Home » Attualità » Cronaca » Fingo il suicidio (e poi scappo)

Fingo il suicidio (e poi scappo)

Fingo il suicidio (e poi scappo)

La nuova strategia dei migranti per non farsi rispedire a casa è fingere di farla finita. O procurarsi qualche lesione per essere portati in ospedale. Ma anche il rifiuto del tampone anti-Covid è una tattica sempre più utilizzata: dopo 90 giorni, infatti, bisogna rilasciarli.


L’ultima trovata per non farsi rispedire a casa con il rimpatrio forzato, cosa che già di per sé risulta complicata al ministro Luciana Lamorgese, è tentare il suicidio. L’epicentro, dal 22 maggio scorso, giorno in cui Mamadou Moussa Balde, un ristretto proveniente dalla Guinea, si è tolto la vita, è il Centro per il rimpatrio di corso Brunelleschi a Torino. In sei mesi si è arrivati a 115 casi, contro i 10 del 2020. E tra ottobre e novembre le relazioni inviate dai presidi interni di pubblica sicurezza descrivono almeno «un atto anticonservativo» al giorno.

«La prassi è sempre la stessa» denuncia Eugenio Bravo, segretario provinciale del Siulp, sindacati tra i più rappresentativi per la Polizia di Stato. «Gli ospiti si legano una corda al collo, si procurano qualche lesione e vanno in ospedale. Una volta tornati al Cpr, fanno capire al medico di non voler desistere dall’intento e vengono rimessi in libertà per motivi sanitari». Ovviamente c’è chi è di opinione contraria. Monica Gallo, Garante dei diritti dei detenuti a Torino, ritiene che ci sia stata troppa fretta nel definire «finti» i tentativi di suicidio. Per lei le ragioni del fenomeno vanno ricercate «nelle condizioni degradate del Centro e degli ambienti, offensive della dignità della persona».

Le «carenze» nella gestione, poi, lascerebbero «spazio a pratiche illegittime». Ma la tecnica sembra aver oltrepassato le mura del Cpr torinese. Il 16 dicembre un altro caso è stato segnalato a Milano, nel Centro di via Corelli, protagonista un trentunenne. La stampa parla «di un gesto autolesivo, come già peraltro accaduto altre volte sempre nello stesso Centro per il rimpatrio». Ad aprile in tre erano saliti sul tetto e si erano lanciati nel vuoto. E a maggio un ragazzo iracheno ha prima ingerito del detersivo; poi, al rientro dall’ospedale, ha tentato di impiccarsi con una cordicella. I senatori Gregorio De Falco (gruppo Misto) e Simona Nocerino (Movimento 5 stelle), dopo un’ispezione, hanno richiesto con due diversi esposti il sequestro preventivo del Cpr, certificando, tra le altre cose, anche gli «episodi di autolesionismo». Uno dei quali vissuto dai due senatori in diretta proprio al momento del loro ingresso e affrontato dalle forze di polizia presenti nel centro in tenuta antisommossa.

Un altro particolare, quest’ultimo, che prova le difficoltà che è chiamato a fronteggiare chi opera nei Cpr. E a novembre, Mai più lager-No Cpr sulla sua pagina Facebook ha raccontato il caso di un ragazzo straniero che con una lametta si è provocato lesioni che hanno richiesto 90 punti di sutura. Anche in questo caso, dopo aver denunciato le «inadempienze» del Comune di Milano, guidato dal golem della sinistra Beppe Sala, accusato di aver lasciato da soli i volontari nella trincea del Cpr, è partito un esposto al Garante per i detenuti. A Macomer, in Sardegna, il fenomeno invece ha avuto il suo picco a fine 2020 con una decina di casi, poi è andato scemando.

Anche se lo scorso ottobre i tre leader delle associazioni No Cpr, Michele Salis, Filippo Kalomenidis e Luca Pirisi, denunciavano «l’elevato tasso di tentati suicidi e autolesionismo» all’interno di quello che definiscono un «lager». Ma il tentativo di farsi del male non è l’unico escamotage che permette ai furbetti del Cpr di tornare in libertà. La pratica più comune è il rifiuto del tampone anti-Covid. Gli immigrati arrivano già eruditi sui loro diritti. E sanno che nessuno può obbligarli a sottoporsi al tampone. Gli stranieri restano quindi per 90 giorni nel Cpr. Poi, raggiunto il tempo massimo previsto dalla legge, bisogna rilasciarli.

Risultato: ad agosto (ultimi dati disponibili) Lamorgese era riuscita a espellerne solo 4.321, segnando un -2 per cento, mentre nel 2020, nello stesso mese era arrivata a 4.408. Al Cpr di Torino le operazioni sono ferme da tempo. A fronte degli oltre 600 ospiti si contano soltanto poco più di 100 rimpatri. E solo sei da ottobre a oggi, ovvero da quando il trucchetto dei finti suicidi ha trasformato l’accompagnamento in aeroporto in uscite dal portone con in tasca un foglio di via.

Stando ai dati del Dipartimento di pubblica sicurezza, nel 2021, solo il 49,7 per cento degli stranieri trattenuti nei Cpr è stato rispedito a casa. E siccome la finalità della detenzione nel Cpr non viene raggiunta (ovvero l’espulsione), il Garante la considera una privazione della libertà «ingiustificata e fine a se stessa».

Le ragioni che hanno grippato la macchina delle espulsioni, stando alle stime del Garante, sono diverse: al primo posto ci sono le dimissioni perché non si è raggiunta l’identificazione allo scadere del termine (voce che incide per il 16,62 per cento del totale). Seguono i casi di fermo non convalidato dall’autorità giudiziaria (15,64 per cento dei casi). Il terzo posto, indicato con la voce «altri motivi», capitolo generico nel quale sono inseriti anche i tentativi di suicidio e il rifiuto dei tamponi, pesa per il 13,9 per cento. Si tratta di 624 stranieri che con trovate varie sono riusciti a tornare in circolazione. Agli ultimi posti della classifica ci sono coloro che hanno fatto ricorso e sono riusciti a ottenere la protezione internazionale (1,87 per cento), chi si è allontanameto arbitrariamente (1,14 per cento) e gli arrestati all’interno del Cpr (1,11 per cento), spesso con accuse di terrorismo.

I dati, come è facile immaginare, variano da centro a centro. Si va dall’88 per cento di rimpatri effettuati da Caltanissetta Pian del Lago e dal 77,7 di Trapani al 18,9 di Macomer e, coincidenza, al 18,1 di Torino. Dove, probabilmente, un peso devono averlo avuto anche i finti tentati suicidi. Una pratica che più di un investigatore sta mettendo in relazione con i tentativi di matrice anarchica di sobillare, proprio a Torino, gli ospiti del Cpr.

Una strategia che va avanti dal 2015, come ricostruito dal processo ribattezzato «Scintilla», che oltre a mettere in fila 21 attentati con plichi esplosivi ha accertato che gli anarchici istigavano a commettere azioni di violenza contro le imprese appaltatrici dei Cpr e sostenevano le rivolte scoppiate all’interno del Centro di corso Brunelleschi segnate da incendi e danneggiamenti.

Dopo una breve pausa, agli inizi di novembre la scintilla sembra essersi riaccesa, con l’organizzazione, sempre a Torino, di un’imponente manifestazione alla quale hanno preso parte gruppi anarchici di mezza Europa per manifestare contro le frontiere e i Cpr, all’interno dei quali ormai da qualche anno i sostenitori della A cerchiata cercano di fare proseliti.

© Riproduzione Riservata