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Chi è Bryan d’Ancona, il jihadista francese che vuole tornare in Francia

Chi è Bryan d’Ancona, il jihadista francese che vuole tornare in Francia

Ventisei anni, è stato uno dei primi cittadini d’Oltralpe a partire per la Siria per combattere al fianco di al-Qaeda

Il jihadista francese Bryan D’Ancona vuole tornare in Francia. Dieci anni dopo la sua partenza per la Siria nel 2013, il giovane francese si è presentato questa settimana al consolato di Istanbul (Turchia), accompagnato dalla figlia, per chiedere il rimpatrio suo e della minore, riferiscono diverse fonti a France Télévisions.

Bryan D’Ancona che oggi ha 26 anni è stato uno dei primi francesi a partire per la Siria per combattere al fianco di al-Qaeda. D’Ancona dopo essersi convertito all’islam grazie all’influenza del predicatore-jihadista franco-senegalese Omar Diaby, alias Omar Omsen, attivo a Nizza, partì il 17 dicembre 2013 quando aveva solo 17 anni. A proposito di Diaby ex delinquente comune prima di diventare un predicatore del male lavorava in uno snack bar halal di Nizza poi nel 2013 partì per la Siria dove venne messo a capo di una brigata jihadista composta di giovani francesi, per lo più della regione di Nizza. In particolare, ha reclutato candidati per la partenza nei complessi residenziali HLM di Saint-Roch e Bon-Voyage. Autore di video di propaganda, si era poi autoproclamato imam. Se non è direttamente sospettato di aver organizzato attentati, Omar Omsen aveva approvato l’attacco contro il quotidiano satirico Charlie Hebdo nel gennaio 2015 a Parigi. Nello stesso anno era stato dichiarato morto ma nel 2016 riapparve in un servizio televisivo di France 2 e oggi si troverebbe nella zona di Idlib città della Siria nord-occidentale, situata vicino al confine con la Turchia. Per tornare Bryan D’Ancona a sua volta dato per morto più volte in questi ultimi dieci anni è stato particolarmente attivo nel reclutamento di giovani francesi. Secondo il Center for Terrorism Analysis era un membro della Brigata Firqatul Ghuraba. Nel 2016, a volto scoperto e con il kalashnikov in mano, disse ai giornalisti di Complément d’Enquête di France 2 «di aver già ucciso». In Siria avrebbe sposato una connazionale, dalla quale ha avuto una figlia prima di separarsi.

Che farà la Francia che su di lui ha emesso un mandato di cattura per «associazione a delinquere in relazione a un’impresa terroristica»?

Difficile che prenderà una decisione in merito visto che il terrorista potrebbe essere rapidamente espulso dalle autorità turche. A proposito di rimpatri la Francia fino ad oggi ha negato la possibilità di ritorno ad alcuni terroristi ma in qualche caso ha fatto delle eccezioni. Lo scorso 24 gennaio la Francia ha rimpatriato 15 donne e 32 bambini dai campi di prigionia jihadisti dove erano detenuti nel nord-est della Siria e secondo il Ministero degli Affari Esteri «i minori sono stati consegnati ai servizi preposti al mantenimento dei figli e saranno sottoposti a controllo medico e sociale mentre gli adulti sono stati consegnati alle competenti autorità giudiziarie». A questo proposito la Procura nazionale antiterrorismo (Pnat) ha reso noto che tra le 15 donne, di età compresa tra i 19 e i 56 anni, sette sono state oggetto di un mandato di cattura e saranno presentate martedì a un gip. Gli altri otto sono stati presi in custodia in esecuzione di un mandato di perquisizione. É stata la terza grande operazione di rimpatrio dopo quella del 5 luglio 2022, quando la Francia aveva rimpatriato 16 madri e 35 minori, e quella di ottobre, che aveva consentito il rientro di 15 donne e 40 bambini. La Francia che inizialmente non voleva riportare in patria nessun jihadista e le famiglie il 14 settembre 2022 ha dovuto modificare la sua linea di condotta dopo che il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura il 14 settembre 2022 ha condannato la Francia per non aver rimpatriato cittadini francesi dai campi di prigionia nel nord-est della Siria violando secondo le accuse, gli articoli 2 e 16 della Convenzione contro la tortura e i trattamenti inumani o degradanti. Lo Stato francese, nelle sue osservazioni inviate al comitato delle Nazioni Unite, aveva giustificato caso per caso la sua politica di rimpatrio, sottolineando che la Convenzione «non richiedeva a un Paese di proteggere i propri cittadini in un territorio che non è sotto la sua giurisdizione». Il Comitato ha comunque ritenuto che se lo Stato francese «non è all’origine delle violazioni subite dalle donne e dai bambini nei campi rimane sempre l’obbligo di proteggerli da violazioni gravi violazioni dei diritti umani prendendo tutte le misure necessarie e possibili».

