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Il fallimento del vertice Nato

Le guerre non si vincono solo con le armi e la ricchezza. Si vincono con la limpidezza degli obiettivi, con la percezione chiara ovvero la lucidità con la quale si scelgono i propri nemici, con la coesione attorno a un sistema di valori e a uno stile di vita da difendere.

Sembrava che l’attentato dell’11 settembre (o come dicono gli americani invertendo l’ordine nella data, il 9/11) avesse fornito materiale sufficiente al nostro immaginario pubblico dall’enormità stessa dell’attacco e della sfida, invece ci avviciniamo alla tredicesima commemorazione delle Torri Gemelle e l’Occidente, tutt’altro che rigenerato attorno a un’idea di sé vincente, si presenta alla guerra del Califfato islamico a Oriente e a quella tra la Russia di Putin e l’Ucraina di Kiev a sud-est profondamente diviso, indeciso e privo di una leadership e una strategia. E purtroppo stavolta non si tratta di guerre lontane, ma alle porte di casa. Ucraina e Islam sono dentro l’Europa, non fuori.

L’assenza di leadership e strategia è il drammatico messaggio che emerge dal vertice Nato di Newport, quello che avrebbe dovuto sancire la nascita della Terza Alleanza dopo quella del Dopoguerra e quell’altra successiva alla caduta del Muro (che adesso sembra risorgere dalle ceneri dell’URSS e riprodursi in Medio Oriente). Da un lato si ripropone la determinazione britannica al fianco degli Stati Uniti, che conferma con Cameron e Obama l’asse della guerra in Iraq tra Blair e Bush (indipendentemente dal credo politico: oggi un conservatore a N. 10 e un democratico alla Casa Bianca, allora un laburista e un repubblicano). Dall’altro c’è una Europa continentale molle e dialogante, portatrice di altre ragioni e altre prospettive, con la Francia di Hollande determinata più che altro a non perdere 1.2 miliardi di euro di penalità per la mancata consegna della nave Mistral commissionata dai russi, e Italia e Germania legittimamente preoccupate del crollo dell’export in un’area strategica per l’uscita dalla crisi economica che attanaglia la UE. 

Ma non c’è solo questo. Si può morire per Kiev? Anzi, si può morire per Donetsk? Ci si poteva mai illudere che Putin rinunciasse senza combattere a mantenere nella sfera d’influenza russa la Crimea o abbandonasse al loro destino i russofoni dell’Ucraina? È ragionevole alimentare venti di guerra sul fronte est-europeo avendo come potenziale “nemico” una potenza che dovrebbe invece essere nostra alleata nella più ampia (e pericolosa) guerra al terrorismo islamico e al Califfato che si espande a colpi di teste tagliate e bonifica etnica a Oriente? Per quanto ortodossi, i russi sono cristiani e la geopolitica insegna che Mosca ha tutto l’interesse a neutralizzare l’Islam estremista che “lavora” ai confini e all’interno dell’Impero.

Il punto è che l’Occidente è malato. Il vertice Nato di Newport ha reso evidenti i sintomi della malattia. Bluff, parole, annunci, discussioni, minacce, e poi nulla. Solo un risveglio a gran rilento prima di rendersi conto della situazione ormai degenerata, e una grande incoscienza nel mettersi nella condizione di dovere alla fine piegare la testa (sapendo di non avere la forza né la volontà di fare altro che mostrare i muscoli). La capacità militare dell’Occidente unito non ha eguali al mondo, per quanto la guerra contemporanea abbia assunto forme insidiose, asimmetriche e camaleontiche in grado di farci molto male (anche per le quinte colonne che abbiamo tollerato). Resta il fatto che oggi non esiste un Occidente unico e unito. L’Occidente stesso è minato al suo interno e la democrazia mostra la corda rispetto alla compattezza dei sistemi totalitari. Quel che a noi manca drammaticamente è la capacità di prendere decisioni. 

Se non abbiamo il coraggio (o l’interesse) di decidere l’uso della forza, perché ci ostiniamo a promettere fracassi con l’unico risultato di rendere spettacolare la nostra sconfitta? 

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