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Hamas, indagine shock: coinvolta anche la famiglia di Mohammed Hannoun, presidente dell’Associazione dei Palestinesi in Italia

Hamas, indagine shock: coinvolta anche la famiglia di Mohammed Hannoun, presidente dell’Associazione dei Palestinesi in Italia

Mentre la Dda di Genova ricostruisce i flussi di milioni di euro transitati attraverso associazioni formalmente benefiche e finiti – secondo l’accusa – a Hamas, l’interrogazione di Augusta Montaruli porta lo scontro sul terreno politico e della sicurezza nazionale, chiamando in causa rapporti, collaborazioni e misure preventive ancora inevase.

L’indagine della Dda di Genova nasce da un principio investigativo classico: seguire il denaro. Le prime anomalie emergono dal monitoraggio di donazioni formalmente lecite, raccolte in Italia da associazioni impegnate – almeno sulla carta – in attività umanitarie a favore della popolazione palestinese. Secondo gli inquirenti, l’analisi dei flussi finanziari avrebbe però rivelato schemi ricorrenti incompatibili con le finalità dichiarate: trasferimenti frammentati, utilizzo di contante, passaggi intermedi opachi e beneficiari finali difficilmente tracciabili. Al centro del circuito individuato dagli investigatori figura Mohammad Hannoun, presidente dell’Associazione dei Palestinesi in Italia. L’inchiesta coinvolge complessivamente 25 indagati e ha portato all’adozione di misure cautelari nei confronti di nove persone, arrestate in diverse città italiane. Secondo la ricostruzione della procura, attraverso tre associazioni formalmente benefiche sarebbero stati convogliati verso Hamas oltre sette milioni di euro.

Nel perimetro dell’indagine rientrano anche i familiari di Hannoun. Moglie e due figli sono indagati perché, per gli investigatori, non si sarebbero limitati a un ruolo passivo: sarebbero stati consapevoli della destinazione finale dei fondi e, almeno nel caso dei figli, avrebbero svolto funzioni operative, mantenendo contatti e trasportando materialmente il denaro. Un’ipotesi rafforzata da intercettazioni e sequestri. In una conversazione captata, uno degli indagati avrebbe ammesso: «Se entrano in questo pc, ci danno sei anni», evidenziando – nella lettura della procura – la consapevolezza del valore probatorio delle tracce digitali. La dimensione dell’indagine è transnazionale. Due indagati risultano irreperibili: uno si troverebbe in Turchia, l’altro nella Striscia di Gaza. Un elemento che, secondo gli inquirenti, confermerebbe l’esistenza di una catena finanziaria che, partendo dall’Italia, attraversa più Paesi prima di arrivare ai destinatari finali. Gli interrogatori di garanzia davanti alla gip Silvia Carpanini non sono ancora stati calendarizzati, ma dovrebbero iniziare martedì 30 dicembre. Le audizioni si svolgeranno in videocollegamento, ad eccezione di quella di Hannoun, detenuto nel carcere genovese di Marassi, che sarà ascoltato in presenza. I legali incontreranno l’indagato nelle prossime ore.

Sul piano istituzionale, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha rivendicato l’impostazione dell’indagine, sottolineando il valore del tracciamento finanziario nel contrasto al terrorismo: «Abbiamo seguito i flussi di denaro. È la prova che il sistema di intelligence e investigativo funziona. Il terrorismo si combatte anche sottraendo risorse e capacità operative». Il ministro ha parlato di un lavoro lungo, svolto in coordinamento tra forze di polizia, magistratura e agenzie di intelligence, con il supporto informativo di altri Paesi dell’Unione europea, tra cui i Paesi Bassi. Sulle responsabilità individuali ha mantenuto prudenza, rimandando ogni valutazione alla magistratura. L’inchiesta ha però avuto immediate ricadute politiche. In particolare, la deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli ha presentato una dura interrogazione che intreccia il piano giudiziario con quello della sicurezza nazionale, richiamando i rapporti tra l’associazione guidata da Hannoun e la moschea Omar di Torino. «La moschea Omar di Torino, che l’imam Shahin si pregia di guidare, collaborava attivamente con l’associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese, che sarebbe al centro delle operazioni finanziarie di cui all’ordinanza della Procura di Genova nei confronti di Hannoun, secondo gli inquirenti presidente della stessa associazione. Lo ammette la stessa moschea nella propria attività di propaganda annunciando venerdì sermoni dedicati a Gaza. Ora come non si fa a ritenere pericoloso chi, come da indicazioni del Governo Meloni, doveva già essere espulso dal territorio nazionale?» Montaruli prosegue collegando l’inchiesta a ulteriori elementi:«A conferma della pericolosità del sedicente imam Shahin, non ci sarebbe solo l’intercettazione emersa dall’inchiesta, ma un filo inquietante che lo collega ad Hannoun con collaborazioni attive, di cui parla chiaramente quel materiale che sottoponiamo all’attenzione degli inquirenti e del Viminale».

La deputata richiama poi l’attività pubblica e social della moschea:«È la stessa moschea Omar che sui social condivide convegni in cui si annuncia la presenza di Hannoun, oltre che quella degli indagati Lana e di Falastin. Nello specifico, a quel convegno da ultimo condiviso dalla moschea di Shahin si annunciava la partecipazione di un predicatore noto alle cronache come Brahim Baya e di un consigliere comunale del Pd, tutti soggetti attivatisi nella campagna mediatica per impedire l’espulsione dell’imam, come si evince dai rispettivi profili e dagli organi di stampa». Infine, l’affondo conclusivo: «È inquietante come emergano questi contatti che Internet porta alla luce e sui quali chiediamo più di una spiegazione anche al sindaco dem di Torino. Non è più prorogabile quindi l’allontanamento di Shahin: il muro di difesa eretto da propagandisti, sinistra e una certa magistratura a sua difesa non può più reggere. Al di là delle responsabilità penali, l’espulsione – che è un atto amministrativo con funzione preventiva – oggi è più che mai necessaria». Al netto dello scontro politico, il cuore dell’inchiesta resta la tracciabilità del denaro: come viene raccolto, spezzettato, trasferito e occultato dietro strutture associative formalmente legittime. È su questa catena finanziaria che ora si concentrano gli approfondimenti degli inquirenti, chiamati a distinguere la solidarietà legittima dai meccanismi che hanno alimentato un’organizzazione terroristica.

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