Gli scontri nel centro della costa domiziana, diventato in parte «zona rossa» dopo il contagio da Covid-19 nella comunità bulgara, sono solo l’ennesimo sfregio. Da decenni le istituzioni tollerano il degrado in quest’area. Tra gang nigeriane che dettano legge,
spaccio internazionale di droga e «caporali» spietati che monopolizzano il lavoro nei campi.
Sotto ai palazzi ex Cirio, il quartiere-ghetto di Mondragone, ora ci sono decine di poliziotti in assetto antisommossa. Presidiano la zona rossa istituita dopo il contagio da Covid-19 tra la comunità bulgara che condivide gli edifici con i mondragonesi. Gli scontri con i residenti sono stati violenti nelle settimane scorse: i primi giorni gli agenti erano pochi e gli immigrati cercavano costantemente di violare il cordone di sicurezza per scappare.
Ma le forze dell’ordine non sono state in grado di garantire neanche il comizio di Matteo Salvini, venuto nel paese della costa domiziana, a nord di Napoli. La tensione è esplosa con tafferugli provocati da contestatori in arrivo dal capoluogo campano e al leader leghista è stato impedito di parlare.
Ennesima, simbolica sconfitta dello Stato in questo territorio di frontiera. I cinque edifici gemelli fronte mare restano «off limits», emblema del degrado di un’area che fino a qualche decennio fa aveva persino ambizioni turistiche. La zona rossa è circoscritta a queste strutture in pessime condizioni, eppure fa paura: spaventa bagnanti e turisti che disertano le spiagge vicine con ricadute negative per la fragile economia locale.
Ma chi sono gli immigrati che qui molti bollano come «untori»? Di origini rom, arrivano dall’Est Europa per lavorare in campagna con turni massacranti, quasi sempre con paghe basse e in nero. Dai 25 ai 35 euro al giorno per raccogliere insalata, fragole, meloni sotto il sole a picco dell’estate. Sulla loro disperazione speculano in tanti.
Ci sono i padroni delle aziende agricole incapaci di fare consorzio e abbattere i costi d’impresa, che per restare a galla sfruttano il lavoro degli ultimi. Ci sono i caporali (spesso anche loro bulgari), che per portare i connazionali al lavoro e ricondurli a casa li stipano a decine in piccoli furgoni. Poi ci sono i proprietari di abitazioni, che si fanno pagare anche 100 euro a posto letto al mese in tuguri dove un italiano non accetterebbe nemmeno di entrare.
No, lo Stato qui non controlla. «Spesso chiude un occhio. A volte tutt’e due, perché dopotutto sfruttare questa gente è nell’interesse di tanti». A parlare è il barista che gestisce un locale vicino ai palazzi ex Cirio. Da due settimane gli affari sono calati del 90%. «Stavamo meglio a marzo e aprile, con la chiusura. Almeno c’era la cassa integrazione per i miei collaboratori». Se la prende col suo sindaco, Virgilio Pacifico, col presidente della Regione Vincenzo De Luca, e ovviamente col governo. «Arrivano tutti solo per le elezioni. Che tanto gli immigrati irregolari e gli altri problemi ce li teniamo noi, mica vanno sotto casa loro».
Eppure, qui e nella vicina e città gemella di Castel Volturno – una dozzina di chilometri dai palazzi ex Cirio – tra anni Sessanta e Settanta molti avevano creduto al turismo e iniziato a costruire, quasi tutto rigorosamente abusivo. Alberghi, ville con piscine, stabilimenti balneari. Il litorale con le lunghe spiagge poteva diventare una delle mete più attrattive d’Italia. Ecco che, almeno fino agli Ottanta, la riviera settentrionale di Napoli contava tra i villeggianti anche gli scandinavi, che qui venivano a svernare.
Poi, la Regione decise che si dovevano ospitare gli sfollati dello storico terremoto del Napoletano e dell’Irpinia, e quelli del bradisismo dei Campi Flegrei. Da allora è stata una parabola inarrestabile verso il basso.
La camorra dei casalesi è stata sconfitta dopo la guerra scatenata dal killer Peppe Setola, autore fra l’altro della strage alla sartoria etnica, che nel settembre 2008 fece sette vittime innocenti fra gli immigrati africani. Altri gruppi criminali si muovono oggi con relativa disinvoltura, gestendo business milionari. Spicca quello nigeriano, dei cartelli di Benin City. Proprio a Castel Volturno hanno stabilito il quartier generale dell’organizzazione, come certificato da decine d’inchieste di varie procure. C’è quindi la droga, con giovani donne e uomini che fanno da corrieri per tutta Italia: inghiottono fino a un chilo di sostanze stupefacenti racchiusi in ovuli di cellophane. C’è poi la tratta delle donne da avviare alla prostituzione in Italia o in altri Paesi europei.
