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Quando in galera ci va il giudice

Quando in galera ci va il giudice

Da Brindisi a Catanzaro, da Firenze a Latina e Torino. La corruzione compromette sempre più spesso i magistrati. Che, grazie alla loro posizione, fanno favori e aggiustano inchieste. Con ottimi guadagni.


C’è chi ha ottenuto una masseria e un bed and breakfast, chi ha comprato una barca a un prezzo di favore e chi si accontentava di cassette di gamberoni, bottiglie di vino pregiato e mazzette. Ma c’è anche chi, più astutamente, avrebbe agito per favorire le coop che gestiscono le case-famiglia per minorenni. La corruzione, stando alle ultime inchieste giudiziarie, sembra viaggiare spedita tra i corridoi dei palazzi di giustizia. Dove non ha dominato solo il sistema di gestione del potere fotografato dall’inchiesta sullo stratega delle nomine Luca Palamara. La nuova Mani pulite nella giustizia ha l’epicentro in Puglia, come provano arresti e condanne a raffica, ma a macchia di leopardo è diffusa in tutta Italia.

L’ultima toga finita dietro le sbarre, il 28 gennaio, è Gianmarco Galiano, giudice del Tribunale di Brindisi accusato di aver ottenuto una mazzetta dopo aver prospettato al papà e alla mamma di un bimbo disabile di sottrargli la potestà genitoriale. Poi è saltato fuori, a leggere gli atti firmati dal procuratore di Potenza Francesco Curcio, che c’era lo zampino del giudice anche in una causa del 2007 sul decesso di una ragazza, e in un procedimento per colpa medica riguardante un bambino nato con traumi permanenti.

Nel primo caso sarebbero stati messi a disposizione del magistrato 300 mila euro su un conto corrente intestato alla ex suocera. Nel secondo caso, circa 150 mila euro. Ma di soldi sembra che la toga sia riuscita ad accumularne una bella cifra, visto che il gip di Potenza ha anche disposto il sequestro di 1,2 milioni di euro. Per gli inquirenti, con il denaro incassato Galiano avrebbe acquistato appunto una masseria e un bed and breakfast.

«Tracce bancarie indiscutibili» le definisce il procuratore Curcio, spiegando che i soldi «sono passati sicuramente da una parte privata alla disponibilità del giudice». Insieme a Galiano sono indagati altri due colleghi: Francesco Giliberti e Giuseppe Marseglia. «Anche i giudici sono uguali davanti alla legge» taglia corto il procuratore potentino, che solo qualche mese prima ha sconvolto un altro palazzo di giustizia, quello di Trani. Lì, per presunte pressioni nei confronti di una pm affinché avviasse un ingiusto procedimento per usura nei confronti di una persona «infondatamente» denunciata da alcuni imprenditori, è finito ai domiciliari e ci è rimasto per tre mesi l’ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo.

Anche il suo caso, per competenza territoriale, è finito a Potenza, dove è stato disposto il giudizio immediato. A Trani l’attività investigativa sembra essersi concentrata non poco. Solo due mesi fa è stato condannato a 16 anni e 9 mesi di carcere l’ex gip Michele Nardi, ritenuto uno degli esponenti di quello che è stato ribattezzato il Sistema Trani. Una condanna pesante, 10 anni di carcere, pure per l’ex pm Antonio Savasta, considerato l’organizzazione del «Sistema»: tra gli episodi ricostruiti c’è anche un incontro a Palazzo Chigi con Luca Lotti organizzato da Tiziano Renzi, padre dell’ex premier e leader di Italia viva.

A Lecce, invece, è finito nei guai l’ex pm Emilio Arnesano, condannato dai giudici di Potenza a 9 anni di carcere. Secondo l’accusa, la funzione di magistrato era stata «svenduta» in cambio di regali e «di prestazioni sessuali». L’altro Sistema era invece a Siracusa, dove ha patteggiato 5 anni di carcere l’ex pm Giancarlo Longo.

Ma l’inchiesta più scottante sulle toghe è in mano al procuratore di Salerno Giuseppe Borrelli. Sulla sua scrivania c’è un fascicolo nel quale sono raccolti i nomi di 15 magistrati del distretto di Catanzaro. Tutto è cominciato con l’arresto di un giudice della Corte d’appello di Catanzaro, Marco Petrini (di recente condannato a 4 anni e 4 mesi di carcere).

L’accusa di corruzione è scattata quando gli investigatori hanno scoperto che, oltre a denaro contante, aveva accettato pagamenti in natura con cassette di gamberoni e bottiglie di champagne. Una volta in procura Petrini ha raccontato le malefatte dei suoi colleghi calabresi. Ora gli investigatori salernitani stanno cercando di orientarsi in un marasma nel quale ha fatto capolino pure la ‘ndrangheta. Secondo il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri esiste una Mani pulite nella giustizia, con almeno il «4 o 5 per cento di toghe coinvolte».

E non solo al Sud. Risalendo la Penisola, a Firenze con l’accusa di corruzione è stata arrestata una giudice del Tribunale per i minori, Rosa Russo. Avrebbe coperto reati commessi dai dirigenti di una coop che gestisce case di accoglienza per ragazzi sotto i 18 anni. Nei guai pure il pm torinese Andrea Padalino, che avrebbe ricambiato con favori processuali anche una cena stellata nel ristorante di Antonino Cannavacciuolo. È diventata definitiva, invece, la condanna per il giudice di Latina Antonio Lollo: 2 anni e 10 mesi per aver pilotato procedimenti di fallimento. Ora è pentito. E ammette: «Pensavo a fare soldi, tradendo quello in cui avevo sempre creduto».

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