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Quando l’immigrazione diventa guerriglia urbana

Quando l’immigrazione diventa guerriglia urbana

Auto date alle fiamme, risse con centinaia di persone, armi da fuoco, lacrimogeni e arresti. Nelle città europee, così come nel Regno Unito, sono in aumento le violenze di cui si rendono protagonisti gli stranieri, o comunque cittadini di origini diverse, per le motivazioni più svariate. Ma, in ogni caso, strettamente legate alla statistica: la crescita senza controllo delle loro comunità.


Erano solo 460 nel 1961, per poi sfiorare i 40 mila nel 1970 fino ad arrivare alla cifra di 800 mila quarant’anni dopo. Sono le cifre che ha fornito il governo del Belgio a proposito dell’immigrazione marocchina: la più numerosa in un Paese di appena 11 milioni di abitanti, con la capitale politica e governativa dell’Unione europea che somiglia sempre più a un acquartieramento di nordafricani e sempre meno alla patria di Rubens, Magritte o Simenon.

Qui ormai un cittadino su cinque ha origini straniere e, per effetto di questa evoluzione demografica e della facilità di acquisire la cittadinanza belga (in alcuni casi bastano tre anni di residenza senza altre condizioni), tra le Fiandre e la Vallonia oggi ben 26 deputati regionali sono di origine marocchina. Il che comporta spesso anche lo sviluppo di politiche filoislamiche del tutto antitetiche al laicismo di Stato, essendo la religione maomettana profondamente radicata e quindi centrale nelle dinamiche interne di queste comunità. Secondo Statbel, l’ufficio di statistica del Paese, addirittura il 46 per cento della popolazione di Bruxelles è ormai di origine extraeuropea, mentre solo il 24 per cento ha origine belga. E sebbene i cittadini del Marocco rappresentino il 7 per cento della popolazione totale, sono già oltre il 12 per cento nella regione di Bruxelles-Capitale.

I nordafricani superano già gli autoctoni nella fascia di età inferiore ai 18 anni, cosicché molte scuole sono frequentate soltanto da bambini di origine extraeuropea. In special modo quelle pubbliche, dove i genitori di prima e seconda generazione tendono a iscrivervi volentieri i bambini perché l’ora di religione è ormai prevalentemente orientata all’insegnamento dell’Islam. Qui, ancora più che in Francia, in pochi decenni l’evoluzione demografica è stata talmente notevole da aver modificato il tessuto sociale, e in parte politico, del Paese. Anche gli usi e costumi, come il velo islamico o i negozi «halal» (cioè quelli che seguono i precetti islamici) sono sempre più esibiti e, purtroppo, a queste usanze si accompagna spesso anche un elevato tasso di criminalità. L’ultimo e più manifesto caso lo si è potuto osservare durante il recente mondiale di calcio in Qatar: dopo ogni vittoria della squadra del Marocco, le città francofone del Nord Europa hanno conosciuto atti di vandalismo e ondate di teppismo senza precedenti.

Non serviva certo un evento internazionale sportivo per comprendere come la situazione legata all’immigrazione straniera in Europa sia pressoché fuori controllo. Da anni intorno al Natale cristiano i presepi vengono vandalizzati o dati alle fiamme, mentre le moschee e i quartieri-ghetto (come Molenbeek a Bruxelles) brulicano di immigrati illegali che qui trovano rifugio e copertura. Basti pensare a Salah Abdeslam, il terrorista francese naturalizzato belga – di origine marocchina – unico membro sopravvissuto del commando Isis responsabile degli attacchi terroristici del 13 novembre 2015 a Parigi (137 morti, di cui sette attentatori). Sfuggì alla polizia per mesi prima di essere arrestato proprio a Molenbeek. Più o meno nel cuore della capitale dell’Unione europea.

Belgio e Francia sembrano seguire lo stesso destino, e infatti le cifre nazionali sono spesso sovrapponibili: secondo i dati forniti da Interstats, in Francia il 63 per cento dei furti non violenti, il 42 per cento dei furti violenti e il 32 per cento delle aggressioni e lesioni intenzionali sono compiuti proprio da persone di nazionalità straniera. In base a questo documento, i nordafricani risultano essere i primi in classifica: quasi il 39 per cento per quanto riguarda i furti, e il 28 per cento per le violenze, che posizionano i reati degli immigrati molto avanti rispetto a quelli compiuti dai cittadini europei (rispettivamente al 9 e 2 per cento).

