Per Lookout News
E dire che solo poche settimane fa Recep Tayyip Erdogan agli occhi del mondo era ancora saldamente il Sultano che stava traghettando la Turchia verso il miracolo economico, visto che il suo Paese sta conoscendo una crescita e un benessere insperati, soprattutto se confrontati con il resto del Mediterraneo. Quando la crisi economica si è abbattuta sull’Europa, il premier turco deve aver pensato che era stato Dio ad avergli impedito di entrare nell’Unione Europea e non invece le perplessità dei burocrati di Bruxelles, che non si fidano né di lui né della sua appartenenza a un movimento islamista, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP). Questo, ovviamente, non ha impedito a Erdogan di continuare a dialogare e fare ottimi affari con l’Occidente, con il quale il Paese ha un legame così forte, nonostante l’apparenza, che gli è valso un ruolo crescente in seno alla NATO.
Che succede a Piazza Taksim?
Le improvvise proteste di Piazza Taksim sembrano perciò giungere inaspettate anche per i bravissimi servizi segreti turchi che, in fin dei conti, non devono aver dato molto peso alle opposizioni interne ultimamente, concentrandosi piuttosto sugli avvenimenti esteri, visto che al confine infuria la guerra. E che ora si affrettano a monitorare il web e spegnere i ripetitori delle telecomunicazioni durante le proteste.
Illusorio è credere che adesso il premier si faccia destabilizzare ulteriormente dalle piazze: il governo arriverà certamente a usare il pugno di ferro, pur di soffocare al più presto le proteste. Questo perché Erdogan non vuole macchiare l’immagine acquisita di nazione dal grande successo, né può permettersi di subire contraccolpi economici proprio adesso che si deve cementificare il futuro della “Turchia di Erdogan”. Inoltre, il prossimo anno ci sono le elezioni amministrative e politiche – dove per la prima volta si eleggerà direttamente il capo dello Stato – e questo passaggio è cruciale per la conservazione del potere da parte della dirigenza dell’AKP. Né sfugge al calcolo politico la designazione di Istanbul per i giochi olimpici del 2020, su cui il premier ha già investito parecchio e stretto accordi con mezzo mondo.
La giovane società turca
La Turchia, ad ogni modo, è un Paese prevalentemente musulmano sunnita, ma anche patria di numerosissime altre minoranze etniche e confessionali, cosa che rende il suo tessuto sociale vulnerabile alle provocazioni e ai disordini sociali. In particolare, oggi a scaldarsi sono sia le università “occidentalizzate” sia le periferie della working class, che si agitano per le scelte confessionali di Erdogan e per aver abbandonato Assad e aver piazzato i missili degli americani al confine con la Siria. Questo non può piacere alle nuove generazioni islamiche sciite, né alla comunità neo-nazionalista e neppure alla sinistra che sbandiera orgogliosa i propri simboli a Piazza Taksim, a Istanbul.
Ma, dopotutto, se dovessimo dare un’interpretazione marxista di quanto sta accadendo in Turchia dovremmo concludere che l’incrinarsi della pace sociale è connaturata allo sviluppo socio-economico di un Paese che sta conoscendo un’accelerazione economica improvvisa. E questo inevitabilmente mette in evidenza le contraddizioni culturali delle molteplici anime che compongono la Turchia e che non si sono ancora ben amalgamate, strette fra tradizionalismo di stampo islamico e capitalismo sfrenato, tra i sogni di gloria personali di un leader e le richieste di un popolo la cui età media è di soli 29 anni.
La questione religiosa
Erdogan non vuole cedere alla piazza ma non può e non deve neanche sottovalutare le spinte democratiche e laiche della “meglio gioventù” del Paese, che sembra semplicemente chiedere maggior libertà. Perché, in fondo, questi – al momento – sono solo ragazzi che erigono barricate intorno ai quartieri degli artisti e degli intellettuali, che gridano slogan da ‘68 e che si sentono come quei Giovani Turchi che negli anni Venti cambiarono il corso della storia turca.
E il Sultano, se è davvero pragmatico come già in passato, non può cancellare la storia che ha posto le basi per il suo stesso successo a colpi di centri commerciali e di imposizioni di stampo religioso. Né dirigere lo scontro verso una questione religiosa. A meno che il suo disegno non preveda davvero un ritorno a uno Stato confessionale. Vuoi vedere che poi sarebbe ancora peggio?