L’operazione Viola della Direzione distrettuale antimafia nel 2008 fece arrestare e condannare per mafia una settantina di nigeriani, e stimò in almeno 200 le micro cellule con la stessa origine africana che operavano lungo la costa. Da allora i vari cartelli – fra cui The Black Cat e The Eye – hanno accresciuto, e di molto, potenza e pervasività. Lo Stato non arriva. Le attività criminali si adattano alla perfezione alla situazione di Castel Volturno, città dalla «proporzioni sociali» completamente stravolte.
Ai suoi 25.000 cittadini registrati all’anagrafe, per esempio, va sommato un esercito d’irregolari di almeno 15.000 persone. È il più grosso centro d’accoglienza abusivo d’Europa. Un buco nero di sottosviluppo e degrado in cui precipitano le speranze di normalità dei residenti. Secondo la Caritas, gli stranieri che vivono qui arrivano da 65 Paesi diversi. Oltre ai nigeriani, sono numerosi i ghanesi che lavorano nei piccoli cantieri edili della provincia, o fanno traslochi, pulizie e servizi pesanti. Gli srilankesi, invece, si prendono cura delle bufale, col cui latte si produce la prelibata mozzarella della piana dei Mazzoni. Mentre gli ucraini fanno la vigilanza notturna agli stabilimenti balneari della costa, soprattutto nel periodo invernale, vivendo nelle stesse strutture della spiaggia.
Intanto, mentre a Mondragone di notte qualcuno vandalizza le auto con targa dell’Est Europa, anche fra le altre comunità di stranieri dell’area cresce la rabbia verso i bulgari. Guerre tra ultimi. Non sono però tanto i rischi sanitari a mettere in crisi la convivenza fra immigrati. A spiegarlo è John, che arriva dalla Liberia e aspetta il pullman lungo la Domiziana. «Per questi bulgari mo’ nun ci sta chiù ‘a fatica per nisciuno. Io sono giardiniere. Ma la gente adesso ha paura degli stranieri e non ci chiama più».
John parla come uno scugnizzo dei vicoli di Napoli. Vive qui da 20 anni e racconta che il permesso di soggiorno riuscì a ottenerlo una dozzina d’anni fa grazie a una pratica finta preparata da un avvocato locale. Mille euro. Poi, però, con i soldi da spedire a casa, non ha più potuto pagare le tasse e ha il perso il permesso. Di fronte la fermata dell’autobus c’è l’ambulatorio di Emergency, che dal 2012 fa visite mediche gratuite a tutti, non solo per gli immigrati irregolari. «Perché ci sono molti italiani della zona che vivono in un’indigenza anche peggiore di questi stranieri» spiega Sergio Serraino, il responsabile del centro medico.
Qualche anno fa sembrava che qualcosa si stesse muovendo. Era il 2016 e fu istituito il «Commissario straordinario all’area di crisi domiziana». Un anno dopo venne firmato un protocollo d’intesa fra governo, Regione e Comune di Castel Volturno con investimenti per 22 milioni di euro in vari settori. Sicurezza compresa. A presentare il piano c’era anche l’allora ministro degli Interni Marco Minniti. E mentre il caos aumenta, il commissariato straordinario è sparito, e degli investimenti si sono perse le tracce, così come delle risorse in più per garantire il controllo della zona. Si arriva a oggi: alla caccia ai bulgari, agli scontri ai comizi.
Appena qualche settimana fa il governatore De Luca minacciava di mandare «i carabinieri col lanciafiamme» a tenere a bada i giovani che, per festeggiare i neolaureati nei quartieri di Napoli, non avessero osservato il lockdown. Qua il governatore è passato con una fugace visita, all’interno delle mura blindate della «tenenza» dei carabinieri. Per le Regionali d’autunno la zona rossa dei palazzi ex Cirio non è un buon biglietto da visita amministrativo. Pensare che i gestori dei lidi contavano di incrementare gli affari organizzando i comizi elettorali dei tanti aspiranti consiglieri. La desolazione delle migliaia di ombrelloni chiusi racconta un’altra storia. L’ordinario delirio della costa domiziana continua.
