri complotti sono nate prima della perizia internazionale e del recupero in mare del relitto, riportato a galla per il 90 per cento».
Quindi, mentre il metodo internazionale è stato «cerchiamo risposte nel relitto», in Italia si è seguito il metodo «cerchiamo il relitto per confermare le nostre teorie, ma se non le conferma ha torto il relitto». E che cosa è emerso dalla perizia d’ufficio? Che le tracce del missile sul relitto non ci sono». Le indagini, in effetti, non confermeranno mai l’abbattimento del DC-9. «Noi andiamo ancora a inseguire cose dette a caldo nelle prime settimane, quando non c’erano i tracciati radar e ci si basava su foglietti volanti mostrati a esperti occasionali, i quali poi in dibattimento hanno ritrattato o non hanno confermato» aggiunge Alegi.
Ma allora cos’è successo? «Una bomba posizionata nella toilette posteriore del DC-9 Itavia. Oggi questo fatto è perfino un caso di scuola alla prestigiosa Università inglese di Cranfield ma, a parte ciò, la pista della bomba è giunta fino in Cassazione dopo lunghi, numerosi e puntigliosi dibattimenti processuali e resa tecnicamente inattaccabile dal parere dei massimi esperti mondiali».