L'autogol della Uefa: niente sanzioni (per ora) per la Superlega

Niente sanzioni, almeno per ora. Juventus, Real Madrid e Barcellona non vanno a processo davanti alla Disciplinare dell'Uefa prima che non si sia chiarito il quadro giudiziario intorno alla guerra della Superlega. Un passo indietro da parte dei giudici di Nyon che sorprende solo a una lettura superficiale, perché l'intimazione del Tribunale di Madrid arrivata attraverso il Ministero della Giustizia elvetico era difficilmente superabile all'interno dell'ordinamento calcistico. E lo stesso vale per l'attesa di quello che dirà la Corte europea che ha deciso di volerci vedere chiaro così da esprimere un parere definitivo sulla Uefa e la sua posizione nel mercato dell'industria del calcio.

Nyon ha dovuto prendere atto della decisione del suo organo giudicante, ha dichiarato di "comprenderne i motivi" ma allo stesso tempo di "essere fiduciosa" poter riprendere nel più breve tempo possibile. Si prepara a sostenere la battaglia legale, insomma, anche se a primo vero bivio ha dovuto fare un passo indietro che, quanto meno a livello di immagine, ne indebolisce la posizione. Dal 19 aprile i toni della Uefa sono stati minacciosi. Un crescendo culminato nell'anticipo di un'esclusione dalla Champions League che in linea teorica è materia unica del Comitato disciplinare, indipendente dal corpo politico della associazione. Quel Comitato che ha preso atto dell'impossibilità di aprire un vero processo contro Juventus, Real Madrid e Barcellona senza che il contesto giudiziario non si sia chiarito, esponendosi anche al rischio di doverne rispondere direttamente perché ignorare una prescrizione di un Tribunale è un atto che difficilmente rimane senza conseguenze.

Il significato del passo indietro va, però, oltre i tecnicismi. Intanto certifica che la Maginot difensiva dei club 'ribelli' è solida ed era stata preparata con cura; evidentemente la Uefa e il suo presidente hanno sottovalutato questo aspetto, paventando sanzioni immediate e durissime che non possono esistere. Era inimmaginabile che dirigenti avveduti come Perez e Agnelli si fossero gettati allo sbaraglio senza coprirsi le spalle dal punto di vista legale e almeno per ora hanno avuto ragione. Giocheranno la prossima Champions League e poi si vedrà. Perché ora si apre una finestra in cui, senza armi da brandire in faccia all'avversario, ci può essere spazio per sedersi al tavolo e discutere i problemi del calcio che, come denunciato da Agnelli, corre veloce verso il pericolo di insolvenza e che ha bisogno di risposte e riforme immediate.

Chi deve gestire questo momento di confronto? Le ultime settimane lasciano intendere che Ceferin non abbia pienamente il controllo della Uefa. Non perché l'abbia maliziosamente fatto trapelare Agnelli nell'ultima uscita pubblica, ma perché alla prova dei fatti la sua stessa organizzazione ha preso una strada diversa. Con l'aggravante che il numero uno sloveno tiene altissimi i toni dello scontro con l'ex amico Agnelli, bel oltre il comprensibile sfogo per la delusione iniziale. Il suo ruolo istituzionale imponeva e impone un atteggiamento adeguato che non è stato tenuto. Come potrebbe essere lui a guidare la mediazione? Un passaggio delicatissimo in cui alla 'questione personale' si dovrà sostituire la fredda analisi degli scenari e delle possibili conseguenza.

Lo scontro totale non conviene a nessuno. Conviene alla Uefa meno che a Juventus, Real Madrid e Barcellona che rischiano una montagna di denaro (non meno di un centinaio di milioni di euro) ma non la sopravvivenza stessa che è quanto mette sul tavolo Nyon. Perché arrivare al giudizio della Corte europea significa per la Uefa, in caso di verdetto contrario, veder crollare tutta l'architettura del calcio così come l'abbiamo conosciuta senza mediare i nuovi equilibri. Una sorta di all-in al buio e con carte, almeno in parte, in mano all'avversario. E' sicuro chi sostiene Ceferin che convenga giocare la mano affidandosi allo stesso giocatore?

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