Tre storie di profughi dall'Ucraina che dobbiamo conoscere

“E’ da quando sono piccolo che ho un incubo ricorrente. Io corro, sono inseguito da qualcuno ma non so chi sia. Provo a comporre un numero di telefono per chiedere aiuto ma lo sbaglio sempre, non riesco a ricordarlo per lo spavento. Poi mi sveglio e finisce tutto ma sono sudato, affaticato e la sensazione di tristezza che ho addosso mi accompagna tutto il giorno”.

Ramatullah è disperato. Nel giro di meno di un anno ha capito il perché di quel sogno terribile. A soli ventidue anni, lo scorso agosto, è stato uno dei ragazzi evacuati da Kabul dopo la presa del potere da parte dei talebani. Poteva sembrare abbastanza, vivere tutto quell’orrore. Poteva sembrare che il suo incubo ricorrente si fosse materializzato, per lasciare successivamente spazio alla speranza. Contrariamente a tanti giovani morti nel disperato tentativo di fuggire o comunque rimasti intrappolati in Afghanistan, Ramatullah ce l’aveva fatta. Era salito su un aereo e aveva accettato qualunque destinazione gli venisse assegnata come profugo. L’importante era stare lontano dalla guerra. Ma il destino sa come essere beffardo, quando vuole. Ramatullah, insieme a tanti suoi coetanei, ha avuto come destinazione l’Ucraina.

“Mi sembrava di essere stato fortunato. A Kiev vive da tanti anni un amico che ha aperto un ristorante afghano. Ci siamo messi in contatto e progettavo di andare a lavorare da lui come cuoco o cameriere, una volta ottenuti i documenti. Invece, la guerra mi ha seguito fin qui”. Già, perché gli spari, i carri armati, la paura, i rifugi improvvisati, sono tornati nella vita di Ramatullah da pochi giorni. Come un fantasma che non ti molla un attimo e come quell’incubo ricorrente, la guerra ha di nuovo allungato le sue mani al collo di questo ragazzo che solo da poco ha compiuto ventitré anni.

“La vita mi ha fatto proprio un bel regalo, non c’è che dire. Se penso che avevo assaporato la libertà ed ora tutto è di nuovo in discussione, mi viene da piangere. Non ho più fiducia, sono stanco. Ho paura che se riuscissi a raggiungere un altro Paese, la guerra scoppierebbe anche lì, solo per farmi un dispetto”. Intanto, Ramatullah ci prova, a fuggire comunque, ma non sa se ci riuscirà di nuovo. Non ha i documenti ucraini, non ha grossi mezzi per procurarsi un “passaggio” oltre confine. Spera di raggiungere la Polonia perché per una serie di vicissitudini è il posto a lui più vicino in questo momento. “Sono stato fortunato una volta, Dio mi ha assistito. Ora non so se il fatto di essere di nuovo in queste condizioni è un segno di qualcosa, di una punizione. Cerco di pensarci ma non credo di aver fatto male a nessuno. Che Allah mi perdoni e mi aiuti”, dice.

La storia di Ramatullah è da brividi, ci si chiede davvero perché l’esistenza di alcuni sia segnata da così gravi ferite. Due guerre, una dietro l’altra, in due posti diversi, stroncherebbero chiunque. Eppure, in tanti resistono.

Come resiste Faisal, arrivato dalla Nigeria, che ha un nome d’arte: Jimmy. Jimmy (che sul lavoro non usa il suo vero nome perché gli piace questo all’americana, come spiega), lavora per una compagnia di taxi ucraina. Per la precisione, è colui che mi ha condotta all’aeroporto Zhulhany di Kiev per consentirmi di fare rientro in Italia prima che lo spazio aereo venisse chiuso.

“Se scoppia la guerra, non so dove andare. Sono qui da anni e ho sposato anche un’ucraina. Le ucraine sono le donne più belle del mondo. Magari resto e combatto per il Paese. Non l’ho fatto per il mio, visto che desideravo vivere in pace, ma se mi accorgo che la guerra mi segue ovunque, non fuggo più. Prendo un’arma e accada quel che accada”. Il cellulare di Jimmy non squilla più. L’ultima volta che ha dato notizie, era dopo i primi attacchi. Si era rifugiato nella metropolitana di Kiev e poi era uscito per cercare alcuni suoi amici.

Ha sposato un’ucraina anche Hamadou, dal Camerun. Lui era sul treno fatiscente che dal Donbass arriva a Kiev dopo un tragico tragitto di circa dodici ore, che si trascorre in una “cuccetta” assieme a perfetti sconosciuti, in barba ad ogni norma o pericolo di Covid. “Qui penso di avere un futuro. Gioco a calcio in alcune squadre locali, mi sono sposato, ho una vita. Non credo che la guerra scoppierà, non ci voglio neanche pensare”, diceva prima che tutto accadesse. Ora, si è spostato con la famiglia a Leopoli, dove ci sono alcuni parenti della moglie e, di lì, forse tenteranno tutti insieme la via che conduce più ad occidente. Sono storie di una doppia fuga, quelle di Ramatullah, Jimmy e Hamadou, di un destino che non lascia scampo. Chi nella sua esistenza è stato talmente fortunato da non avere vissuto sulla propria pelle nessun conflitto, stenta davvero a capacitarsi che ci sia chi ne ha vissuti, in giovanissima età, già due, con tutti i loro traumi, orrori, ricordi che andrebbero solo cancellati.

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