In Francia, secondo l’Istituto nazionale di statistica, quasi un terzo della popolazione (29,6 per cento) di età compresa tra 0 e 4 anni è ormai di origine non europea rispetto al 17,1 per cento di quelli in un’età compresa tra 18 e 24 anni, e al 18,8 per cento dei cittadini in età compresa tra 40 e 44 anni (scende invece al 7,6 per cento nella fascia tra 60 e 64 anni, e al 3,1 per cento degli over 80). In totale, un sesto dei nuovi nati in Francia è di origine maghrebina, mentre il 7,3 per cento proviene dal resto dell’Africa e il 4 per cento dall’Asia.

Secondo Pierre Brochand, ex direttore della Direzione generale per la sicurezza esterna (Dgse), la migrazione di massa «ha prodotto un impatto trasversale su tutta la nostra vita collettiva, che considero generalmente negativo» dal punto di vista della sicurezza pubblica. Brochand osserva: «L’immigrazione molto particolare a cui siamo stati sottoposti per 50 anni ha causato una vera regressione in aree chiave come l’istruzione, la produttività, i servizi pubblici, la sicurezza e la civiltà». L’ex numero uno dei servizi segreti, commentando questi numeri, si spinge fino a osservare come «si deve avere un cervello di colibrì per pensare che le antiche rivalità tra cristiani e musulmani non si sarebbero riaccese». Come difatti è accaduto, specie nel periodo dell’ascesa del fenomeno terroristico targato Isis.

Sinora il governo del presidente Emmanuel Macron è stato incapace di espellere i migranti illegali, in particolare i nordafricani. Per esempio, solo lo 0,2 per cento degli algerini che hanno ricevuto ordini di espulsione sono stati effettivamente costretti a lasciare la Francia: su 7.731 destinati all’espulsione tra luglio e gennaio 2021, solo 22 sono stati effettivamente rimandati nei loro Paesi d’origine. Complessivamente, al momento la Francia riesce a espellere appena il 5,7 per cento di quanti sono colpiti da decreto di allontanamento. Un risultato magro, che fa il pari con un altro dato choc: secondo il quotidiano Le Parisien, che cita il servizio statistico del ministero dell’Interno, quasi il 93 per cento delle persone coinvolte in furti e rapine sarebbe di origine straniera, in media almeno 8 persone su 10.

Anche il Regno Unito – un altro ex impero da sempre sensibile al multiculturalismo e al senso di colpa post-coloniale – registra numeri simili e osserva il verificarsi di fenomeni non meno preoccupanti dal punto di vista della sicurezza. Basti l’episodio occorso a Leicester a fine estate 2022, quando la città nel cuore delle Midlands è stata teatro di violenti scontri tra gruppi indù e musulmani che hanno scatenato una rissa di proporzioni enormi (la polizia ha arrestato almeno 47 persone) intorno a una moschea di quartiere. Per decenni, Leicester era presentata come la città etnicamente più armoniosa della Gran Bretagna, differenziandosi da città come Birmingham o Bradford, che avevano vissuto disordini tra e con minoranze etniche e religiose di entità anche grave. Ma ormai anche le Midlands sono state sconvolte dall’immigrazione di massa: la percentuale di immigrati musulmani qui è aumentata di 1,2 milioni in meno di dieci anni, portando la popolazione islamica a quasi 4 milioni. In totale, il 6,5 per cento degli inglesi.

Mentre in Germania – dove vivono tra i 5 e i 6 milioni di musulmani, e dunque circa il 6,5 per cento della popolazione – l’aumento degli stranieri è pari a quasi un punto percentuale sin dal 2015. E anche qui le forze di sicurezza registrano costanti tensioni etnico-religiose: specialmente tra le comunità turche che, forti di non meno di 4 milioni di immigrati (ma il numero è molto sottostimato), sono la più grande comunità della diaspora turca. In particolare i curdi, che con il loro milione e mezzo di presenze sono il quarto gruppo di immigrati in Germania.

Proprio questi ultimi, particolarmente attivi in politica, si trovano spesso al centro di violenze, e persino omicidi: per esempio organizzano regolarmente proteste in dozzine di città tedesche in polemica sia con la madrepatria, dove il presidente Recep Tayyip Erdogan è visto come un despota da abbattere, sia con Berlino. Basti ricordare le violenze di strada dopo il «no» del governo Merkel al progetto di indipendenza del Kurdistan iracheno dall’Iraq del 2017, nonostante il 93 per cento di «sì» ottenuti al referendum celebrato nella regione. Oppure quelle seguite all’invio di armi tedesche nella primavera del 2018 a sostegno dei turchi in Siria. Quando la politica migratoria dei governi latita, insomma, è l’immigrazione stessa a determinare le scelte nazionali. E i risultati sono deleteri, quantomeno in ordine alla sicurezza pubblica. Anche perché l’Africa nel 2050 avrà quasi tre miliardi di abitanti e un incremento ingestibile dell’emigrazione di massa è già una certezza.

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