Il bimbo pensava fosse un gioco entrare nel carcere di Ariano Irpino, provincia di Avellino, a trovare il papà dietro le sbarre. E quando è suonato il metal detector l’aveva presa un po’ così, come parte del divertimento. Non altrettanto hanno fatto i «baschi azzurri». Loro, gli agenti della polizia penitenziaria, ne hanno viste tante e conoscono ogni sotterfugio di chi si ingegna per introdurre materiale illegale dietro le sbarre. Ma quel 14 gennaio sono rimasti a bocca aperta scoprendo «occultato sotto il pantaloncini del bimbo un involucro ricoperto da nastro adesivo» ha raccontato Emilio Fattorello, segretario per la Campania del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe). Dentro, c’erano due telefoni cellulari destinati al papà, il detenuto per reati comuni F. F., non nuovo a vicende del genere. «Aveva già tentato, in un carcere diverso, di fare entrare droga nel pannolino di un altro figlio» denuncia il sindacalista.
Droni per consegne volanti. Alimenti o palloni imbottiti di micro telefonini o sostanze stupefacenti. Per non parlare degli indumenti utilizzati come nascondiglio… Nel repertorio del «delivery» illegale nelle carceri c’è di tutto. Lo scorso anno sono stati sequestrati 1.274 telefoni cellulari o sim e scoperti 528 casi di contrabbando di droga. I droni sono uno dei sistemi più usati per le consegne. «Le carceri italiane da tempo sono diventati autentici aeroporti dove è possibile atterrare e consegnare facilmente ai detenuti telefonini, droga e persino armi» ha scritto in giugno Aldo Di Giacomo, segretario del sindacato di polizia penitenziaria S.PP. Nei primi mesi dell’anno l’istituto penitenziario di Secondigliano, a Napoli, era stato sorvolato da numerosi droni, che avrebbero consegnato una sessantina di telefonini. Alcuni, intercettati, trasportavano micro cellulari della lunghezza di 7 centimetri.
Il 19 febbraio, durante una perquisizione nel reparto S3 sono stati scoperti una decina di telefonini e una trentina di grammi di hashish. Fattorello ha lanciato l’allarme: «A Secondigliano la situazione è diventata insostenibile. Centinaia di metri di muro di cinta sono presidiati appena da due o, al massimo, tre guardie armate. Quasi impossibile, quindi, contrastare l’introduzione di droga, cellulari e, forse, anche armi, con i droni».



Basta un buon tecnico che per 80 euro rimuova le limitazioni al volo dei droni, facili da acquistare, adattandoli al trasporto illegale. Il caso più grave è accaduto il 19 settembre 2021 quando un drone ha consegnato una pistola calibro 7.65 a un detenuto, che l’ha usata per sparare a tre rivali nel carcere di Frosinone. Un Far west scatenato dal napoletano Alessio Peluso, detto «’O Niro». «Aspettava l’arrivo di questo drone con cui gli è stata consegnata una pistola con matricola abrasa» ha confermato il provveditore delle carceri del Lazio, Carmelo Cantone. Il drone sarebbe volato fino davanti alla finestra, in parte sbarrata, della cella di «’O Niro».
Sul suo blog Di Giacomo ha sottolineato «che proprio come per gli aeroporti, ci sono strumenti e sistemi tecnologici in grado di garantire il divieto di volo “No Fly Zone”, che includono i penitenziari», ma hanno un costo. Il 23 giugno stava quasi per scattare la beffa al ministro della Giustizia, Marta Cartabia, per la sua imminente visita all’istituto penale Uta di Cagliari. Poche ore prima gli agenti avevano scoperto dieci involucri contenenti eroina, cocaina, marijuana, 95 grammi di hashish e un telefono cellulare, controllando un detenuto che rientrava dal permesso premio. È capitato che un «corriere» avesse quattro micro telefonini nello stomaco oppure infilato mini cellulari e caricabatterie nel retto. Il 27 agosto un ex detenuto ha provato a introdurre sei cellulari e mezzo etto di droga nel carcere di Marassi, a Genova, lanciando un pacchetto dall’esterno.
Le sim utilizzate dai pezzi grossi della criminalità pugliese nel carcere di Taranto erano intestate a stranieri, persone irreperibili oppure italiani ignari che avevano denunciato il furto d’identità. In questo caso, scoperto a febbraio, era coinvolto un agente di polizia penitenziaria che agevolava il contrabbando di droga e cellulari ottenendo in cambio dai 350 ai mille euro a consegna. Non solo: la droga veniva poi spacciata dentro il carcere, le sim o telefonini venduti o utilizzati in cambio di favori e sottomissione ai boss del «delivery». I soldi arrivavano dai familiari tramite ricariche Postepay. «Non sappiamo più in quale lingua dire che le carceri devono essere schermate all’uso di telefoni cellulari e qualsiasi altro apparato tecnologico che possa produrre comunicazioni» sostiene da tempo Donato Capece, segretario generale del Sappe. «Hashish, cocaina, eroina, marijuana e butex – una droga sintetica – sono quelle più diffuse e sequestrate dai Baschi azzurri» spiega.
Fino al decreto legge dell’8 settembre 2020 l’introduzione di cellulari dietro le sbarre era un illecito disciplinare. Adesso è un reato che prevede una pena da 1 a 4 anni. La norma è diventata necessaria dopo le ripetute denunce del Sappe sull’uso massiccio dei social da parte dei detenuti. Il preferito è TikTok, dove vengono postati filmati girati dentro le carceri, ma la rete serve anche a trasmettere informazioni e direttive all’esterno. Nonostante il giro di vite legislativo continuano le «consegne», più o meno ingegnose. Il 27 agosto è stato trovato un pallone da calcio destinato al carcere di Castrogno, a Teramo, al cui interno sono stati scoperti due smartphone e quattro micro cellulari L8 star, completi di auricolari, video camera e carica batterie. Il sistema più banale per introdurre la droga è nasconderla nei pantaloni o altri indumenti destinati al detenuto, oppure nelle scarpe. Il fratello di un detenuto si era addirittura cucito le bustine di droga in una manica del vestito che indossava durante i colloqui in carcere.
L’altro sistema che va per la maggiore sono gli alimenti portati dall’esterno. Il 31 luglio sono state scoperte nel carcere di Poggioreale, a Napoli, le salsicce alla cocaina preparate dalla moglie di un detenuto del circuito ad alta sicurezza. Tre giorni prima nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, Caserta, sono stati intercettati «alcuni pacchi di carne cruda farcita all’hashish», ma i familiari hanno anche utilizzato le forme di formaggio ed i salami. Oppure le pentole, una batteria intera destinata al carcere di Avellino. Apparentemente perfette, avevano un doppio fondo che nascondeva 19 micro cellulari, quattro smartphone e due telefoni satellitari. Solitamente sono coinvolti nel «delivery» familiari o complici, ma nel 2020 è capitato che gli agenti nell’istituto penale di Carinola, sempre in provincia di Caserta, abbiano sequestrato nove cellulari. A occultarli nelle confezioni di sigarette era stato un sacerdote, lì per celebrare la messa domenicale.