La Francia era già stata condannata nel 2022 dal Comitato per i diritti del fanciullo e poi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per la sua mancata azione nel ritorno di donne e minori. Queste donne francesi si erano recate volontariamente nei territori controllati dai gruppi jihadisti nella zona iracheno-siriana. Erano stati catturati quando l’organizzazione dello Stato islamico è caduta nel 2019. E molti dei loro figli sono nati nei campi. Spinto da una propaganda terrificante, studiata appositamente per attirare i giovani occidentali, l’isis ha attirato molti combattenti terroristi maschi e femmine. Il numero di francesi tra loro è stimato in 1.500, molti dei quali hanno seguito un addestramento militare e un indottrinamento islamico. A Le Figaro il coordinatore dell’intelligence nazionale, Laurent Nuñez, ha stimato in 160 il numero di jihadisti francesi nell’area: «Li stiamo monitorando molto da vicino nel tentativo di prevenire un attacco pianificato. Riteniamo che rimangono 160 adulti francesi che si evolvono, nel nord-ovest siriano. Sono divisi tra lo Stato islamico, i ribelli dell’HTS (Hayat Tahrir al-Sham, Levant Liberation Organization), il Katiba Diaby e il gruppo Tanzim Hurras ad-Din (i guardiani della religione)». Circa 300 minori francesi che hanno soggiornato nelle zone dove operano i gruppi terroristici sono tornati in Francia, di cui 77 tramite rimpatrio. Nonostante le ripetute esortazioni dell’amministrazione curda, la maggior parte dei paesi occidentali si è finora rifiutata di rimpatriare i propri cittadini da questi campi, accontentandosi di rimpatri alla spicciolata per paura di possibili atti terroristici sul loro territorio.

Timori legittimi ma cosa accade quando questo persone tornano in patria? Come si gestiscono questi casi?

Lo chiediamo alla Professoressa Laura Sabrina Martucci Professore Aggregato in Diritto ecclesiastico comparato e docente di Diritto degli enti ecclesiastici nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Bari che da anni si occupa di convertitismo e processi di radicalizzazione religiosa; prevenzione della radicalizzazione del terrorismo di matrice religiosa e di percorsi e tecniche di deradicalizzazione: «Non abbiamo una modalità specifica. Si gestiscono a seconda della condizione personale. Ovvero se si tratta di donne adulte che hanno commesso reati, vengono tradotte e avviate a loro carico le attività giudiziarie del caso. Diversamente difficile stabilire, se si trovavano nei campi di prigionia perché vittime costrette dai mariti o artefici di scelte consapevoli. E ancora più complesso definire quali policies di riabilitazione o assistenza utilizzare per la loro reintegrazione, quando non deradicalizzazione, in particolare per quelle a fine pena se detenute. Era la sfida più alta posta agli Stati dalle alla caduta di ISIS che le Istituzioni internazionali hanno cercato di fronteggiare con risoluzioni e raccomandazioni. La Francia ha rifiutato a lungo i rimpatri, l’Inghilterra in un caso ha revocato la cittadinanza ad una donna Shamira Begum. Ma questo vale per gli adulti. Quanto ai minori molto spesso vengono affidati ai servizi sociali e/o a familiari, se si rendono disponibili. Cosa che non accade spesso. Si tratta di minori difficili e quasi sempre radicalizzati perché cresciuti in aree di conflitto o campi profughi. Altre volte, penso ai bambini di Alice Brignoli, vengono adottate misure particolari di riabilitazione, ma purtroppo sono sempre estemporanee. Credo che molti dei minori «retournee», specie quelli al di sotto dei 14 anni, andrebbero visti come vittime. » In tal senso l’ODIHR dell’OSCE ha da poco pubblicato il «REPORT (ON VIOLATIONS AND ABUSES OF INTERNATIONAL HUMANITARIAN AND HUMAN RIGHTS LAW, WAR CRIMES AND CRIMES AGAINST HUMANITY, RELATED TO THE FORCIBLE TRANSFER AND/OR DEPORTATION OFUKRAINIAN CHILDREN TO THE RUSSIAN FEDERATION)», nel quale analizza e qualifica le condizioni di assistenza, tutela e diritti per i minori ucraini deportati. Secondo la Professoressa Martucci «minori nati in Siraq o «deportati» dai genitori in quei luoghi e poi finiti in campi come al-Holl non siano vittime diverse. Manca ancora purtroppo un una normativa uniforme che nel nostro Paese sia dedicata a queste complessità».

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