Il fronte ha lanciato le sue manifestazioni anti-Stato nei giorni più difficili della pandemia. Tra gli obiettivi, l’allentamento del regime carcerario, l’indulto e l’amnistia. Il pericolo è che queste contestazioni si saldino con la strategia della malavita.
I focolai di protesta e rivolta divampano a Torino, Cuneo, Modena, Livorno, Trento, Trieste, Pordenone, Roma. L’emergenza dentro e fuori le carceri scoppiata durante la Fase 1 del Covid-19 ha un nome preciso: movimento anarchico. Da ogni città sono partite relazioni ufficiali con nomi e cognomi, ruoli e azioni svolte per sfruttare il lockdown in senso eversivo. Il monitoraggio servirà agli analisti dell’intelligence per capire come si sono mossi i vari gruppi ed eventualmente come contrastarli. Sfruttando la paralisi del Paese per l’epidemia, hanno colpito in modo più duro nelle città in cui si conta un maggior numero di attivisti.
«Il tema della lotta alla repressione e, più nello specifico, al regime del carcere duro ha contraddistinto ristretti ambienti dell’estremismo marxista-leninista, tanto sul piano propagandistico quanto in termini mobilitativi» annunciava una nota del Dis, il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, in tempi non sospetti. C’erano già stati segnali un anno fa: il 28 aprile e il 9 luglio alcuni manifestanti si presentarono all’esterno del carcere dell’Aquila, dove è in regime di 41 bis la brigatista Nadia Desdemona Lioce, condannata all’ergastolo per gli omicidi di Massimo D’Antona e Marco Biagi. Un anno dopo, il Covid-19 sembra una buona scusa per riattizzare la protesta. Stavolta, organizzata nei minimi dettagli.
La decisione del governo di prolungare il divieto di colloqui si è trasformata subito nel «grimaldello» per scardinare letteralmente le inferriate. Dal Dipartimento per la pubblica sicurezza del Viminale parte una nota riservata ai prefetti: «Non si può escludere che la circostanza possa innescare eclatanti contestazioni dei detenuti, cui potrebbero aggiungersi iniziative esterne da parte dei familiari, con il convergente interesse delle anime del movimento anarchico». Il capo della Polizia Franco Gabrielli, che ha firmato quell’alert, si è trasformato in una Cassandra. L’attività informativa è partita così.
A Roma, per esempio, quelle informazioni si sono già trasformate in un procedimento penale. Il fascicolo è affidato a due pm, Francesco Cascini e Francesco Dall’Olio, con il coordinamento del procuratore Michele Prestipino, che a Panorama annuncia: «Stiamo cercando di capire se c’è una regia, andremo a fondo». L’ipotesi investigativa è che dietro alla rivolta nel carcere di Rebibbia del 9 marzo ci siano i boss della mala capitolina e i leader del movimento anarco-insurrezionalista. Ma quel giorno gli anarchici non erano attivi soltanto a Rebibbia: gli uomini della Digos ne hanno identificati e denunciati 26 che protestavano davanti al ministero di Giustizia. La richiesta: indulto e amnistia. Per chi indaga quell’azione è come rivendicare le contestazioni davanti agli istituti di pena.
A Genova, per esempio, sempre il 9 marzo dagli uffici della Digos è partita un’altra nota riservata con questa informazione: quattro attivisti sono stati identificati vicino al carcere di Marassi. Una presenza è stata segnalata anche durante la protesta di San Vittore, a Milano. E pare che ci siano evidenze valutate come preoccupanti anche sulle relazioni tra gli italiani e i gruppi alternativi stranieri. In particolare con i greci e i francesi, alle prese anche loro con le proteste per la diffusione del Covid-19 negli istituti di pena. In un crescendo, tra marzo e il primo maggio, le fibrillazioni hanno interessato appunto varie città del Paese. A Trieste sono stati identificati una settantina di manifestanti. Lo slogan sullo striscione è: «Il virus uccide, il capitalismo di più».
È partito tutto da una pagina Facebook, ora al centro di un’indagine. Un altro striscione è stato appeso a Torino sulla cancellata della chiesa di Santa Rita. Il messaggio: «Pensiero, critica, azione con o senza virus distruggiamo il sistema di controllo sociale». Un invito all’eversione su cui sta indagando la Digos per capire chi abbia dato il via a una serie di azioni per alimentare lo scontro sociale per il perdurare delle restrizioni anticontagio.
Perché c’è stato un momento preciso in cui qualcuno ha deciso di far scattare le proteste anche in strada. Con epicentro soprattutto Torino, dove addirittura gli anarchici hanno cercato di sottrarre alla polizia due rapinatori. Così come a Cuneo, dov’è spuntato l’ennesimo striscione: «Oggi iniziamo a riprenderci la vita che ci vuole essere negata da un potere ipocrita e autoritario». Un’azione rivendicata con un comunicato stampa dal sedicente Collettivo Andràtuttobene. Il culmine si è raggiunto con un attentato alla sede di Amazon di Torrazza Piemonte. Due colpi di arma da fuoco rivendicati con un post su un sito di area.
Propaganda c’è stata anche a Livorno, altro luogo importante per il movimento: «La pandemia dilagante ha fornito l’occasione per dare fiato alla retorica nazionalista». Alla quale gli attivisti stanno contrapponendo la propria retorica. E mentre al Nord scendono in piazza, al Sud hanno scelto i supermercati. Spiega il capo della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo Federico Cafiero de Raho: «Su quelle azioni c’è un’ampia attività investigativa nella quale un grosso ruolo lo gioca il fronte anarco-insurrezionalista».
