Ho saputo solo recentemente che, nell’immediato dopoguerra, era costumanza diffusa che dentro alle sezioni marchigiane del Partito Comunista Italiano, nei giorni in cui ci si riuniva e oltre a parlare di politica si finiva a bere e mangiare qualcosa, si lasciasse una sedia e un bicchiere al compagno Giuseppe Stalin; il quale prima o poi sarebbe venuto – c’era accordo generale sulla cosa – a reclamare il proprio e a fare il resto per cui lo si aspettava.
E mi è venuta in mente Bisanzio, con il suo trono vuoto – sul quale al più si appoggiava un vangelo; se ne vede un esempio anche a Ravenna, nei mosaici del Battistero Neoniano – giacché l’imperatore dei Romani era soltanto il vicario e il rappresentante in terra dell’Imperatore dei cieli. Non a caso l’Impero d’Oriente è stata per certi versi una teocrazia con dei tratti socialisti, oltre ad aver incarnato l’unico e solo Impero cristiano; mentre il Sacro Romano Impero si nutriva, più che della sua proclamata santità, del mito e della legittimità di Roma (l’unico altro esempio di Impero cristiano che io ricordi è quello che provò a costruire Carlo V; ma quest’ultimo era cristiano nel senso dell’etica, mentre Bisanzio, come dire, incarnava la missione stessa del Cattolicesimo, ossia l’universalità).
Di passata, che fascino ha Bisanzio e quanto poco è considerata? Bisognerà riparlarne.
Ad ogni modo, che parallelo voglio istituire fra la seggiola vuota di Stalin e il trono col Vangelo? Evidentemente nessuno. Ci sarebbe quell’idea per cui ciò che accomuna una certa sinistra e un certo cattolicesimo (Bisanzio era ortodossa, ma convinta di essere cattolica; anzi, era diventata scismatica per troppo universalismo) è la fede nella giustizia, oltre che nell’uomo, e dunque è l’attesa di una venuta e della giustizia finale – attesa spasmodica ma non timorosa – la nota unificante di questi due ambiti. Ma si tratta di una riflessione nota, banale e un po’ trita, anche se certamente non campata in aria.
C’è invece un secondo insegnamento che vorrei trarre: ossia che i miti trasfigurano e trascendono la realtà storica, e che non da essi si può giudicare una società umana. La fervente Bisanzio, sinceramente devota al trono vuoto di Cristo, era pur sempre la sede dei più complessi e raffinati intrighi e ammazzamenti della propria epoca, l’impero degli sconfitti mutilati e dei mutilatori vittoriosi; specularmente, coloro che attendevano Stalin erano poi in buona maggioranza coloro che hanno costruito e difeso la democrazia italiana, quelli che hanno creduto nello Stato e nella Repubblica e li hanno onorati con comportamenti degni di cittadini liberi.
Perché quello atteso non era un uomo politico e un dittatore georgiano, non somigliava cioè neanche lontanamente alla figura storica e effettiva; ma era piuttosto un mito disincarnato eppure reale, fatto d’oro e di luce come un mosaico bizantino.