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Il vecchio gioco dello scaricabarile

Lo scaricabarile è diventato la bandiera dell’Italia. Da che mondo è mondo "piove, governo ladro". Ma "governo" significa una rete di responsabilità. Governo, regioni, comuni, protezione civile, burocrazia, una intera classe dirigente e, naturalmente, cittadini. Ogni autunno ci sono le alluvioni, ogni giorno cade "la pioggia di un anno”" (calendario perpetuo?). E ogni volta impazzano le polemiche. Quando c’era un sistema di protezione civile in grado di compensare anche la mancanza di controllo e manutenzione del territorio, non riuscivamo ad apprezzarne l’efficienza (tanto che il suo capo, Guido Bertolaso, si ritrova oggi quasi in esilio ad assistere i malati di Ebola in Sierra Leone). Siamo prigionieri della politica che invade ogni cosa, che invece di essere l’arte di decidere si è sostituita alle decisioni. L’emblema di questa inanità decisionale è l’ipertrofia estenuante delle cause giudiziarie.

Nelle periferie, invece di vedere l’esasperazione di cittadini che si sentono abbandonati a situazioni di degrado da terzo mondo, si vuol vedere la manovra di chi soffia sul fuoco per ricavarne vantaggi politici. Sia chiaro: la politica piomba come l’avvoltoio là dove si possono guadagnare briciole di consenso. Eppure, davanti alle alluvioni e alla rivolta delle banlieu, la politica è latitante, evasiva. Lo è per il vecchio gioco dello scaricabarile. Il sindaco di Milano, Pisapia, sostiene di aver pianto, che la città è vittima dell’incuria di tutto il Nord (un fatalismo quasi partenopeo), come se la corresponsabilità potesse per ciò stesso autoassolversi e affrancarsi dal marchio della complicità. Dice che l’altra sera era in lacrime. Per carità.

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I sindaci di Roma e Genova, Marino e Doria, promettono riqualificazioni e attribuiscono ad altri le colpe presenti. E allo stesso modo in cui i sindaci si esercitano nello scaricabarile, i cittadini s’impegnano a trovare capri espiatori. Manca una percezione di responsabilità diretta, personale, di chi è chiamato a gestire la cosa pubblica. Manca del tutto a chi amministra e a chi è amministrato. Manca, soprattutto, il senso di una comunità. C’è un razzismo strisciante, perché negarlo? Ma c’è pure l’incapacità di chi si è ritrovato in posizioni di responsabilità senza esserne in grado, eletto dai cittadini solo perché considerati migliori (in quanto sconosciuti o non ancora sperimentati) rispetto a chi li aveva preceduti.

È il caso di Ignazio Marino. Marino con la storia squallida e irritante delle multe non pagate, smentite e poi versate, e di quella insulsa Panda rossa parcheggiata nei luoghi più furbi, dagli spazi del Senato alle soste vietate.

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Ciliegina sulla torta, adesso cominciano di nuovo gli studenti delle scuole superiori a voler occupare. Che autunno è senza okkupazione? Quindi, liceali sul piede di guerra. Per nessun motivo reale, giusto per non perdere l’autobus dell’anno scolastico 2014-15. Ma all’estero le occupazioni delle scuole non sono mica permesse, anche perché si nega il diritto allo studio di quelli che l’occupazione non vogliono farla. E si perpetua quella cultura del 36 politico, della sufficienza d’ufficio, del collettivo in cattedra che dal ’68 in poi è stata la rovina della nostra scuola (e del paese).

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